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Articolo pubblicato su FR MAGAZINE | Maggio – Giugno 2021 |
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Ancora attesa per una ripresa della raccolta ai ritmi del biennio 2017-2018 per i Pir ordinari, mentre i Pir alternativi iniziano a muovere i primi passi
Nel 2021 i Piani Individuali di Risparmio (Pir) entrano nel quinto anno di vita vedendo rafforzato il loro ruolo come strumento di sostegno all’economia reale italiana grazie all’introduzione nel corso del 2020 dei Pir alternativi. Questi ultimi, nati con il decreto “Rilancio” del maggio 2020, si affiancano ai Pir ordinari avendo come principale obiettivo quello di far confluire risorse alle piccole e medie imprese anche non quotate.
Partenze e ripartenze
I Pir alternativi devono investire in modo più consistente nei segmenti di mercato più illiquidi dal momento che almeno il 70% del valore complessivo del piano deve essere investito in strumenti finanziari (anche non quotati) di imprese italiane non appartenenti agli indici FTSE MIB e FTSE Mid Cap, in prestiti erogati alle predette imprese nonché in crediti delle medesime imprese. Rispetto ai Pir tradizionali, inoltre, cambiano anche le soglie di investimento per i sottoscrittori: il tetto annuale è di 300 mila euro (30 mila per i Pir ordinari) e il limite complessivo è pari a 1,5 milioni (150 mila per i Pir ordinari).
Il Pir alternativo si rivolge quindi a una clientela patrimonializzata e si presta a essere realizzato nella forma di Fia chiuso, attraverso strutture quali gli Eltif, fondi di private equity, private debt, ecc. In virtù di questo, le tempistiche per il lancio di questi prodotti e per la conclusione delle attività di effettivo investimento tendono ad essere mediamente dilatate di alcuni mesi. A fine 2020 sono operativi due fondi Pir alternativi con un patrimonio di 250 milioni. Tuttavia, sono stati lanciati diversi Pir alternativi che vedranno il definitivo decollo nel 2021, anno che potrà essere considerato come il primo vero anno di vita di questo importante strumento che sarà di complemento ai già rodati Pir ordinari.
Dati in Miliardi di euro. Fonte: Assogestioni
Questi ultimi hanno completato nel 2020 il loro quarto anno di attività ritornando a un impianto normativo (in sintesi: 70% di strumenti emessi da emittenti italiani, di cui 25% da società non appartenenti all’indice FTSE MIB e 5% da società non appartenenti né al FTSE MIB né all’indice FTSE Italia Mid Cap) molto simile a quanto previsto dalla disciplina originaria del 2017, superando l’impasse generata dalla legge di Bilancio 2019 con la quale erano stati introdotti dei limiti incompatibili con la natura dei fondi Pir esistenti sul mercato generando un conseguente blocco delle sottoscrizioni che ha comportato nel 2019 una lieve flessione nella dinamica della raccolta netta (-1 miliardo). Nel 2020, in un contesto segnato dal clima di incertezza generatosi con il propagarsi della pandemia di Covid-19, il saldo della raccolta ha registrato deflussi per circa 750 milioni. A fine 2020 lo stock complessivamente totalizzato dai 71 fondi Pir censiti è pari a 17,8 miliardi di euro, circa il 2% del totale dei fondi aperti.
L’impatto sul tessuto produttivo
Come già registrato negli anni precedenti, l’impatto sui segmenti di mercato azionario meno capitalizzati è stato più che positivo. A fine 2020 le partecipazioni detenute dai Pir ordinari rappresentano il 10% del flottante dei segmenti AIM e Mid Cap e il 9% del segmento Small Cap. In termini assoluti le risorse ammontano a quasi 4,5 miliardi.
Il dato più interessante è sicuramente quello dell’AIM, il mercato delle Pmi ad alto potenziale dove le risorse confluite ammontano a 200 milioni di euro. Di questo importo circa il 70% è investito in aziende con meno di 250 dipendenti e fatturati costantemente in crescita a seguito della quotazione. L’azienda target quotata su AIM su cui investono i Pir ordinari presenta i seguenti dati medi: 175 dipendenti e 40 milioni di euro di fatturato, numeri in linea con la definizione europea di PMI. Più del 25% degli investimenti fa riferimento a imprese manifatturiere, il 20% a imprese operanti nel settore ad alto contenuto tecnologico, il 10% a società healthcare.
Il contributo che i Pir potranno fornire ai mercati meno capitalizzati e alle Pmi (anche non quotate) non potrà che crescere con il pieno sviluppo dei Pir alternativi il cui compito principale sarà quello di rafforzare la presenza dei Pir nei segmenti di mercato più illiquidi, non solo in termini di equity ma anche sul fronte obbligazionario. Con i vincoli e le strutture di investimento che assumeranno i Pir alternativi è ragionevole attendersi una crescita dei flussi destinati al mondo del Private Debt e dei minibond, finora non del tutto esplorato dai Pir ordinari.
*Senior research analyst di Assogestioni
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