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A marzo prezzi su del 5% a marzo, meno delle stime e ai minimi da due anni. Ma il dato core resta elevato. Per i gestori, il Fomc alzerà i tassi dello 0,25% a maggio e poi si fermerà
Ora i mercati sperano davvero che la Federal Reserve possa rallentare, con una mini stretta a maggio prima di fare una pausa. L’inflazione negli Stati Uniti è infatti aumentata meno del previsto a marzo, con il dato annuale al 5% contro il 5,2% del consenus e il 6% di febbraio: si tratta del livello minimo dal maggio 2021. Meglio del previsto anche su base mensile: l’incremento è stato dello 0,1% a fronte del +0,2% stimato dal mercato. A rovinate la festa resta però la componente di fondo, quella cioè depurata dei prezzi dei beni alimentari ed energetici: seppure coerente con le stime, il dato core è infatti salito dello 0,4% su a livello congiunturale e del 5,6% su base tendenziale (+0,4% e + 5,5% le variazioni del mese precedente).
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Un dato atteso
Il dato di marzo era molto atteso dagli investitori, che stanno cercando immaginare le prossime mosse della Fed sulla base del quadro macro: secondo i dati raccolti dal Cme Group, la tesi più diffusa resta quella di un altro aumento dello 0,25% prima di uno stop. Anche se la convinzione si riduce leggermente. Nello specifico, gli analisti quotano ora al 34,8% l’eventualità di tassi invariati nella prossima riunione del 3 maggio mentre un aumento di altri 25 punti base viene considerato probabile al 65,2%: prima delle rilevazioni del Bureau of labor statistics americano, lo stesso scenario era dato al 73,2%.
“Le cifre sull’inflazione hanno confermato rallentamento forte e costante dai valori di giugno 2022, quando il carovita si attestava attorno al 9%. La principale ragione è la caduta dei prezzi energetici (su base mensile -3,5% rispetto al -0,6% di febbraio). Tuttavia, l’indice core continua a rimanere su livelli molto alti”, osserva Filippo Diodovich, senior market strategist di IG Italia.
Per l’esperto, si tratta di dati che giocano a favore dei membri più dovish del Fomc, e cioè nella direzione di rivedere le strategie monetarie e interrompere il processo di rialzo dei tassi di interesse. “Crediamo che lo stop non sarà a maggio ma nel meeting successivo”, precisa però Diodovich, secondo cui l’istituto propenderà per un nuovo rialzo del costo del denaro di 25 punti base nel mese a venire. “Nel comunicato e in conferenza stampa Jerome Powell utilizzerà toni molto accomodanti, aprendo le porte a un cambiamento di politica monetaria”, sottolinea.
Dello steso parere Jon Maier, cio di Global X, secondo cui la tendenza divergente tra inflazione headline e core sottolinea la complessità dell’attuale panorama. La banca centrale Usa è infatti alle prese con la necessità di affrontare un’inflazione di base persistentemente elevata considerando al tempo stesso il miglioramento dei prezzi complessivi. “La Fed dovrà calibrare attentamente la sua politica monetaria per navigare in questa intricata situazione, assicurandosi che le sue decisioni sui tassi tengano conto sia dell’allentamento dei prezzi generali sia della persistente inflazione core”, afferma Maier. Che conclude: “Nel complesso, con la disoccupazione ai minimi storici, sembra più che probabile che la Fed rimarrà sulla traiettoria dei 25 punti base di aumento dei tassi nella prossima riunione”.
Tiffany Wilding, north american economist di Pimco, evidenzia come i dettagli del rapporto lascino capire che i prezzi si stanno moderando in modo più sostanziale. “L’inflazione nel segmento dei canoni di locazione ha subito una notevole decelerazione mese su mese, suggerendo che gli effetti ritardati della riduzione dei canoni di mercato potrebbero confluire finalmente nel Core price index. Nel frattempo, l’aumento dei costi all’ingrosso dei veicoli usati non è stato trasferito ai consumatori”, chiarisce. “Il Cpi di oggi ribadisce la nostra opinione che la Federal Reserve sia molto vicina a concludere il suo ciclo di rialzi dei tassi, e che la possibilità o meno di un ulteriore rialzo a maggio sia difficile da pronosticare”, conclude la Wilding.
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