Per la maggior parte degli operatori, Powell non toccherà i tassi il 22 marzo. E il 50% esclude che giovedì Lagarde procederà con l’annunciato ritocco di mezzo punto
Mentre i mercati restano con il fiato sospeso in attesa di capire se il collasso di Silicon Valley Bank sia un fenomeno circoscritto o se invece possano emergere nuove situazioni di stress con ripercussioni sul sistema finanziario globale, gli analisti rifanno i conti sulle prossime mosse delle banche centrali. E ora vedono il 66% di possibilità che la Federal Reserve non tocchi il costo del denaro nella riunione in programma la prossima settimana, mentre si ridimensionano anche le attese sui tassi dell’Eurozona.
Complice il paracadute lanciato dal governo americano, che ha garantito il rimborso di tutti i depositi di Svb, in molti stanno ritoccando le loro aspettative riguardo alla Fed. Gli esperti di Goldman Sachs, tra i primi ad esprimersi, sono convinti che il Fomc non agirà nella riunione 21-22 marzo, mentre prima del crack si aspettavano un aumento di 25 punti base. La banca ha però lasciato invariate le sue aspettative per rialzi di 25 punti base a maggio, giugno e luglio, anche se ha precisato di attendersi una notevole incertezza sul percorso successivo al prossimo meeting. La view è ora di un tasso terminale del 5,25%-5,5%.
Secondo i dati di Refinitiv, invece, i mercati dei future suggeriscono una probabilità di circa l’85% che la Fed scelga di ritoccare il costo del denaro solo di un quarto di punto fino a un intervallo obiettivo compreso tra il 4,75 e il 5%, con una probabilità del 15% che li invece lasci invariati. Si tratta comunque di una netta inversione di tendenza rispetto alla scorsa settimana, quando gli investitori pensavano che una stretta di 50 punti base fosse il risultato più probabile dopo che il presidente il discorso davanti al Congresso con cui Jerome Powell aveva parlato di un’inflazione ostinatamente alta e si era detto pronto a tornare ad aumenti più significativi.
Carlo Benetti, market specialist di Gam (Italia) Sgr
Per Carlo Benetti, market specialist di Gam (Italia) Sgr, il crack di Svb è per la Federal Reserve la “carta matta” che potrebbe cambiare il gioco. “I mercati hanno reagito al dato sul lavoro e alla vicenda della banca californiana con vistosi cali, gli operatori hanno rivalutato l’intensità della stretta monetaria, le difficoltà del sistema bancario potrebbero incrinare la determinazione della Fed, intrappolata tra due obiettivi divergenti, la tutela della stabilità finanziaria e la lotta all’inflazione”, osserva. Secondo l’esperto, per gli investitori le dinamiche dei tassi restano la bussola delle scelte allocative, e se non scenderanno l’attrazione relativa delle attività rischiose resterà indietro rispetto alle obbligazioni. “Le carte sul tavolo sono scompaginate, al netto della vicenda Svb restano cruciali l’andamento del mercato del lavoro e dell’inflazione, sulla quale le previsioni sono sempre azzardate”, evidenzia.
Filippo Diodovich, senior market strategist di IG Italia
Dello stesso parere Filippo Diodovich, senior market strategist di IG Italia, per il quale il Fomc avrà anche il dilemma dell’instabilità finanziaria oltre al quello dell’inflazione . “Dopo un lungo processo di azioni restrittive qualcosa ha cominciato a rompersi all’interno del sistema. La nostra convinzione è che nel prossimo meeting di marzo si escluderà del tutto un rialzo di 50 basis points e si discuterà se fare una pausa nel processo di rialzo dei tassi”, spiega Diodovich. Poi conclude: “Indubbiamente gli sviluppi di un possibile contagio della crisi delle banche regionali sarà sotto stretto monitoraggio da parte della Fed oltre al dato sull’inflazione di febbraio, che verrà pubblicato il 14 marzo. Manteniamo le nostre aspettative su un rialzo dello 0,25% ma potrebbe essere l’ultimo della serie”, afferma.
Bce, il 50% dei trader esclude una stretta dello 0,5% giovedì
I trader stanno intanto mettendo in dubbio anche le mosse della Banca centrale europea, che si riunirà giovedì 16 marzo. E sono sempre di più quelli che non si aspettano un ritocco di mezzo punto percentuale, come preannunciato dalla stessa presidente Christine Lagarde al termine della scorsa riunione. Sul mercato monetario, l’ipotesi di un rialzo di 50 basis points raccoglie ora solo il 50% delle possibilità mentre le previsioni sul tasso terminale sono state tagliate a poco più del 3,5%. Solo la settimana scorsa il picco era dato oltre il 4%. Inevitabili le ripercussioni sui titoli di Stato dell’Eurozona, i cui rendimenti segnano anche cali a doppia cifra, come nel caso di Francia e Germania. Meno bene ilBtp, che paga la forte esposizione debitoria dello Stato italiano come sempre avviene in situazioni di stress sui mercati.
Per gli analisti di Barclays è però ancora probabile che la Bce giovedì aumenti tutti i tassi ufficiali di 50 punti base, anche se gli sviluppi della vicenda Svb probabilmente rafforzeranno l’approccio riunione per riunione. “Ora non ci aspettiamo alcun segnale sul ritmo degli aumenti oltre marzo”, affermano gli esperti in una nota.
La Fed potrebbe essere la prima a fermarsi definitivamente
Per Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte, visto il contesto, i mercati probabilmente tenderanno a forzare la mano alle banche centrali affinché fermino le manovre restrittive e le invertano presto, generando un marcato steepening in contesto di calo dei tassi più pronunciato sul segmento a breve termine. “Nel frattempo però – avverte l’esperto – rimane in essere il tema inflazione soprattutto per l’Area euro, dove la Bce sarà ancora costretta a manovre restrittive con il Quantitative tightening appena iniziato a marzo. La Federal Reserve, pertanto, potrebbe essere in prospettiva la prima a fermare la sua politica restrittiva, prendendo atto che andare oltre comporta eccessivi rischi di stabilità finanziaria come dimostrato dal caso Svb”.
Stando a Cesarano, la richiesta forte dei mercati potrebbe quindi diventare più pressante nel secondo semestre, generando volatilità a fronte di tassi calanti e curve tassi nettamente più ripide. Condizioni che fanno da preambolo a una recessione negli Stati Uniti “non mite”. “La Bce potrebbe seguire in ritardo le decisioni Fed (anche perché è partita in ritardo con le manovre restrittive) alle prese con l’inflazione core e la conseguente necessità di proseguire ancora per qualche mese prima di dare segnali di calo”, conclude l’esperto.
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