Mentre i mercati si interrogano sulle radici delle recenti turbolenze, gli asset manager guardano già all’evoluzione del quadro. Più occasioni che rischi il mantra. E a crearle sarà soprattutto la Fed. Occhi sull’azionario
Primi tentativi di tornare alla normalità per i mercati finanziari, protagonisti ieri di un tracollo storico in scia ai timori che i dati sull’occupazione USA fossero il segnale di un’imminente recessione per la prima economia del mondo. Dopo aver perso quasi il 12% e trainato i ribassi, l’indice Nikkei di Tokyo è infatti tornato a salire fino al 10,7% mentre i listini del Vecchio Continente si attestavano poco sotto la parità a metà di una seduta piuttosto tranquilla. Intanto i mercati continuano a interrogarsi sulle cause del sell-off, con i gestori convinti si sia trattato di una reazione eccessiva e fiduciosi sulla possibilità che la Federal Reserve intensifichi l’allentamento monetario. Una prospettiva che apre a numerose occasioni di investimentonell’azionario.
Un fenomeno legato al Giappone. E con dei precedenti
Yves Ceelen, head of Institutional Portfolio Management Mandates & Global Balanced di DPAM, crede che il sell-off vada inquadrato nella tendenza storica dei mercati a subire correzioni estive. “L’ultimo caso emblematico è stato quello legato alla svalutazione del Renminbi l’11 agosto 2015”, spiega. E anche questa volta, secondo lui, l’origine è da ricercarsi nei mercati valutari dell’Asia più che negli USA. “Il 31 luglio la Banca centrale giapponese ha alzato il tasso di riferimento di 25 punti base contro lo 0,1% atteso dagli analisti”, precisa, sottolineando come tale scelta abbia colto di sorpresa gli investitori. Quanto alle Fed, Ceelen crede che aspetterà a tagliare i tassi fino alla prossima riunione prevista per settembre o che chiederà un meeting anticipato per calmare le acque. Anche se non è da escludere, conclude, “un’azione coordinata tra i leader del G7 o del G20”.
Secondo Mark Dowding, Fixed Income cio di RBC BlueBay AM, i movimenti di mercato degli ultimi giorni non dipendono dai fondamentali. “L’evoluzione dell’occupazione USA è coerente con un atterraggio morbido e niente fa temere una recessione al momento”, spiega. Anche dal suo punto di vista, dunque, ad innescare l’allentamento sono state le perdite degli hedge fund sulle posizioni corte legate allo yen: “La chiusura dell’esposizioni a causa della scarsa liquidità estiva ha portato a movimenti fuori misura sui mercati, simili a quelli riscontrarti lo scorso marzo sulla scia del crollo della SVB”. In ogni caso, la convinzione dell’esperto è che la Fed procederà con una sforbiciata dello 0,25% a settembre per poi tagliare ancora a dicembre e nel primo trimestre 2025.
Per i gestori, niente recessione. E dalla Fed tante occasioni
“La nostra ipotesi sugli USA è ancora quella di un rallentamento che non porterà a recessione profonda”, afferma Richard Flax, che sottolinea come resti però importante monitorare i dati macroeconomici dei prossimi mesi. Per quanto riguarda le strategie di portafoglio, il cio di Moneyfarm ritiene che i cali di questi ultimi giorni abbiano sì impattato i portafogli a rischio medio-alto ma possano anche offrire l’occasione di aumentare l’esposizione azionaria. “Sul versante del reddito fisso”, prosegue, “vediamo invece emergere i chiari benefici della diversificazione”. I rendimenti obbligazionari sono cioè calati, facendo quindi aumentare i prezzi, in quanto gli investitori hanno cercato dei rifugi sicuri e favorito così i portafogli a basso rischio. Si tratta di una view sostenuta dalla previsione che la frenata economica in vista non sia tale da impattare davvero sulla redditività aziendale: “I margini di profitto americani si sono dimostrati generalmente più resilienti delle aspettative e, anche durante la pandemia, sono diminuiti solo per un breve periodo”.
Alle porte un ritorno di fiamma delle liquidità
C’è però chi intravede nella possibile accelerazione della Fed anche dei rischi. Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte, pensa ad esempio che la minaccia principale sia rappresentata proprio dall’ipotesi di un taglio intra-meeting da parte della banca centrale USA. “Questa scelta accentuerebbe la percezione di una andamento opposto della politica monetaria americana rispetto alla BoJ”, spiega, “aumentando le pressioni sull’apprezzamento dello yen”. Lo scenario base della casa di gestione prevede però che la banca centrale USA proceda a tre o quattro tagli entro fine anno, con l’aggiunta di manovre sulla liquidità come lo stop al quantitative tightening. Da questo punto di vista, il quarto trimestre appare quindi all’esperto un periodo di possibile ritorno della liquidità: “Potrebbero aumentare i buyback dividendi, finanziandoli con emissioni corporate a tassi divenuti più convenienti”.
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