Secondo gli esperti, qualsiasi intensificazione del conflitto in Medio Oriente potrebbe avere ripercussioni significative sul barile. Sorvegliato speciale lo Stretto di Hormuz
L’acuirsi della crisi in Medio Oriente ha riacceso la spia rossa del petrolio sui radar degli investitori. Il Brent si aggira ormai da giorni intorno alla soglia del 90 dollari al barile, tra impennate e ritracciamenti in scia alle indiscrezioni che arrivano dal Tel Aviv. Cruciale resta infatti il tipo di risposta che Israele riserverà all’Iran dopo l’attacco del 13 aprile scorso. Per gli analisti non dovrebbe trattarsi di una ritorsione eccessivamente aggressiva, ma la possibilità che il conflitto possa ampliarsi e bloccare alcune rotte non è esclusa. E porta alcuni a ritenere che il greggio potrebbe presto rivedere quota 100 dollari, con le inevitabili conseguenze su inflazione, banche centrali e mercati.
Con un conflitto più ampio a rischio un terzo della produzione globale di petrolio
Dennis Shen, senior director di Scope Ratings
Sebbene uno scontro militare su vasta scala tra Iran e Israele non rientri nello scenario di base di Scope Ratings, gli analisti dell’agenzia europea avvertono che un conflitto più ampio o uno scontro diretto sconvolgerebbero i mercati globali delle materie prime. “Qualsiasi ulteriore intensificazione del conflitto all’interno della regione, anche se non si trattasse di una guerra regionale su vasta scala, potrebbe avere ripercussioni economiche significative oltre il Medio Oriente, attraverso l’aumento dei prezzi delle materie prime, l’interruzione delle rotte marittime e la propensione al rischio nei mercati finanziari”, evidenziano Dennis Shen e Thomas Gillet.
I due esperti di Scope Ratings fanno infatti notare che una guerra nella regione potrebbe distruggere fino a un terzo della produzione globale di greggio e circa il 15% della produzione di gas naturale. “La produzione di petrolio iraniana è relativamente modesta, pari a circa il 3,5% di quella globale, ma quella di gas naturale è più significativa (intorno al 6%)”, analizzano. Aggiungendo che a livello internazionale, lo Stretto di Hormuz è di importanza strategica per i produttori di greggio tra cui Arabia Saudita (14,5% della produzione globale), Iraq (6%), Emirati Arabi Uniti (4%) e Kuwait (4%). Lo Stretto è cruciale anche per le esportazioni di gas del Qatar (5%), soprattutto verso l’Europa dopo le sanzioni internazionali applicate alle importazioni dalla Russia.
Per Leverage Shares il Brent può superare i 100 dollari quest’anno
Violeta Todorova, senior research analyst di Leverage Shares
Anche secondo Violeta Todorova, senior research analyst di Leverage Shares, le tensioni geopolitiche in Medio Oriente rimangono un rischio fondamentale per i mercati petroliferi. A suo avviso, infatti, un’ulteriore escalation eserciterebbe senza dubbio una pressione al rialzo sul greggio portandolo a superare quota 100 dollari già quest’anno. “I prezzi hanno subito una forte impennata dall’inizio del 2024, grazie all’escalation delle tensioni in Medio Oriente, agli attacchi alle raffinerie russe, all’estensione dei tagli alla produzione dell’Opec+ fino a giugno e ai segnali di un potenziale aumento della domanda di greggio”, fa notare l’esperta. Precisando che il conflitto mediorientale è considerato uno dei principali fattori alla base del rally, in quanto un’ulteriore escalation potrebbe portare a interruzioni dell’offerta, che manterrebbero elevate le quotazioni.
“La forza percepita della domanda è stata uno dei principali fattori alla base dei guadagni del 18% del Brent fino ad oggi, insieme alle forniture più limitate e alle tensioni geopolitiche in Medio Oriente. Dopo aver toccato i minimi a 73,01 dollari a metà dicembre 2023, i prezzi sono rimbalzati fortemente dal supporto e sembrano diretti verso un nuovo test della precedente resistenza chiave di 97,43 dollari”, analizza. Ora, secondo l’esperta, è molto probabile una successiva rottura al di sopra di questa resistenza, dato che il greggio si sta avvicinando al suo periodo di forza, ovvero i mesi estivi nell’emisfero settentrionale.
Le previsioni di Aie e Opec
La Todorova fa anche il punto sulle previsioni. Il 12 aprile l’Agenzia internazionale per l’energia ha ridotto le stime di crescita della domanda da 1,3 milioni di barili al giorno a 1,2 milioni nel 2024 e a 1,1 milioni nel 2025, a causa della crescita economica più lenta e della popolarità dei veicoli elettrici. Inoltre, prevede che i Paesi non-Opec aumenteranno considerevolmente l’offerta globale: la produzione dovrebbe salire di 770.000 barili al giorno fino a 120 milioni nel 2024. E per il 2025, l’attesa è di un ulteriore aumento di 1,6 milioni di barili al giorno. “Le prospettive ribassiste dell’Aie sono in contrasto con le previsioni dell’Opec che vede invece una robusta crescita della domanda per quest’anno e per il 2025”, fa notare l’esperta.
l rapporto dell’Aie ha fatto luce anche sugli aggiustamenti delle previsioni sui prezzi a livello mondiale. E la Todorovaspiega che secondo l’Agenzia il Brent dovrebbe raggiungere una media di 88,55 dollari al barile nell’anno in corso, rispetto alla precedente stima di 87,00 dollari. “Allo stesso modo, i prezzi del Wti dovrebbero raggiungere una media di 83,78 dollari nel 2024, rispetto agli 82,15 stimati a marzo. La revisione è dovuta alle aspettative di una maggiore riduzione delle scorte di petrolio e ai rischi geopolitici in corso”, chiarisce.
Sui mercati la tensione è tornata alle stelle. Per gli analisti, un allargamento del conflitto rischia infatti di alimentare uno shock energetico e finanziario globale. Ecco i possibili scenari
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