Un confronto tra Rota (Assogestioni) e Martone (Demia) sulle implicazioni della silver economy per il gestito a partire dai dati dell’ultimo Osservatorio Sottoscrittori. Spazio ai giovani ma i senior di domani chiedono prodotti ad hoc. E sull’asset allocation serve allineare i portafogli con la teoria del life-cycle investing. Donne e Sud due ‘segmenti’ in cui si può crescere
Con gli ultra-sessantacinquenni che nel 2040 rappresenteranno il 32,4% della popolazione italiana e le aspettative di vita destinata a sfiorare i 100 anni (dati Kpmg e Aipb), l’evoluzione del quadro demografico si fa sempre più importante per creare soluzioni di gestione del risparmio adatte a nuove esigenze di vita. A confermalo c’è anche l’ultima edizione dell’Osservatorio sui Sottoscrittori di fondi comuni d’investimento, la pubblicazione annuale con cui Assogestioni fotografa il segmento a maggiore partecipazione retail dell’industria. Secondo lo studio, è infatti vero che i risparmiatori più giovanistanno iniziando a far sentire la propria voce ma la quota senior degli 11,1 milioni di clienti in cui si articola il mercato rappresenta ancora il 41% del totale e il 70% del patrimonio si concentra nelle mani del 25% più ricco. Un’evidenza che ha fornito a FR|Vision lo spunto per coinvolgere in un dibattito sulle implicazioni socioeconomiche della silver economy due esperti: Alessandro Rota, Direttore Ufficio Studi dell’Associazione, e Diego Martone, amministratore delegato nonché fondatore di Demia. A partire da un presupposto di fondo: non c’è un unico identikit.
La dimensione e l’importanza del lungo lavoro di screening su cui si basa il report sono state restituite da Riccardo Morassut, Senior Research Analyst dell’Associazione, in occasione dell’evento con cui il 2 luglio è stata presentata la ricerca alla stampa. “La rappresentatività del campione analizzato è pari alla quasi totalità dei fondi detenuti dalle famiglie italiane”, ha spiegato Morassut, che ha sottolineato come il controvalore complessivo di attesti a 198 miliardi di euro. Computando anche i 347 miliardi di prodotti esteri”, ha quindi aggiunto, “il patrimonio monitorato arriva a toccare i 445 miliardi e a rappresentare l’81% dell’universo in esame”. Parole che fanno capire come, proprio nell’anno compie 40 anni, il mercato degli strumenti finanziari per i risparmiatori abbia raggiunto una mole di 546 miliardi e sia diventato il più grande d’Europa dopo quello tedesco.
Ricchezza concentrata. Ma il mercato è accessibile
Alessandro Rota, Direttore Ufficio Studi Assogestioni
A fronte di un investimento medio di 49mila euro, il dato mediano si posiziona invece in un intervallo compreso tra 13mila (per i prodotti italiani) e 21mila euro (per gli esteri). Questo gap, con il 25% più ricco che detiene quasi il 75% del patrimonio impiegato, è sì in linea con le recenti stime secondo cui l’80% della ricchezza finanziari si concentra nel 30% delle famiglie (Bankitalia) ma può essere letto anche in altra luce. “Metà del pubblico è in grado di accedere con cifre inferiori a 20mila euro”, afferma ad esempio Rota, che sottolinea come lo strumento fondo abbia anche natura formativa oltreché democratica: “Rappresenta di per sé un atto basilare di educazione finanziaria che può aiutare a trasferire i valori della diversificazione e della programmazione dei risparmi”.
Sottoscrittori: concentrazione del patrimonio
Fonte: Ufficio studi Assogestioni
Nuovi entranti e vecchie conoscenze
All’interno di questo quadro, l’importanza delle dinamiche relative all’invecchiamento emerge proprio dai risultati sulla modalità di sottoscrizione e dal relativo spaccato demografico. Se infatti gli over 55 continuano a pesare il 41% sul totale, mantenendo l’età media nazionale del campione invariata a quota 61 anni, i risparmiatori della Generazione X (43-58 anni) aumentano la loro incidenza sul dato complessivo dal 28% al 29% mentre gli under 40 guadagnano due punti e arrivano a cubare il 15%. Secondo Rota, “la fotografia è in realtà positiva perché evidenzia come lo strumento fondo stia aiutando anche le nuove leve a entrare nel mondo del risparmio gestito”. Anche se, per Martone, l’età media non deve stupire poiché “un profilo maturo è conseguenza diretta di maggiore stabilità lavorativa dei senior e quindi sia di redditi più elevati sia di maggiore propensione a investire”.
Sottoscrittori e investimento medio per età
Fonte: Ufficio studi Assogestioni
E la teoria del life-cycle viene disattesa
Smentita, ed è un altro dato in linea con fenomeno della silver economy, la teoria che vorrebbe importi maggiori concentrati nei soggetti con meno anni sulle spalle e quindi più avversi al rischio: è pari a 58mila euro l’ammontare investito dai Boomers, a 66mila quello della Silent Generation e addirittura a 83mila quello della Greatest. Una distribuzione che fa il paio con altri due dati: sempre ai figli del boom economico è infatti riconducibile il 48% degli investimenti mentre Millenials e Gen Z si spartiscono meno di un terzo della torta (24% e 6%), con impegni medi rispettivamente di 21mila e 13mila euro. “A giustificare questo spaccato c’è innanzitutto la generale tendenza della popolazione a invecchiare”, dice Martone, che elenca una serie di dati a riprova di una transizione demografica ormai imminente: entro il 2050 gli over 85 passeranno dal 4% al 7,5% mentre gli over 65 dal 23% al 32%, il tutto mentre le prospettive di vita dopo i 65 toccheranno i 22 anni per gli uomini e i 25 per le donne. “Si sta diffondendo la consapevolezza che esiste una nuova stagione della vita nella quale può essere utile o addirittura necessario far fruttare il proprio denaro e incamerare rendimento”, è dunque la considerazione dell’esperto. Che subito dopo introduce anche un tema culturale: “Le nuove generazioni tendono ad associare la parola risparmio al concetto di ‘minor spesa’ per l’acquisto di beni o salvaguardia delle risorse ambientali piuttosto che di investimento”.
Tocca invece il 47% la quota di sottoscrittori donne. E, sebbene sia vero che il restante 53% degli uomini detiene il 55% dell’importo complessivo e investe mediamente di più (51mila euro contro 47mila) il dato risulta più che positivo: “In 20 anni il gap si è ridotto dal 16% al 6% e nel prossimo decennio dovrebbe chiudersi del tutto”, afferma Rota, che precisa come per alcune sgr il risparmio in rosa sia addirittura già predominante. Ma se è vero che questo dato testimonia una maggiore centralità del gentil sesso nella nostra società e nell’industria in particolare, il Direttore dell’Ufficio Studi di Assogestioni sottolinea una certa carenza di campagne promozionali per catturare nuove potenziali risparmiatrici. View con cui concorda Martone, secondo una proficua fetta di mercato da ‘aggredire’ consiste proprio negli oltre 3 milioni di vedove che si ritrovano a dover amministrare il patrimonio familiare. A differenziare le donne resta invece l’asset allocation: il portafoglio in rosa appare infatti piùprudente, con una quota azionaria pari al 22% contro il 28% della controparte maschile e i fondi obbligazionari o di altri tipi che crescono di complessivi sei punti.
Sottoscrittori per genere
Fonte: Ufficio studi Assogestioni
Asset allocation: giovani troppo prudenti
Anche la composizione di portafoglio è un elemento che fa emergere diversi spunti legati all’età. Sebbene infatti il peso dalla quota azionaria diminuisca all’aumentare degli anni (si va dal 32% dei Millenials al 13% della Greatest generation), Rota sottolinea come l’aderenza alla letteratura finanziaria sia solo teorica: “Non v’è dubbio che le curve diminuiscano ma partono da troppo in basso e ciò testimonia come i giovani siano eccessivamente prudenti”. Una circostanza che, secondo l’esperto, crea spazio per i fondi life-cycle anche nel mercato previdenziale: “Incorporano tale andamento e delegano all’asset manager la gestione della vita dell’investimento”. “Il presentismo di oggi fa sì che esistano tanti life-cycle”, osserva invece Martone, sottolineando come il 25% di equity in mano ai Boomers risponda all’esigenza sia di assicurarsi una vecchiaia soddisfacente sia di aiutare le nuove generazioni anche nell’ambito dei passaggi ereditari.
Asset allocation per età
Fonte: Ufficio studi Assogestioni
Un’Italia spaccata a metà (ancora)
A livello geografico, l’Emilia-Romagna è la regione con il maggiore tasso di partecipazione (29,3%) ma Lombardia (27,1%) e Piemonte (26,6%) la seguono a stretto giro. Queste due aree, insieme alla Liguria, sono anche quelle in cui l’investimento medio è più alto: rispettivamente 55.212, 54.971 e 54.841 euro. Il Settentrione è infine primo anche per investimento complessivo: i clienti residenti in questa area detengono il 69% del totale, con il 43% al Nord-Ovest e il 26% al Nord-Est, mentre gli investitori del Sud hanno il 9% del portafoglio generale e quelli delle isole il 4%. “Dal Lazio in giù non si supera un tasso di inclusione del 10%”, spiega Rota, che però interpreta il dato come la testimonianza di uno spazio d’espansione a disposizione dell’industria. “Nel Mezzogiorno gli investimenti assumono molto spesso forme più liquide e rassicuranti ma chi alloca capitale ai fondi lo fa con importi medi non inferiori a 40mila euro”, precisa. Da qui, la sua convinzione che serva rafforzare architettare modi per associare la presenza fisica necessaria alla consulenza finanziaria con modalità di distribuzione digitali che conferiscano maggiore capillarità. “Il digitale può aiutare ma non è sostitutivo della presenza fisica”, puntualizza invece Martone, che attribuisce invece parte del gap a un minor sviluppo delle reti in certe zone del Paese.
Sottoscrittori per residenza
Sulla destra, un confronto con la concentrazione della popolazione residente calcolata dall’Ista. Fonte: Ufficio Studi Assogestioni e Istat
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