La crisi fa salire ancora l’interesse per la finanza. Specie tra i giovani. I social sono il canale preferito, ma il passaparola resta la migliore garanzia. Asset allocation, Pac snobbati: si conferma il primato di Btp e liquidità. L’Osservatorio di Pictet AM
Incertezza di mercato e complessità macro stanno spingendo l’interesse per i temi della finanza. Soprattutto da parte delle nuove generazioni, che accedono all’educazione finanziaria sempre più tramite i social ma non negano di sentirsi insoddisfatte per la qualità dei contenuti proposti o l’inadeguatezza dei referenti. Sono le principali conclusioni dell’Osservatorio “Diventareinvestitori”, la ricerca realizzata da Pictet Asset Management in collaborazione con l’istituto di ricerca Finer Finance Explorer e presentata il 25 ottobre a Milano. Dal sondaggio, che quest’anno ha coinvolto i risparmiatori di altri quattro Paesi, emerge anche una forte predilezione del pubblico retail per bond, immobili e liquidità mentre le azioni risultano trascurate da ogni fascia d’età. Un ulteriore cortocircuito che va spezzato se si vuole evitare che i 2mila miliardi di risparmi tricolore restino improduttivi o vengano addirittura erosi dell’inflazione.
Il punto di partenza che ha ispirato la casa di gestione nella realizzazione dello studio risiede in un numero: i 2mila miliardi di euro con cui Federazione Autonoma Bancari Italiani (Fabi) ha recentemente quantificato il risparmio dell’intera Penisola. Una cifra in grado di ripagare tutto il debito pubblico nazionale ma che, oltre a rimanere per gran parte immobile sui conti correnti, ha finito per essere erosa di oltre 50 miliardi dal carovita nel primo trimestre del 2023. Ecco allora che, se il Paese vuole uscire dalla situazione di crisi in cui si trova, diviene fondamentale mettere quante più persone possibili nella condizione di poter gestire con consapevolezza i propri risparmi.
Cresce l’interesse, ma resta un gap da colmare
Lo studio, che confronta la situazione della Penisola con quella di Spagna, Francia, Germania e Regno Unito, ha mostrato un ulteriore miglioramento del rapporto tra italiani e finanza nel 2023: la quota di sondati che si dichiara molto o abbastanza interessata è infatti passata dal 76% del 2023 all’85% del 2021 e si è perfino portata sullo zero la percentuale di ‘esclusi’, cioè di coloro che si dichiarano estranei ai temi della gestione del risparmio. Un miglioramento al quale hanno contribuito, sostiene la ricerca, soprattutto le sfide insite nello scenario presente: dalle tensioni geopolitiche al rialzo dei tassi, passando per l’inflazione e le difficoltà di accesso a nuovi prestiti. A fronte del generale passo in avanti, l’attitudine a informarsi si conferma però legata soprattutto all’entità del patrimonio: raggiunge il totale campione per i clienti private (da 500mila a 5 milioni di euro), scende al 97% per gli affluent (da 50mila a 500mila) e al 91% per i mass market (da 10mila a 50mila euro), tocca il 72% nel caso di liceali o universitari. Insomma, c’è ancora un divario da colmare tra chi investe e chi no.
I giovani stanno migliorando
Se è vero che un gap rimane, l’osservatorio non manca di sottolineare come siano proprio i giovani ad alimentare le speranze di una maggiore inclusione finanziaria. Al di là del patrimonio, infatti, la fetta di popolazione ad aver aumentato di più il proprio interesse è quella rappresentata dagli studenti over 18: dal 51% al 78% nel giro di appena due anni. Non solo. Pur in uno scenario che vede i due terzi degli intervistati dedicarsi all’approfondimento solo una tantum, la stessa categoria anagrafica si rivela essere anche quella più costante: il 50% dichiara infatti di dedicare uno spazio all’informazione economico-finanziaria continuativo, sia esso giornaliero o settimanale. Dato che testimonia la necessità di alfabetizzazione finanziaria fin dalla tenera età e fa il paio con il 49% di gradimento sull’aggiunta di temi afferenti nei programmi scolastici di educazione civica.
In tanti sanno di non sapere. Ma cambiano le ragioni
La complessità del mercato, spiega lo studio, ha fatto crescere in tutti i segmenti la percentuale di quanti ritengono le proprie conoscenze inadeguate. Quattro investitori private su dieci, ad esempio, non si reputano sufficientemente preparati mentre si arriva al 75% tra gli studenti. Il risultato è che, sul totale del campione, la quota di chi si dice desideroso di aumentare le proprie competenze finanziarie è aumentata dal 31% al 39%. Un dato che va letto in una cornice ben precisa: quella delineata dal ricorso sempre più diffuso ai social. L’uso delle piattaforme come principale canale di informazione è infatti passato dal 27% al 34%, quello degli eventi digitali ha guadagnato il 10% mentre chi dichiara di servirsi di stampa e tv è passato dal 29% al 10%. Tuttavia, questa evoluzione del set di strumenti non trova corrispondenza nel gradimento per il servizio. Se nel 2021 la difficoltà nel comprendere la materia era considerata la prima barriera all’effettivo miglioramento delle nozioni finanziarie (31%), oggi è la percezione contenuti scarsi o referenti affidabili a farla da padrona (35%). Con un incremento più marcato su quei segmenti, come il mass market, che più faticano a orientarsi nell’offerta web. In altre parole, Internet è una risorsa fondamentale ma troppo poco controllata e quindi potenzialmente foriera di sgradevoli sorprese.
Instagram preferito da giovani. Ma il passaparola resta
Se la centralità dei social network appare ormai trasversale rispetto al campione (investitori e non, più o meno ricchi, giovani o anziani), sia pur con opportune differenze tra fasce di età sulle singole piattaforme (Facebook e LinkedIn sono le più usate dai maturi, Instagram e Telegram quelle più in voga tra i giovani), il +17% di fiducia fatto registrare dal web nei 12 mesi appena trascorsi non è sufficiente a portarlo in testa alla classifica dei referenti. Questa posizione resta ad appannaggio di amici e conoscenti con il 44% di preferenze. Tanto più che, in scia alle lamentele su qualità dei contenuti e degli interlocutori, gli influencer e i blog indipendenti registrano un calo.
Daniele Cammilli, head of marketing di Pictet Asset Management
Sul tema si è espresso anche Daniele Camilli, head of Marketing di Pictet AM. Dal suo punto di vista, l’incremento dell’utilizzo e della fiducia per i social ha diverse conseguenze: “Sempre più persone li scelgono come canali informativi di riferimento per via della loro facile fruizione e dei contenuti coincisi, a discapito dei mezzi che permettono una maggiore profondità di analisi. Circostanza da cui consegue un’equiparazione, in termini di visibilità, tra professionisti della materia e informal advisor dal background finanziario non certificato”. Non solo. Per quanto prevalga il segnale positivo di un avvicinamento alla materia, che aiuta ad abbattere il tabù secondo cui la finanza è complessa, Camilli ritiene che la scelta di Instagram e affini sia sintomatica della tendenza a “volere le giuste informazioni senza eccessivo impiego di tempo o sforzo”. Un desiderio che finisce per scontrarsi con la realtà e produrre l’effetto di insoddisfazione già segnalato.
La visione di lungo periodo sconfitta dal presentismo
La tendenza a informarsi su canali che offrono contenuti semplici e immediatamente fruibili è però spia anche di un altro problema, che si riscontro a livello di costruzione del portafoglio. Un secondo cortocircuito che viene segnato anche dai desiderata di impiego finanziario: la predominanza di una visione a breve o brevissimo termine. Preso il totale campione dei non investitori, la preferenza in caso di nuovi impieghi risulta essere ancora quella per la liquidità. E questo nonostante i molteplici richiami dell’informazione specializzata sull’effetto erosivo del potere d’acquisto dei capitali disinvestiti in un contesto di alta inflazione e rialzo dei tassi. Ancora, il grosso dei portafogli risulta carico di titoli governativi italiani (45%) e di investimenti immobiliari (21%) mentre le azioni si fermano all’11% a scapito della diversificazione del rischio. Analizzando poi la propensione all’investimento per fasce d’età, emerge un ulteriore paradosso: i giovani dovrebbero essere i più orientati all’equity, eppure il capitale di rischio dimostra di cresce d’attrattività solo con l’avanzare dell’età. Un’evidenza che fa il paio con lo scarso interesse dimostrato dagli under 35 per i Piani di Accumulo, strumenti ritenuti ideali ad iniziare un percorso di pianificazione finanziaria e investimento di lungo periodo. Senza dimenticare che liquidità resta fondamentale: nel campione complessivo è una priorità assoluta mentre, tra i soli investitori, si colloca al terzo posto (16%) dopo obbligazioni (45%) e immobili (21%).
Il ruolo dell’industria (e quello delle istituzioni)
Se il complesso contesto economico e finanziario vissuto negli ultimi due anni ha rappresentato il catalizzatore per una maggiore attenzione verso i temi finanziari, Camilli non ha mancato di sottolineare che gli sforzi da compiere sono ancora molti. “L’accresciuta consapevolezza della materia stenta a tradursi in conoscenza e padronanza degli strumenti di investimento, portando a scelte di investimento inefficienti e focalizzate spesso sul breve termine”, ha detto. Da qui il suo invito affinché gli operatori ricoprano un ruolo “sempre più rilevante” in qualità di promotori dell’educazione finanziaria, anche attraverso modelli di servizio innovativi.
A fargli eco è intervenuto Nicola Ronchetti, fondatore e ceo di Finer, che ha aggiunto un’ulteriore riflessione: “Diventa fondamentale identificare a chi spetta il compito di educare. Oggi le istituzioni restano al primo posto in tutti i principali Paesi europei, seguite da una crescente importanza di scuola e università come luoghi di formazione finanziaria”. Una circostanza che, nella sua prospettiva, mette in evidenza la necessità di sensibilizzare sempre di più e meglio le giovani generazioni”. E, in effetti, negli stessi termini si sono espressi anche gli intervistati. In Italia e Spagna, il 48% identifica lo Stato e i regolatori quali mandatari principali ma a fronte di una crescita di riconoscimento in favore della scuola. In Francia e Germania una persona su tre pone l’università al secondo posto, considerandola un attore sempre più importante. L’unica eccezione è rappresentata dal Regno Unito, dove il 30% ritiene che l’educazione finanziaria rientri tra i compiti dei consulenti.
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