Per Mauro Ratto (Plenisfer), il 2023 sarà un anno di volatilità. E per contrastarla servirà sfruttare a pieno la profondità di un’asset class dalla capital structure sottovalutata: i bond. Le strategie del suo nuovo fondo per centrare l’obiettivo
Inflazione resiliente, banche centrali ancora caute e i primi segnali di rallentamento dell’economia che si intravedono all’orizzonte. Secondo Mauro Ratto, co-founder e co-chief investment officer di Plenisfer Investments SGR, la seconda metà del 2023 non sarà priva di incertezze per gli investitori. Ma una risposta efficace alla volatilità può arrivare dal reddito fisso, che non ha sperimentato la grande rinascita prevista a inizio anno ma offre comunque una capital structure più profonda di quanto si pensi. Ecco perché il manager e il suo team hanno lanciato a maggio Destination Dynamic Income Total Return, un fondo obbligazionario che punta ad approcciare l’asset class con una logica multistrategy e senza benchmark di riferimento. Lo abbiamo intervistato per esplorare strategie e obiettivi di questo prodotto.
Tassi, inflazione, crescita (o recessione). Ripetendoci queste parole siamo arrivati ormai in prossimità del giro di boa del 2023. Qual è la sua view sul secondo semestre?
Pensiamo che l’inflazione si dimostrerà un fenomenoresiliente, poiché le decisioni di politica monetaria trasmettono i propri effetti sull’economia con un certo ritardo, che il quadro resterà incerto e imporrà alle banche centrali di mantenere una certa cautela: se la Fed sembra aver raggiunto il picco dei tassi e si prepara a una pausa, la Bce potrebbe protrarre i rialzi in estate. Ci sono i primi segnali di rallentamento economico negli Usa, mentre in Europa la Germania è entrata tecnicamente in recessione, ma non è detto che questa perduri o si allarghi ad altri Paesi. Certamente la possibile contrazione dell’economia, sia negli Stati Uniti che nel vecchio continente, resta un fattore critico da monitorare.
A inizio anno si parlava di un grande ritorno dell’obbligazionario, ma ora i toni paiono ridimensionati. Destination Dynamic Income Total Return, Plenisfer sembra ribadire il suo ottimismo sul reddito fisso?
È così. Diversamente da quanto molti pensano, la capital structure dell’obbligazionario è molto profonda e offre soluzioni di investimento con gradi di sofisticazione estremamente diversi che ben si prestano a fronteggiare la volatilità all’orizzonte: dai classici bond senior a convertibili fino a strumenti a cavallo con l’equity come i titoli AT1. Per chi come Plenisfer è svincolato da un benchmark di riferimento e adotta un approccio multistrategy all’asset class, tutte queste opportunità sono lì da cogliere. Ecco perché crediamo che lanciare ora un fondo con focus sul credito, in possesso delle caratteristiche menzionate, sia la scelta corretta. Il nostro obiettivo è combinare strategie differenti, come tassi a breve termine e spread creditizi, per restituire rendimento che si può trovare a livello globale e in diversi settori: dal finanziario, che in certi segmenti paga fino all’8%, sino a quelli tradizionali, dove è possibile ottenere rendimenti superiori al 5% senza investire su scadenze eccessivamente lunghe.
Quali sono le caratteristiche del fondo e come il concetto di multistrategy viene declinato al suo interno?
Con una gestione attiva puntiamo a creare un portafoglio diversificato a livello di settori e di strumenti di reddito fisso. Quanto alla geografia, invece, analizziamo i premi al rischio disponibili sui mercati obbligazionari internazionali e, se un Paese si rivela particolarmente interessante, guardiamo anche al settore corporate locale. Non manca neppure l’attenzione per i trend secolari, come quello della transizione energetica, nell’ottica di individuare, sempre all’interno dei corporate bond, società solide ma che abbiano anche buone prospettive di generazione di cassa nei prossimi anni. In generale, il portafoglio riflette la nostra visione del mondo e quella che ci aspettiamo possa essere la sua evoluzione nel medio e lungo periodo. Il turnover è quindi limitato, fatti salvi gli aggiustamenti necessari a riflettere l’evoluzione di scenario attraverso un costante ‘data point check’.
Non mancano neppure gli emerging markets. Sotto questo profilo, su quali Paesi e quali titoli vi orientate?
Per noi gli emergenti rappresentano un altro modo per diversificare. Ecco perché la logica di approccio resta quella di sceglierli in funzione delle opportunità e dei rischi derivanti dal quadro macroeconomico corrente. Al momento, vediamo opportunità in Messico, Brasile e Indonesia: tutti e tre hanno infatti adeguato la politica monetaria in anticipo rispetto all’Occidente e si ritrovano a offrire tassi elevati insieme a rendimenti reali appetibili. Inoltre, beneficiano di una ripresa economica che, unita a un’inflazione sotto controllo, contribuirà a sostenere i titoli obbligazionari, mentre le valute potrebbero in alcuni casi aver già incorporato l’apprezzamento potenziale. Non solo: questi Stati si distinguono per fondamentali solidi, dalla bilancia dei pagamenti in equilibrio al basso livello di indebitamento estero. L’unico aspetto da tenere in considerazione è il rischio politico, che noi mitighiamo anche puntando su titoli corporate o governativi emessi in dollari anziché in moneta locale.
Ci sono dei settori su cui puntate di più, ad esempio perché interessati da megatrend o fenomeni secolari?
I tassi ancora alti rendono attraente il settore finanziario, purché al suo interno si selezionino solo banche con forte capitalizzazione e bassa leva. La tecnologia è invece un tema complesso da approcciare sul fronte del credito: trattandosi di un settore storicamente growth e ancora poco strutturato a livello di bilancio, le emissioni di bond scarseggiano e non ci soddisfano in quanto a profilo rischio-rendimento. Ecco perché lo guardiamo lateralmente, attraverso le telecomunicazioni, che sono comunque interessante dalla rivoluzione digitale ma offrono anche una posizione difensiva nell’eventualità di rallentamenti economici. C’è poi la transizione energetica ed ambientale, sulla quale manteniamo un approccio pragmatico: ciò significa, per esempio, guardare a operatori petroliferi che generano cassa ma al contempo hanno avviato un percorso virtuoso a supporto della transizione. Altro settore interessante è il trasporto aereo, specie quello europeo a medio-lungo raggio: la pandemia ha imposto alle compagnie una razionalizzazione dei costi che sta giovando ai fondamentali, mentre la riduzione dei voli permette di mantenere prezzi più alti rispetto al passato. Negli emergenti, lo stesso comparto ci piace per motivi diversi: conformazione del territorio e scarsità di mezzi alternativi rendono indispensabili i voli a corto raggio.
La prospettiva di una possibile recessione negli Usa, unita al tema del rischio default, come impatta sulla componente di portafoglio legata allo stressed e distressed Debt?
Una contrazione dell’economia farebbe alzare il tasso di default al 4%. Questo significa che sarebbero molte le aziende a incontrare difficoltà. Affrontiamo questo tipo di scenario con la strategia ‘special situation’, la lente attraverso cui analizziamo situazioni stressed o distressed, per valutare se società alle corde abbiamo il potenziale per riprendersi con l’ingresso di nuovi finanziatori o programmi di ristrutturazione del debito. Si tratta di una filosofia che decliniamo anche sul fronte del debito sovrano, guardando con attenzione ai cosiddetti frontier markets.
Non solo il nuovo fondo. Destination Value Total Return ha da poco festeggiato il terzo anno sul mercato. Qual è il bilancio di questi 36 mesi e cosa ha in serbo il futuro?
Il bilancio è positivo, specie considerando che abbiamo lanciato il fondo nel mezzo della pandemia, affrontando due cigni neri e il peggior anno dei mercati finanziari dal 2008. A livello organizzativo, abbiamo costruito un team di gestori di esperienza trentennale – che si è recentemente ampliato con due nuovi ingressi senior – supportato da un gruppo di ricerca e analisti, ciascuno con specifiche competenze che vengono messe al servizio del processo comune di analisi, abbattendo i silos della specializzazione. Quanto ai nuovi comparti, vogliamo lanciarne pochi ma estremamente qualificati, sempre guidati da una logica total return e da un approccio multistrategy e svincolato dagli indici.
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