Quanto lontano possono spingersi gli ETF attivi?
Numeri in costante crescita e una dinamicità delle gamme prodotto senza pari nel settore. Quali i trend e dove possono arrivare, nell’analisi di Francesco Paganelli, CFA, strategist Morningstar EMEA
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Il caos commerciale scatenato da Donald Trump resta al centro dell’attenzione degli istituzionali. Se infatti a marzo l’appetito per il rischio era crollato in seguito alle minacce del tycoon, per poi tornare in equilibrio a fine aprile, a maggio la pausa sui dazi ha fatto segnare un ritorno all’azionario. Anche a quello a stelle e strisce. È quanto certificano gli Institutional Investor Indicators di State Street, che ogni mese monitorano le partecipazioni degli investitori di lungo periodo e che ora mostrano una decisa ripresa del sentiment.
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In particolare, lo State Street Risk Appetite Index è risalito a quota 0,36, tornando ai massimi da inizio febbraio e mostrando un ritorno al rischio nella seconda metà di maggio proprio in seguito al rinvio dell’entrata in vigore delle nuove tariffe USA. Gli indicatori di partecipazioni degli istituzionali mostrano infatti che le allocazioni azionarie a lungo termine sono aumentate, raggiungendo i livelli toccati per l’ultima volta all’inizio di aprile, prima del fatidico ‘Liberation day’. Complessivamente, l’esposizione all’equity è cresciuta dello 0,9%, mentre quella obbligazionaria è diminuita dello 0,8%.
“Sebbene il tema dei dazi rimanga centrale, i rinvii nell’attuazione e l’effettiva riduzione delle tariffe previste hanno contribuito a migliorare l’appetito per il rischio, insieme a un contesto ancora in gran parte benigno sul fronte inflazione, che ha ridotto i timori di stagflazione”, spiega Dwyfor Evans, head of Apac macro atrategy di State Street Global Markets. Per l’esperto, il punto centrale di questo rafforzamento del sentiment è rappresentato proprio dall’aumento mensile dell’esposizione azionaria, a fronte del calo nell’obbligazionario. “Le allocazioni complessive in equity sono tornate ai livelli della prima settimana di aprile, invertendo completamente la tendenza osservata nelle settimane precedenti. Quelle in liquidità sono rimaste pressoché invariate nel corso del mese”, evidenzia.
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Ciò che non è cambiato è invece l’abbandono del dollaro. Anche a maggio i flussi verso il biglietto verde hanno infatti subito un deterioramento, con le vendite persistenti che hanno portato le posizioni nella valuta USA ai minimi pluriennali, creando una sottoponderazione significativa. Stesso discorso per i Treasury: nonostante un ritorno agli acquisti negli asset sottostanti, in particolare le azioni, le preoccupazioni su inflazione, politica fiscale e downgrade sovrano hanno infatti continuato a pesare sugli investimenti nei titoli del Tesoro americani, con le vendite che si sono intensificate su quasi tutte le scadenze.
Parallelamente, la domanda per il dollaro canadese è cresciuta, con gli investitori che hanno privilegiato le valute legate alle materie prime nei mercati sviluppati. Alla fine di maggio, il posizionamento sul cad era prossimo al quartile superiore. “L’interesse per i mercati europei si è affievolito nel corso del mese, mentre altri mercati hanno beneficiato del disimpegno dal dollaro e dai Treasury”, sottolinea Evans. Che fa notare come questo andamento nasconda però un inizio mese molto forte per l’euro, percepito come valuta rifugio, con flussi inizialmente consistenti che poi si sono indeboliti man mano che la propensione al rischio si è rafforzata.
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I flussi su asset europei si sono quindi indeboliti, con un calo dell’interesse per le azioni dell’Eurozona, mentre gli investitori sono tornati a guardare agli Stati Uniti. “Solo alcuni segmenti del comparto obbligazionario, come i Btp italiani, hanno mostrato resilienza, sostenuti sia dal livello di rendimento che dalle aspettative di continuazione del ciclo di allentamento monetario”, precisa Evans. Anche i flussi sulla sterlina britannica hanno registrato una ripresa, trainata dalle aspettative che la Bank of England avrà difficoltà a procedere con ulteriori tagli dei tassi d’interesse. Infine, nell’area Asia-Pacifico il rafforzamento del dollaro taiwanese a inizio maggio, secondo l’esperto, è in parte attribuibile a politiche orientate all’apprezzamento valutario per contrastare i dazi: “Questo ha favorito il rientro di capitali nella regione, in particolare a favore di azioni e valute locali”, conclude.
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