I gestori fiduciosi nella solidità complessiva del sistema bancario, ma per conoscere tutti gli effetti del crack sarà necessario del tempo. Tecnologici e venture capital i settori più a rischio
Il contraccolpo sarà di quelli difficili da smaltire ma l’opinione prevalente di gestori e mercati è che non siamo di fronte a una nuova crisi globale come quella del 2008. Dopo giorni di panico (non ancora finiti), con il settore finanziario americano e quello europeo affossati da pesanti ribassi, gli esperti sono ormai piuttosto concordi nell’analisi della crisi di Silicon Valley Bank (Svb), la banca californiana delle startup high-tech finita il fallimento per un’improvvisa (ma tutt’altro che imprevedibile) fuga di depositi e ora pronta ad essere messa all’asta dalle autorità. Specie dopo la notizia che il colosso Hsbc ne ha rilevato la filiale britannica, disinnescando parzialmente un potenziale effetto domino nel Vecchio Continente. La vicenda accende però un faro sui possibili contraccolpi delle recenti mosse della Fed e merita tutta l’attenzione possibile sia per i sui effetti di breve termine sui listini che di medio e lungo periodo su una serie rilevante di asset.
Errori di gestione e politica monetaria, l’inizio della crisi
Il modello di business di Silicon Valley Bank affonda le radici nell’ecosistema delle startup tecnologiche e dei fondi di venture capital che ne sostenevano la crescita. Negli ultimi quattro anni la banca Usa è cresciuta in modo esponenziale, al pari del settore tecnologico che finanziava: basti pensare che i depositi sono saliti del 200% nel biennio 2021-2022 fino ad un picco di 220 miliardi di dollari. Nello stesso tempo, però, la ricerca di rendimento negli anni anni in cui i tassi erano molto bassi ha portato Svb a fare incetta di Treasury americani a lunga e lunghissima scadenza. Una strategia trasformatasi in boomerang quando l’inflazione ha costretto la Fed ad alzare rapidamente e in maniera decisa il costo del denaro, portando a una svalutazione delle obbligazioni in pancia all’istituto californiano. È a quel punto che Svb ha iniziato a scavarsi la fossa. Per consolidare la posizione patrimoniale e rispondere al bisogno di liquidità il management ha infatti deciso di chiedere ai mercati denaro in cambio di azioni, attirando su di sé l’attenzione e i timori degli investitori.
In questa vicenda troviamo quindi uniti gli effetti del rialzo del costo del denaro come rilevante dato di contesto e insieme scelte puntuali di gestione del cash operate dalla banca ormai nelle mani delle autorità. Non sono però i soli fattori da considerare e che emergono da un viaggio a ritroso di quanto successo nelle ultime 72 ore.
L’effetto gregge dei Cio
Preoccupati per la potenziale vulnerabilità di bilancio che una mossa del genere lasciava trasparire, i chief financial officer di vari gruppi tecnologici clienti della banca si sono interrogati sul da farsi. Come ricostruisce Richard Waters sul Financial Times, si è configurata una classica situazione da “dilemma del prigioniero”: tutti sono al sicuro finché il quadro rimane immutato ma, se qualcuno si muove, inizia la valanga. E così è stato. Giovedì le aziende hanno iniziato a ritirare i propri depositi dando vita una corsa agli sportelli da 42 miliardi di dollari mentre in Borsa si consumava una vendita di azioni Silicon Valley Bank per un valore di 10 miliardi. Risultato: il valore della banca, che appena 18 mesi prima aveva toccato i 44 miliardi, è crollato a 7 miliardi e venerdì l’istituto viene dichiarato fallito. La Federal Deposit Insurance Corporation, l’autorità di regolamentazione delle banche statunitensi che garantisce depositi fino a 250mila dollari, ne ha certificato l’insolvenza prendendone il controllo. Ora pare che amministrazione Biden e Federal Reserve siano pronte a metterla all’asta per evitare un salvataggio pubblico.
Non solo Fed: un crack che viene da lontano
Nel 2021, al culmine del boom degli investimenti nelle società tecnologiche private, Svb ha ricevuto grandi somme di denaro. Le aziende che ottenevano investimenti sempre maggiori da fondi di rischio hanno investito nella banca, che ha visto i suoi depositi salire da 102 miliardi di dollari 189 miliardi e si è trovata inondata da un mare di liquidità in eccesso. Alla ricerca di rendimento in un’era di tassi di interesse estremamente bassi, l’istituto ha così ha aumentato gli investimenti in un portafoglio da 120 miliardi di dollari di titoli garantiti dal governo con rating elevato, 91 miliardi dei quali focalizzati su obbligazioni ipotecarie a tasso fisso con un tasso di interesse medio di appena l’1,64%. Proprio questa virata, che una fonte vicina al dossier citata sempre dal Financial Times attribuisce a un cambio nelle alte sfere della società nel 2017, ha immobilizzato le risorse dell’azienda per oltre un decennio e l’ha esposta a potenziali forti perdite in caso di rialzo dei tassi. Quando questi sono effettivamente aumentati, il valore del portafoglio è infatti diminuito di 15 miliardi di dollari, un importo quasi pari al capitale totale di Svb. Il tentativo di rientrare da tali perdite, unito alle difficoltà del settore tecnologico nel post-pandemia che ha favorito l’indebitamento di molti clienti, ha alla fine innescato l’effetto gregge alla base del crack.
Gli occhi attenti degli short seller
Quando la bolla di investimenti in capitale di rischio ha iniziato a gonfiarsi all’inizio del 2021, Nate Koppikar, partner dell’hedge fund Orso Partners, ha iniziato infatti a shortare il titolo Silicon Valley Bank come via per scommettere contro il settore della tecnologia in generale. E non è stato l’unico. Un hedge fund short seller che aveva ugualmente scommesso contro la società ha rivelato al Financial Times che Svb già da tempo “aveva quasi inconsapevolmente gettato le basi per quello che potrebbe diventare il primo grande crollo di una banca statunitense in 15 anni”. “Hanno cercato un misero un extra rendimento (+0,4%) e hanno fatto saltare in aria la banca”, ha detto la fonte al quotidiano londinese.
La politica getta acqua sul fuoco
Immediato l’intervento del presidente Usa, Joe Biden, che ha preso posizione per cercare di rassicurare i mercati dopo due giorni di emorragia. “Nessuna perdita sarà a carico dei contribuenti americani”, ha detto in un breve discorso alla Tv dalla Casa Bianca”, ha detto il numero uno di Washinton prima della riapertura di Wall Street. Parole che però non hanno convinto gli investitori, a giudicare dall’andamento in rosso delle prime battute per la Borsa americana. “I cittadini possono avere fiducia nel fatto che il sistema bancario è sicuro. I vostri depositi saranno lì quando ne avrete bisogno”, ha infatti scandito. Aggiungendo: “Faremo tutto il necessario”, ha aggiunto Biden, che poi ha rivendicato quanto già fatto: “Grazie alla rapidità della mia amministrazione, la popolazione può avere fiducia sul fatto che il sistema bancario è solido”. L’inquilino dello Studio Ovale, nel suo intervento, ha anche spiegato di voler chiedere al Congresso e alle autorità di regolamentazione di rafforzare le regole per le banche. E ha aggiunto che i manager delle banche che si sono rivelate in difficoltà dovrebbero essere licenziati.
“Vengono tutelati i depositanti” mentre i titolari di azioni e bond sono spazzati via, dice invece il Tesoro Usa a conferma della linea del suo segretario Janet Yellen, che ha chiarito come non fosse previsto alcun salvataggio. È infatti emerso che i clienti americani della banca saranno rimborsati, almeno per la parte tutelata, dalla Federal Deposit Insurance Corporation: sarà l’autorità federale a vendere le attività del gruppo rimaste dopo la corsa allo sportello che ha fatto fallire la banca commerciale, in modo da recuperare le risorse e restituire più soldi possibili a chi è rimasto a mani vuote. Il Tesoro, la Fdic e la Fed hanno annunciato che tutti i depositi presso Svb sono disponibili da oggi, anche quelli sopra i 250mila dollari assicurati. Inoltre la Banca centrale mette a disposizione una nuova finestra di liquidità per aiutare le banche a rispondere alle richieste dei clienti in caso di fuga.
Intanto, sull’altra sponda dell’Atlantico, ha parlato anche la Commissione Europea. E lo ha fatto per tramite del commissario all’Economia Paolo Gentiloni. “Non credo che ci sia un reale rischio di contagio in Europa al momento”, ha detto Gentiloni arrivando alla riunione dell’Eurogruppo a Bruxelles. “Stiamo monitorando la situazione in contatto con la Bce. Prendiamo atto delle iniziative intraprese dalle autorità Usa per limitare il contagio” e sottolineiamo anche che “le banche europee applicano gli standard prudenziali di Basilea”, ha aggiunto.
In Italia è stato direttamente il ministro dell’Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti, a intervenire sulla questione. “Apprezziamo la tempestività con cui le autorità americane hanno agito e confidiamo che, se necessario, anche quelle europee intervengano con la medesima tempestività valutando anche le implicazioni per la condotta della politica monetaria e per la stabilità finanziaria”, ha detto il titolare del Mef. Poco pima, il dicastero aveva diramato una nota in cui affermava: “Il sistema bancario italiano ed europeo è regolarmente monitorato dalle autorità di vigilanza e supervisione assicurandone così la stabilità”.
Esperti concordi: contraccolpi ma niente shock sistemico
“Per almeno una settimana si ballerà molto, i contraccolpi più forti potranno esserci sulle banche regionali americane e sul mercato dei titoli tech. Venture capital e start up perderanno tanti soldi, ma non vedo problemi per le grosse banche Usa e per quelle europee. Anzi, se queste ultime verranno bersagliate dalle vendite rappresenteranno una buona occasione d’acquisto”. Dalle pagine di Repubblica, Davide Serra, fondatore dell’asset manager globale Algebris, smorza così i timori di uno shock sistemico legato alla vicenda Silicon Valley Bank. Secondo lui le banche del Vecchio Continente sono al sicuro perché nell’Ue “le banche con più di 10 miliardi di totale attivo sono sottoposte alle regole di Basilea 3 su liquidità, concentrazione dei rischi e patrimonio”. “Per intenderci”, precisa il manager al quotidiano, “non possono fare ciò che ha fatto Svb, cioè raccogliere quasi 200 miliardi di depositi a breve e investirli a lunga scadenza per guadagnarci di più”. Quanto al denaro che perderanno gli investitori istituzionali che si sono affidati alla società di credito, Serra puntualizza: “A differenza di Lehman Brothers, dove gli attivi non valevano il rating tripla A che mostravano, qui l’attivo è composto da Treasury bond che rimborsano il capitale a scadenza. Questi titoli dovranno essere liquidati sul mercato in perdita ma la nostra stima è che si riuscirà a recuperare circa il 70% del loro valore”. Una, dunque, la lezione da trarre: “Il mondo fatto di valutazioni folli e criptovalute che operano in assenza di regole ora torna con i piedi per terra”. Da qui, anche le prospettive per il futuro: “Prevedo che sui mercati ci sarà un flight to quality, cioè che i soldi si sposteranno verso le banche europee che sono più sicure e di maggiore qualità”.
Per Domenico Siniscalco, che scrive sempre su Repubblica, “il problema è serissimo e ci vorranno settimane per capirne lo sviluppo sulla banca stessa, sulla Silicon Valley e sull’intero sistema finanziario. Ma, per fortuna, il regolatore Californiano ha imposto la chiusura della banca e ne ha passato i conti correnti sotto la gestione del Federal Deposit Inscurance Corporation, una specie di assicurazione federale sui depositi”. Per l’ex ministro dell’Economia e delle Finanze, però, il ruolo chiave nella vicenda è stata giocata dalla Fed e dalla sua stretta monetaria senza se e senza ma. “La ragione fondamentale della crisi è abbastanza semplice da comprendere” – si legge nel suo intervento – “La banca centrale americana ha avviato negli ultimi mesi una politica di rialzi dei tassi, le cui conseguenze sono valutate principalmente sul piano macroeconomico, della recessione e della disoccupazione. Era ovvio, tuttavia, che vi sarebbero state queste conseguenze sul piano microeconomico della singola banca, soprattutto quando questa aveva finanziato attività negli stadi iniziali della propria vita come nel caso di Svb. Secondo l’esperto, la partita si giocherà nelle prossime settimane e ambo gli esiti, dalla crisi confinata allo tsunami, sono possibili. Anche perché non è da trascurare il rischio che i depositi superiori ai 250mila dollari vengano ritirati da istituzioni simili. In ogni caso, “la lezione del 2008 probabilmente è stata appresa e questo è un test della politica economica”.
Per Filippo Alloatti, head of Financials (Credit) di Federated Hermes, è un problema più di Silicon Valley che di banca. “I problemi affrontati da Svb erano maggiormente legati ai suoi clienti e ai settori con cui si interfacciava che non alle sue operazioni bancarie”, spiega il manager. “La base di depositi della società era fortemente concentrata in questi settori e la performance finanziaria era influenzata dalle condizioni economiche di questi settori”, prosegue Alloatti. Nel settolineare come siano state adottate misure di emergenza per proteggere i depositanti ed annunciato il Bank Term Funding Program (BTFP) della Fed, Alloatti afferma che “non esistono banche europee quotate in Borsa con un modello di business simile. Le banche centrali hanno ampi strumenti per sostenere le istituzioni con liquidità, compresi interi sistemi bancari”.
Un parere condiviso anche Emiliano Carchen, partner di Oliver Wyman per i Financial Service. “Svb non rappresenta un campanello d’allarme per il sistema bancario europeo. La banca californiana aveva delle caratteristiche uniche, come la taglia dei depositi (che li rendeva pressoché esclusi dalle garanzie e più esposti al bank-run), la concentrazione e la tipologia dei depositanti (non solo clienti corporate, ma quasi solo tech player della valley) e requisiti prudenziali meno stringenti rispetto a quelli europei”, spiega l’esperto. Che conclude: “Questo ha reso la sua profittabilità ‘liability-driven’ al contrario delle banche universali e diversificate che sono strutturalmente ‘asset-driven’ e beneficiano dell’espansione della forbice di tassi”.
Guy de Blonay, investment manager di Jupiter Asset Management per la divisione Financial Equities, sottolinea in maniera simile come Silicon Valley Bank abbia una struttura di bilancio meno diversificata rispetto a molte grandi banche globali e sia più esposta ai deflussi di depositi a causa di un tipo di cliente molto specifico: gli imprenditori tecnologici. “Il rischio di ingenti deflussi di depositi e successivi disinvestimenti obbligazionari ed emissioni di capitale è basso per le banche europee diversificate”, conclude quindi il gestore. Senza però precludersi una riflessione: “Quanto è accaduto attira l’attenzione sul cambiamento della politica monetaria e sul suo potenziale impatto sulle banche. L’aumento dei tassi e l’inasprimento quantitativo, rimuovendo la liquidità dal sistema finanziario, possono esercitare pressioni sul valore degli asset e sui depositi, alterando le strutture di bilancio e incidendo sul margine di interesse netto, soprattutto negli Stati Uniti”.
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