L’indice dei prezzi Usa sale del 4,9%, ai minimi da due anni. In linea con le attese il dato core. In Europa Nagel prospetta la fine della stretta ma avverte: tassi alti a lungo
Mentre negli Stati Uniti l’inflazione rallenta ancora e tocca i minimi da due anni, rendendo sempre più concreta l’ipotesi di una pausa della Federal Reserve già nella prossima riunione di giugno, sull’altra sponda dell’Atlantico anche la Banca centrale europea lascia intravedere la fine della stretta. Ma precisa che “c’è ancora tanta strada da fare” e che i tassi resteranno alti a lungo.
Inflazione Usa ai minimi da 2 anni: Powell verso una pausa
L’indice americano dei prezzi al consumo ha segnato in aprile un aumento del 4,9% annuo, il dato più basso degli ultimi due anni e sotto il 5% previsto dagli analisti. Su base mensile l’incremento è stato invece dello 0,4%, in accelerazione rispetto al +0,1% di marzo ma in linea con il consensus. L’inflazione di fondo, quella depurata dei beni alimentari ed energetici oltre che la più importante per la Fed, è salita dello 0,4% a livello congiunturale, mantenendo la stessa velocità mostrata a marzo. La variazione tendenziale si è attestata invece al 5,5% dal precedente 5,6%
I due dati core sono entrambi in linea con le stime: gli analisti si aspettano infatti un rallentamento modesto dell’inflazione di fondo prima di cali più marcati nei prossimi mesi, visto che i numeri sul mercato immobiliare iniziano a riflettere la diminuzione del costo degli affitti e delle compravendite di immobili. Come sottolineato dai dati del FedWatch del Cme, dopo la decisione del Fomc di alzare i tassi dello 0,25%, gli investitori quotano solo al 14,3% un nuovo aumento in esito al prossimo meeting.
Filippo Diodovich, senior market strategist di IG Italia
“I dati sulle pressioni inflazionistiche mostrano un lieve miglioramento ma soprattutto non registrano sorprese negative che avrebbero potuto portare argomentazioni ai membri più falchi all’interno della commissione operativa della Federal Reserve per effettuare ancora un rialzo del costo del denaro nella prossima riunione di giugno”, sottolinea Filippo Diodovich, senior market strategist di IG Italia. Per l’esperto, quindi, il Fomc potrebbe decidere di fare una pausa a giugno, esaminando così ancora più attentamente gli effetti delle politiche monetarie portate avanti negli ultimi mesi sull’economia reale in particolare su prezzi, occupazione, crescita delle attività economiche e salari. “Solamente dati fuori dalla norma nel prossimo report sul mondo del lavoro sulla crescita dei salari potrebbe convincere i banchieri centrali a un nuovo rialzo”, conclude.
Bce, la fine della stretta è vicina ma i tassi resteranno alti
Joachim Nagel, Presidente della Deutsche Bundesbank
Per la Banca centrale europea invece c’è ancora un po’ lavoro da fare sul fronte dei prezzi. Dopo le dure parole del falco Isabel Schnabel, secondo cui l’inflazione core ancora elevata impone a Francoforte di fare di più, il collega tedesco del board, Joachim Nagel, ha lasciato intravedere uno spiraglio di speranza. “Anche se la Bce non ha ancora finito il suo lavoro sui tassi di interesse, la fine del ciclo rialzista si sta avvicinando”, ha detto il governatore della Bundesbank in un’intervista. Precisando che si è “in dirittura d’arrivo, nel senso che si sta raggiungendo l’area in cui la politica monetaria è considerata restrittiva”. “Non abbiamo ancora finito con l’aumento dei tassi, resta del lavoro da fare e dobbiamo continuare a essere determinati”, ha però aggiunto il banchiere centrale, dicendosi fiducioso che la politica monetaria sta mostrando i suoi effetti.
Stessa linea ribadita a stretto giro dalla presidente dell’istituto centrale, Christine Lagarde, che ha sottolineato come ci sia “ancora molta incertezza” dovuta alla guerra in Ucraina e ad “alcuni segnali emergenti di debolezza nella domanda del manifatturiero”. Per questo, secondo la numero uno dell’Eurotower, i rischi sull’inflazione restano “al rialzo” e la Bce ha “ancora strada da fare” per riportarla verso l’obiettivo del 2%. La numero uno dell’Eurotower ha ribadito come le previsioni non contemplino uno scenario di recessione per il 2023 ma invece “ci siano fattori che possono indurre significativi rischi al rialzo per le prospettive di inflazione”. Per questo bisogna essere “estremamente attenti a questi potenziali rischi, in particolare in relazione agli aumenti salariali in vari Paesi europei” , ha avvertito.
Le dichiarazioni di Nagel e Lagarde sono coerenti con le attuali attese del mercato, che si aspetta ancora due rialzi da 25 punti base l’uno a giugno e a luglio, con il picco del terminal rate sui depositi al 3,75%.
Fed e Bce, le strade potrebbero dividersi
Carlo Benetti, market specialist di Gam (Italia) Sgr
Le strade delle due banche centrali potrebbero quindi presto dividersi, come fa notare Carlo Benetti, market specialist di Gam (Italia) Sgr. “La Fed è prossima alla fine di un ciclo restrittivo che si è sviluppato in dieci rialzi consecutivi. La crisi bancaria ci mette del suo inasprendo l’accesso al credito, che equivale a un aumento del costo del finanziamento, e molti osservatori sono convinti che la banca centrale americana sarà costretta a invertire la stance già in estate”, osserva. Al contrario, non è affatto finito il lavoro per la Bce. “Il settimo aumento consecutivo dei banchieri di Francoforte ha portato i tassi dell’Eurozona a 3,25% ma l’esclusione della ‘forward guidance’ e la ribadita dipendenza dai dati lascia al board mani libere per altri aumenti nel prossimo futuro, tanto che le aspettative del mercato interbancario scontano un paio di rialzi quest’anno”, sottolinea.
Secondo Benetti, per capire cosa farà Powell non c’è da tenere d’occhio il solo mercato del lavoro ma anche altri importanti indicatori come i consumi, la produzione industriale, il reddito reale: la combinazione di questi indicatori darà affidabili indicazioni sulla direzione della crescita e la sua intensità. “Gli esiti possibili sono ancora numerosi e tra loro diversi”, sottolinea. In questo caso, anziché scommettere sulla direzionalità, il suo consiglio è di tornare ai fondamentali, e ricordare che non esiste nessuna classe di attivo in grado di offrire reale protezione in qualsiasi scenario. “Nonostante alcune asset class siano considerate ‘porti sicuri’, ad esempio il Treasury o l’oro, in realtà nessuna lo è completamente poiché risulta esposta alle cangianti condizioni dello scenario e agli eventi geopolitici”, conclude.
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