Cina, gli investitori guardano oltre la politica Covid-free
Gli esperti di Allianz Global Investors individuano le aree d’investimento più promettenti. Un focus particolare lo merita il nuovo verso il settore tecnologico
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Per la prima volta dal 1976, si prevede che quest’anno l’economia americana (che pure non gode di ottime prospettive) avrà un tasso di crescita media annuale più alto di quello cinese. L’incredibile stima arriva da Bloomberg, che ha fatto i conti sull’impatto della politica zero-Covid, prevedendo per il 2022 un Pil in aumento di appena il 2%, contro il +2,8% americano. Di rallentamento parla, seppure con numeri ben diversi, anche l’agenzia Moody’s, che ha ritoccato all’ingiù le stime di crescita 2022 di Pechino dal 5,1% a +4,5%, ma ha rivisto al rialzo da +5,2 a +5,3% quelle per il 2023.
Previsioni a parte, il rallentamento della Cina causa Omicron è sotto gli occhi di tutti, nonostante il governo abbia continuato a varare politiche di sostegno finalizzate a incentivare gli investimenti in immobilizzazioni, ad aiutare le imprese in difficoltà per i lockdown e a stimolare i consumi. Solo per citare l’ultimo dato in ordine di tempo, ad aprile i profitti industriali sono crollati dell’8,5%, il ritmo più veloce da marzo 2020, mentre nei primi quattro mesi dell’anno hanno avuto una crescita del 3,5%, a 26.580 miliardi yuan, in calo sul +8,5% di gennaio-marzo.
Inevitabile quindi il fuggi fuggi dai mercati finanziari del Dragone. Secondo l’Ispi, tra marzo e aprile gli investitori stranieri hanno venduto azioni e obbligazioni cinesi per oltre 17 miliardi di dollari. Un record storico.
Eppure, secondo molti gestori la brusca frenata pandemica non cambia il trend di lungo periodo del Paese. “L’obiettivo a lungo termine della Cina di diventare una nazione più forte e prospera rimane intatto, ma la poca trasparenza delle sue politiche ha smorzato l’entusiasmo degli investitori globali – spiega Baijing Yu, analista e gestore di Comgest Growth China -. Inoltre, il Covid ha aggiunto un ulteriore livello di pressione a breve termine sull’economia, dato che il governo cinese mantiene le politiche più rigide in materia di riaperture”.
Detto questo, per l’esperta Comgest, il peggio è probabilmente alle spalle. “Le pressioni geopolitiche e la rigida politica sulla gestione del Covid hanno portato la Cina a scambiare con uno sconto significativo rispetto alla media di lungo periodo. Lo scollamento tra prezzo e rendimento è netto. La paura ha preso il sopravvento sui fondamentali di lungo periodo”, afferma, consigliando di concentrarsi solo su società di alta qualità e ben governate che traggono vantaggio dai trend di crescita secolare del Dragone. Wuxi Biologics, Bafang Electric, Sany Heavy, Centre Testing e Suofeiya ne sono, a suo dire, buoni esempi.
Più cauto Stephen Dover, chief market strategist di Franklin Templeton, secondo cui l’economia della Cina è in una fase di transizione, affrontando le sfide del passaggio da una crescita basata su livelli d’investimento non sostenibili (soprattutto nelle proprietà immobiliari) a qualcosa di diverso. “Il focus potrebbe essere rivolto al lungo periodo, ma sembra non essere in grado di sostenere troppe restrizioni per l’economia nel breve periodo, un fattore che ostacola questa transizione e potrebbe incidere sul suo successo nel tempo”, evidenzia.
Secondo Dover va anche ricordato che Pechino non sta voltando le spalle al resto del mondo. “In termini geopolitici, le sue ambizioni potrebbero essere in conflitto con quelle dell’Occidente, come dimostra il recente sostegno alla Russia. La Cina resta tuttavia impegnata economicamente, finanziariamente e politicamente nel coinvolgimento globale, come dimostrano anche la sua recente performance economica e le iniziative politiche”, assicura.
Intanto, gli analisti di S&P (che hanno ridimensionato le previsioni di crescita di Pechino a +4,2% dal +4,9% precedente) nel loro scenario di base ipotizzano una graduale riduzione delle restrizioni attuali, ma ritengono improbabile che l’approccio del governo alla gestione della pandemia cambi in modo sostanziale nel breve. Di qui, puntano l’attenzione sulle possibili ripercussioni per gli altri mercati emergenti.
Per gli esperti Usa, i Paesi che forniscono metalli alla Cina, come Cile, Brasile e Sudafrica, potrebbero trarre vantaggio dal rallentamento dell’economia cinese se Pechino risponderà alla situazione di vulnerabilità legata al Covid con una maggiore spesa per le infrastrutture. Ma qualsiasi interruzione delle supply chain indotta dalla pandemia fa aumentare i rischi inflazionistici per gli Emergenti.
“Secondo i dati settoriali sui principali Paesi emergenti, la produzione media dei 20 settori con le peggiori performance è ancora significativamente al di sotto dei livelli pre-pandemici, e i settori che dipendono dai flussi turistici sono tra i più colpiti – scrivono gli analisti -. Il turismo negli EM asiatici dipende in larga misura dalla Cina, dunque qualsiasi sviluppo negativo nel Paese potrebbe ritardare ulteriormente la ripresa”.
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