Secondo i calcoli Morningstar, le nuove linee guida UE interessano due terzi dei prodotti esistenti. Che dovranno eliminare l’etichetta di sostenibilità o disinvestire 40 miliardi di dollari
Oltre 1.600 i fondi ESG europei che rischiano di dover a cambiare nome o che saranno chiamati disinvestire 40 miliardi di dollari. Ecco la stima dell’impatto che le nuove linee guidaEsma potrebbero avere sui prodotti recanti termini legati alla sostenibilità nella denominazione. A elaborarla è Morningstar Sustainalytics, che ha passato al setaccio il proprio database analizzando un campione di 2.500 comparti per i quali è possibile risalire alle partecipazioni azionarie. Un’operazione da cui emerge un bilancio pesante.
Il presupposto della ricerca consiste nel final report che la Consob europea ha pubblicato il mese scorso, un documento in cui si fissano nuovi requisiti di portafoglio per i fondi attivi e gli ETF desiderosi di intestarsi l’etichetta ESG nel nome. Sulla scorta di queste regole, pensate per garantire maggiore trasparenza ma anche arginare il fenomeno del greenwashing, un prodotto che voglia utilizzare parole legate alla sostenibilità deve ora investire una soglia minima dell’80% in asset ESG e rispettare le esclusioni stabilite dalla normativa UE per PAB e CTB. Sei le espressioni che fanno scattare i requisiti minimi: ambientale, sostenibilità, impatto, sociale, governance e transizione. Le nuove disposizioni entreranno in vigore tre mesi dopo la pubblicazione delle traduzioni delle linee guida e, per i veicoli esistenti, è previsto un periodo transitorio di sei mesi per adeguarsi o cambiare nome.
Coinvolti due terzi dei prodotti
Morningstar ha identificato circa 4.300 fondi UE con nomi contenenti termini ESG o legati alla sostenibilità che potrebbero rientrare nell’ambito delle nuove guidelines. Dei 2.500 comparti con informazioni sulle partecipazioni azionarie sottostanti, più di 1.600 detengono almeno un’azienda che potenzialmente viola le regole di esclusione dei PAB o dei CTB. Insomma, circa due terzi del campione dovranno con tutta probabilità prendere in considerazione la possibilità di rinnovare il marchio o disinvestire dalle società passibili di esclusione. E se tutti questi fondi scegliessero la seconda opzione, mantenendo il proprio nome, i disimpegni arriverebbero a sfiorare i 40 miliardi di dollari.
“Nell’interpretare le regole e nel reperire i dati”, viene spiegato dal report, “i manager decideranno fino a che punto spingersi nella catena del valore delle aziende e valuteranno le relative implicazioni sul portafoglio”. Ma la previsione è che, a causa della natura rigorosa delle esclusioni PAB, molti comparti finiscano per eliminare l’etichetta ESG mentre alcuni vangano riposizionati come fondi di transizione. Nella migliore delle ipotesi, secondo Mornigstar Sustainalytics, solo il 56% dei veicoli che hanno nel nome il termine specifico “sostenibile” riusciranno a mantenerlo se la soglia minima per un’allocazione “significativa” in investimenti ESG fosse fissata al 30%: il restante 44% dovrebbe invece aumentare la propria esposizione a questi asset, modificare la metodologia di investimento o rinnovare il marchio.
Per quanto riguarda i settori più colpiti dai potenziali disinvestimenti, al primo posto c’è ovviamente l’energia (40%). Seguono poi l’industria (26%) e i materiali di base (12%). A livello geografico, il prezzo più alto in termini di valore di mercato lo pagherebbero invece Stati Uniti, Francia e Cina, mentre in termini di numero di aziende, oltre a Pechino e Washington, figura anche l’India. TotalEnergies, Tencent Holdings, Ecolab e Shell i titoli maggiormente penalizzati.
Ma non è tutto greenwashing
Hortense Bioy, head of Sustainable Investing Research di Morningstar Sustainalytics
Hortense Bioy, head of Sustainable Investing Research di Morningstar Sustainalytics, crede che le implicazioni di questa svolta normativa saranno significative. “Ha il potenziale di rimodellare completamente il panorama dei fondi ESG in Europa, con migliaia di prodotti che cambieranno nome o modificheranno i loro portafogli per adeguarsi”, sostiene. Dal suo punto di vista, però, tale rimpasto non significa che tantissimi fondi si siano effettivamente macchiati di greenwashing: molto più semplicemente finora non esistevano standard. “Le linee guida hanno il vantaggio di stabilire requisiti minimi e dovrebbero portare maggiore chiarezza agli investitori su ciò in cui stanno investendo”, afferma Bioy.
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