TFR, solo un italiano su tre ha scelto un fondo pensione
Indagine Moneyfarm: appena il 22% di quanto accumulato dai lavoratori è investito nella previdenza integrativa, il resto è rimasto in azienda. Colpa della disinformazione
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Una conferma, anche nel burrascoso 2021: i fondi pensione rendono più del Tfr. E il sistema tiene, mettendo a segno tassi di crescita simili a quelli pre pandemia. Lo certifica Covip, la Commissione di vigilanza del settore, nella sua relazione annuale, che però lancia un appello al governo sulla scarsa copertura previdenziale delle cosiddette fasce deboli.
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Stando ai dati, al netto dei costi di gestione e della fiscalità, i fondi negoziali e quelli aperti hanno avuto in media un rendimento pari, rispettivamente, al 4,9% e al 6,4%; per i Pip ‘nuovi’ di ramo III, il rendimento è stato invece dell’11%, mentre nello stesso periodo il Tfr si è rivalutato, al netto delle tasse, del 3,6%.
Una conferma, si diceva, visto che il discorso vale anche se si allarga lo sguardo agli ultimi 10 anni. In quest’arco di tempo, il rendimento medio annuo dei fondi pensione negoziali è stato del 4,1%, quello dei fondi pensione aperti il 4,6% e quello dei Pip ‘nuovi’ di ramo III il 5%, mentre rivalutazione media annua del Tfr si è fermata all’1,9%.
“Pur con un’elevata volatilità, l’andamento dei mercati finanziari nel 2021 è stato nel complesso positivo grazie alle iniziative messe in atto da governi e banche centrali per fronteggiare la pandemia, sostenendo la domanda a livello globale e alla diffusione dei vaccini, con il conseguente allentamento delle restrizioni. Ne hanno beneficiato anche i rendimenti dei fondi pensione”, sottolinea l’Authority.
Il 2021 non delude neppure sul fronte degli iscritti che arrivano a quota 8,8 milioni mettendo a segno un aumento del 3,9% rispetto all’anno precedente, per un tasso di copertura del 34,7% sul totale delle forze di lavoro. Le posizioni in essere sono invece 9,7 milioni, comprensive di quelle doppie o multiple, che fanno capo allo stesso iscritto.
In particolare, i fondi negoziali contano 3,4 milioni di iscritti, quasi 1,7 milioni ai fondi aperti e 3,4 milioni ai Pip ‘nuovi’; circa 620 mila sono invece gli iscritti ai fondi preesistenti. Nella ‘fotografia’ degli iscritti si conferma la prevalenza di uomini e delle classi intermedie e più prossime all’età di pensionamento: gli uomini sono infatti il 61,8% degli iscritti alla previdenza complementare (il 73% nei fondi negoziali); il 50,3% degli iscritti ha età compresa tra 35 e 54 anni, il 31,9% ha almeno 55 anni.
Per quanto riguarda l’offerta, alla fine dello scorso anno, i fondi pensione in Italia erano 349. Di questi, 33 fondi negoziali, 40 aperti, 72 piani individuali pensionistici (Pip) e 204 fondi preesistenti. A tale proposito, Covip segnala che il numero delle forme pensionistiche operanti nel sistema è in costante riduzione: oltre venti anni fa, nel 1999, le forme erano 739, oltre il doppio.
Infine, al dicembre scorso, le risorse accumulate dalle forme pensionistiche complementari si attestavano a 213,3 miliardi di euro, in aumento del 7,8% rispetto all’anno precedente: un ammontare pari al 12% del Pil e al 4,1% delle attività finanziarie delle famiglie italiane. I contributi incassati nell’anno sono circa 17,6 miliardi di euro, tornando a crescere su livelli precedenti la pandemia. I contributi per singolo iscritto ammontano mediamente a 2.790 euro nell’arco dell’anno.
Ma il 27,2% del totale degli iscritti complessivi alla previdenza complementare (circa 2,4 milioni) non ha effettuato contribuzioni nel 2021. Non sdolo: oltre un milione di individui non versa contributi da almeno cinque anni.
Tra le leve che si possono azionare per allargare l’adesione ai fondi pensione c’è anche il cosiddetto meccanismo di adesione per silenzio-assenso, utilizzato nel nostro Paese all’avvio della riforma del 2005-2007; oltre a proseguire nel percorso di crescita con incentivi mirati. “L’efficacia di un nuovo semestre di silenzio-assenzio dipenderà dalle modalità della sua concreta realizzazione”, ha affermato il presidente Covip, Mario Padula, sottolineando che nel 2021 il sistema “ha complessivamente confermato una sostanziale capacità di tenuta, con un incremento del numero delle adesioni e dei flussi contributivi e richieste di prestazioni in linea con gli anni precedenti”.
“Donne, giovani, lavoratori delle aree meridionali continuano a essere in modo preoccupante più assenti dal settore della previdenza complementare; proprio quelle figure – ha però avvertito – per le quali, appunto perché più fragili nelle loro condizioni di occupazione, è più urgente il bisogno anche di costruzione di un futuro previdenziale. Affrontare efficacemente tale tema è una priorità, per i fondi pensione e le parti sociali ma anche per il decisore politico. È in gioco il futuro del Paese”.
Per i fondi pensione è inoltre necessario “proseguire in un cammino di crescita, rivedendo in modo mirato il sistema degli incentivi, con l’obiettivo di rendere la previdenza complementare più accessibile, specie a quelle lavoratrici e quei lavoratori che si trovano in una condizione di maggiore marginalità rispetto al mercato del lavoro”, ha concluso Padula.
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