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Possiamo davvero pensare che 200 nazioni attuino strategie comuni per contrastare i cambiamenti climatici? La risposta è probabilmente sì ma non per ragioni di seria preoccupazione ambientale. Ci sarà un accordo solo se la transizione verde sarà vista come una sorgente di profitto dalle nazioni avanzate
La conferenza di Glasgow sui cambiamenti climatici, il COP26, si è chiusa il 12 Novembre 2021 senza la firma di nessuna risoluzione veramente impegnativa. Molti commentatori hanno fatto notare una volta di più la difficoltà di mettere d’accordo un numero così grande di stati molti dei quali hanno interessi divergenti a proposito del clima. E’ lecito domandarsi se mai si raggiungerà un accordo su programmi di contenimento del cambiamento climatico e di riduzione dell’utilizzo di risorse naturali.
In un clima di generale euforia per la ripresa economica post-pandemia, vediamo capi di stato, ministri, funzionari ed esperti lanciarsi in previsioni di spettacolare crescita economica, soprattutto di crescita industriale in senso classico. Le previsioni sono accompagnate da affermazioni che tutto avverrà nel rispetto di rigorose misure di contenimento delle emissioni di gas ad effetto serra e di riduzione dell’impatto ambientale. Ma come è possibile far crescere l’industria come nel passato senza andare verso un disastro ecologico? Come è realisticamente possibile con questi programmi di crescita rispettare la riduzione del 55% delle emissioni entro il 2030 e del 100% entro il 2050 e svincolare la crescita economica dall’uso delle risorse naturali come richiesto dallo European Union Green Deal approvato alla fine del 2019 e dal Fit for 55 approvato nel luglio 2021?
Le molte discussioni della conferenza hanno ribadito i concetti della “crescita verde” (green growth) quale strategia fondamentale per la crescita sostenibile. Crescita sostenibile è un termine introdotto nel 1987 dal rapporto Our Common Future, noto anche come Rapporto Brundtland in onore di Gro Harlem Brundtland, un medico capo della commissione che redasse il rapporto. La Brundtland è stata la prima donna a diventare Primo Ministro della Norvegia nel 1981.
Gro Harlem Brundtland pensava sopratutto alla giustizia sociale mentre la green growth proposta sopratutto dall’Oecd (Organization for Economic Co-operation and Development), dalla World Bank e dall’Unep (United Nations Environment Program) riflette la fiducia che la tecnologia permetterà di risolvere tutti i problemi ambientali. Si pensa che la scienza e la tecnologia permetteranno non solo di ridurre a zero le emissioni nette di gas a effetto serra ma permetteranno anche di risolvere i problemi di scarsità delle materie prime. Green growth è basata sulla fiducia nel potere della scienza e della tecnologia.
La transizione e il profitto
È discutibile se questa fiducia sia ben riposta o no. Sembra oramai chiaro che molti pensano che la produzione di energia elettrica sarà affidata a centrali nucleari. L’Unione Europea ha sostanzialmente riconosciuto che il nucleare è green. L’obiettivo finale è produrre energia con la fusione nucleare che non produce inquinamento e non lascia scorie. Tuttavia, l’utilizzo commerciale della fusione nucleare, ammesso che sia tecnologicamente possibile, è un obiettivo a lungo termine.
A breve e medio termine si pensa comunque di impiegare reattori a fissione. Ci sono molti progetti e molte ricerche per costruire reattori più sicuri e che producano meno scorie. I reattori nucleari sono comunque rischiosi se applicati su larga scala e creano scorie altamente radiottive con tempi di decadimento lunghissimi. Quanto all’impatto sulle risorse naturali si pensa alla sintesi di materiali a partire da componenti abbondanti. Ad esempio, le batterie al grafene evitano l’uso del litio materiale raro. Tuttavia anche questo è un obiettivo a lungo termine.
I dati empirici raccolti fino ad oggi non sono incoraggianti. Per analizzare l’impatto ambientale della tecnologia, Wiedmann et al.[1] hanno introdotto il concetto di Material Footprint (Mf) per indicare la quantità di risorse naturali necessarie per produrre output economico. La green growth dovrebbe portare ad un continuo incremento del rapporto Gdp/Mf. Tuttavia gli studi empirici di Wiedmann et al. e di Jason Hickel e Giorgos Kallis[2] indicano che nei paesi Oecd le serie Gdp e Mf sono collineari, cioè la crescita del Gdp si accompagna alla crescita del Mf. Come abbiamo indicato in due precedenti articoli per questo giornale, a meno di cambiamenti tecnologici al momento imprevedibili, la soluzione va trovata in un cambiamento del tipo di consumi che devono diventare più qualitativi e meno quantitativi. Se accettiamo che la crescita qualitativa sia vera crescita allora il rapporto Gdp/Mf può davvero aumentare e ci si può avvicinare a svincolare la crescita dall’utilizzo di risorse naturali.
Ma torniamo ora al problema iniziale: possiamo davvero pensare che 200 nazioni possano accordarsi su strategie comuni per contrastare i cambiamenti climatici e ridurre il Mf? La risposta è probabilmente sì ma non per ragioni di seria preoccupazione ambientale. Ci sarà un accordo se la transizione verde sarà vista come una sorgente di profitto dalle nazioni avanzate. Se la transizione verde davvero richiedesse decrescita e riduzione dei profitti probabilmente non ci sarebbe alcun modo di fare andare d’accordo tutti su azioni comuni. Ricordiamo che alla fine del COP26 alcune grandi nazioni hanno pubblicamente dichiarato che non intendono rinunciare al carbone per evitare danni alle loro economie.
Se verrà accettato da governi e opinione pubblica che il nucleare è ormai maturo e sicuro su larga scala, le economie avanzate abbandoneranno i combustibili fossili a favore del nucleare e le aziende petrolifere si trasformeranno in aziende nucleari. L’abbondanza di energia pulita dovuta al nucleare e alle rinnovabili farà partire il processo di conversione industriale del tipo “green growth” dei paesi avanzati. Questo processo dovrà essere seguito da tutte le altre economie pena restare tagliati fuori dai mercati. L’argomento che le nazioni si tireranno indietro perché i costi saranno troppo elevati è fallace. La transizione verde sarà un enorme cambiamento tecnologico che porterà enormi profitti a chi disporrà delle tecnologie impegnate nel cambiamento.
Per concludere, la transizione verde può avvenire solo se i paesi avanzati la trovano profittevole. La chiave di volta è l’abbondanza di energia elettrica che è ragionevole pensare dipenda dal nucleare. Se questo accadrà, la conversione verde sarà vista come una enorme sorgente di profitto e trascinerà tutte le nazioni. Tuttavia, se non verrà adottata una strategia di crescita qualitativa, svincolare la crescita dall’uso delle risorse naturali resterà un obiettivo lontano.
* professore di finanza alla Franklin University
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[1] Wiedmann, T. O., Schandl, H., Lenzen, M., Moran, D., Suh, S., and West, J., and Kanemoto, K., 2015, The material footprint of nations, PNAS.,
[2] Is Green Growth Possible?, Hickel, J., e Kallis, G., New Political Economy, 2019
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