Risparmio, ai massimi la propensione a investire degli italiani
Osservatorio Anima: la capacità di risparmio si conferma elevata e in crescita. E aumenta l'interesse per i prodotti finanziari, che superano il mattone nella classifica dei preferiti
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La sfida climatica e quella della giusta transizione rimangono punti di urgenza che non possono più essere ignorati. E, nonostante l’attenzione per la sostenibilità possa apparire diminuita, le Sgr hanno ormai sposato l’Esg e l’engagement come elementi essenziali del loro approccio agli investimenti. Questo è stato il fulcro della discussione alla conferenza “È ancora tempo di Esg!” organizzata da Assogestioni nella seconda giornata del Salone del Risparmio, in cui protagonisti accademici e dell’industria del risparmio gestito si sono confrontati sulle sfide della sostenibilità e hanno tracciato un bilancio delle ultime evoluzioni normative e di mercato.
“Il tema Esg non è più sulla bocca di tutti, come si vede anche dai titoli delle conferenze di questa edizione del Salone. Eppure è ancora tempo di Esg ed è essenziale concentrarsi su queste tematiche”, ha esordito Manuela Mazzoleni, Direttore Sostenibilità e Capitale Umano di Assogestioni, introducendo i lavori in un panel che ha coinvolto Marco Becht, Professore di Finanza all’Université libre de Bruxelles ed Executive Director del European Corporate Governance Institute (ECGI), insieme a Michele Siri, Direttore del Jean Monnet Center of Excellence EUSFIL e professore presso l’Università di Genova. “Intanto, non sono superate le questioni che portavano la sostenibilità all’interno dell’attività di investimento. Inoltre, dobbiamo prendere atto che la sostenibilità è intrinsecamente parte della normativa, il 40% degli AUM in Italia sono investiti in fondi articolo 8 e 9, quindi i gestori hanno risposto a una domanda di sostenibilità da parte degli investitori. Peraltro – ha proseguito l’esperta – la Csrd entrrà progressivamente in vigore nei prossimi anni e già oggi gli emittenti si stanno ia preparando a fare reporting sulla base di criteri Esg standardizzati preparati dall’Efrag, quindi non sarà più possibile per gli investitori non prendere in considerazione le performance di sostenibilità delle società”.
Becht ha convenuto che, effettivamente, “è ancora tempo di Esg, oggi più che mai”. Il professore ha riflettuto su un duplice approccio al rischio climatico, in termini sia di risk management sia di atto politico, in qualche modo di “atto di fede”. “Un esempio di questa intersezione tra gestione del rischio e movimento politico è rappresentato dal concetto di disinvestimento. Nel 2009, gli scienziati hanno introdotto il concetto di ‘carbon budget’, ovvero la quantità di CO2 che possiamo bruciare per rimanere entro i due gradi di surriscaldamento globale. E Carbon Tracker nel 2011 ha studiato le emissioni delle quotate e ha mostrato quali società non si sarebbero potute più permettere di bruciare ulteriore carbonio, uno studio che ha portato alla creazione dell’indice Carbon Underground 200”. Ma il mercato non sempre è sensibile al tema, ha osservato Becht, interrogandosi su come vada affrontata questa sfida: con la gestione del rischio o rimuovendo tali società dal portafoglio?
“Bill McEven, attivista climatico, ha proposto un movimento sociale che utilizza il sistema di attivismo applicato in Sudafrica per abbattere l’Apartheid e considera il disinvestimento come lo strumento per mettere pressione sulle società. Questo approccio ha già portato a risultati significativi, con istituzioni come Oxford, Harvard e persino il Vaticano che hanno scelto di disinvestire. Tuttavia, un’iniziativa del genere non rientra nella mera gestione del rischio, ma si caratterizza come un impegno politico concreto”. Se invece si parla di gestione del rischio, ha continuato Becht, occorre riflettere sul fatto che nonostante gli stringenti impegni sulla decarbonizzazione spesso non si riscontra nelle assemblee un impegno delle istituzioni finanziarie a votare per risoluzioni finalizzate a gestire il rischio climatico. “È assolutamente ancora tempo di Esg, ma dobbiamo chiarire se si tratti di un atto di fede, assolutamente legittimo, o se è questione una gestione del rischio; in questo caso, allora va gestito non solo nei prodotti Esg ma ovunque, e comporta un importante impegno nelle votazioni in assemblea”.
Siri ha poi riflettuto su quanto la sostenibilità sia ormai una strada obbligata. “Siamo abituati a pensare che sia la domanda dei fondi a spingere l’attenzione dei policy maker. Ma i fattori Esg sono fondamentali per il corretto funzionamento dei mercati, indipendentemente dalla domanda degli investitori, per garantire l’efficienza del mercato e dei meccanismi di formazione dei prezzi, soprattutto per quanto riguarda il rischio ambientale”. Questo fa sì che le società che non valorizzano adeguatamente il rischio climatico inizino a trattare a sconto, che porta con sé il rischio di un accesso al capitale a costo più elevato (e in questo senso, aggiunge Siri, si stanno orientando le richieste della Bce alle banche).
In tale contesto, ha continuato Siri, “è giusto interrogarci sulla direzione futura dell’Esg. Su questo fronte, la revisione della Sfdr sarà cruciale per il futuro, ma è necessario semplificarne l’applicazione e chiarire la differenza tra gli articoli 8 e 9. Anche la frammentazione e l’eterogeneità delle autorità di supervisione nazionali sono sfide che devono essere affrontate per garantire lo sviluppo di un mercato dei capitali Esg più efficiente e integrato. È una partita fondamentale perché non si tratta di seguire un trend di mercato ma di capire come vogliamo il nostro edificio del mercato interno dei capitali. Questa revisione può avere effetti di grande portata che andranno anche al di là delle singole questioni che verranno affrontate”.
Nel successivo panel, esponenti del mondo delle Sgr hanno dibattuto su come sia cambiato il settore con la Sfdr e sul bilanciamento tra sostenibilità e risultati. Alexia Giugni, Head of Coverage Emea di Dws e presidente del Comitato Sostenibilità di Assogestioni, ha sottolineato che oggi la sostenibilità è un tema di costruzione del portafoglio, aggiungendo che con il regolamento l’industria è stata portata a eliminare dai portafogli una serie di azioni legate ai combustibili fossili. “Ma gli investitori hanno la responsabilità con la governance e l’engagement di far cambiare gli emittenti. Noi dobbiamo avere la possibilità di investire ancora in queste società perché solo in questo modo possiamo far abbattere il loro carbon footprint”. Ma la sostenibilità paga: in prospettiva, gli indici Esg evidenziano rendimenti attesi maggiori rispetto a quelli non Esg.
“Il dibattito attuale sul valore della sostenibilità, specialmente negli Stati Uniti, mette in evidenza la lungimiranza delle istituzioni europee nell’identificare e promuovere cambiamenti strutturali in grado di impattare la nostra società e i mercati finanziari”, ha dichiarato Federica Calvetti, Head of Esg and Strategic Activism di Eurizon, che ha rilevato alcune criticità da superare. In particolare, il fatto che la Sfdr abbia dato all’industria un linguaggio comune, che però è stato interpretato in modo differente a causa della carenza di dati univoci, che ha portato anche a un deludente allineamento dei fondi alla Tassonomia. Ma i segnali del mercato sono incoraggianti: attualmente, dei 20 trilioni di AUM in fondi europei il 53% riguarda fondi articolo 8 e un residuale 3-4% riguarda fondi articolo 9.
Elena Ferrarese, Head of Italian Equities di Amundi Sgr, ha spiegato che l’approccio della sua società si focalizza soprattutto sull’engagement per promuovere il cambiamento. “Quest’anno i fondi Pir italiani sono stati arricchiti con un processo di engagement su tutti gli emittenti in portafoglio”, sebbene ci siano delle sfide legate a dimensione delle società italiane. Per questo, ha sottolineato, è bene considerare le specificità dell’azienda e trovare un equilibrio tra sostenibilità e risultati. “Ma guardiamo nel lungo termine, ed è per questo che l’engagement si sposa bene con il nostro processo”. Anche perché, ha aggiunto, il valore di un’azienda è perpetuato all’infinito, quindi per definizione chi non ha un business sostenibile non potrà creare valore.
Opinione condivisa da Carmine Da Fermo, Deputy chief investment officer di Sella Sgr, il quale dopo aver ricordato che la Sfdr ha portato le Sgr a ragionare non in termini di prodotto ma di ripensamento della società, ha sottolineato che non è assolutamente vero che intraprendere scelte sostenibili porti a risultati negativi. “Se poi aggiungiamo la variabile del rischio, ci rendiamo conto che investire in società che riescono a gestire i rischi in maniera virtuosa porta benefici”.
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