L’incentivo fiscale combinato a una maggiore accessibilità può far prendere il largo al mercato dei Fia riservati
Fabio Galli, direttore generale di Assogestioni
I Fondi di investimento alternativi (Fia) riservati sono prodotti tipicamente destinati alla clientela upper-affluent e private, altamente patrimonializzata e in grado di sopportare il rischio legato a impieghi illiquidi nei mercati non quotati al fine di migliorare l’efficienza dell’asset allocation, con la prospettiva di rendimenti decorrelati e potenzialmente anche molto consistenti nel medio-lungo termine.
Pur essendo ancora un segmento di nicchia nel panorama dell’asset management, i Fia – che comprendono i fondi hedge, il private equity, il venture capital e strategie che fanno ampio uso di derivati – rappresentano una realtà in continua crescita a livello globale, ma che in Italia non ha ancora espresso tutto il proprio potenziale nonostante un settore produttivo largamente basato su piccole imprese, che per crescere hanno bisogno di mezzi finanziari reperibili principalmente attraverso il tradizionale canale bancario.
Stefano Cappiello, Dirigente generale della Direzione IV (Sistema Bancario e Finanziario-Affari Legali) del Mef
Negli ultimi anni il governo ha lanciato diverse iniziative sia sul lato delle imprese sia su quello degli investitori, con l’obiettivo di incentivare lo sviluppo di un mercato attraverso cui far fluire le risorse del risparmio verso il mondo dell’impresa e delle infrastrutture. Parliamo di 1.700 miliardi di risparmio precauzionale detenuti in conti correnti liquidi ma con rendimenti quasi nulli. Risorse ingentissime che, almeno in parte, potrebbero essere messe al servizio dell’economia reale.
“Tanti passi avanti sono stati fatti con il lancio di strumenti finanziari quali i minibond e i Pir tradizionali e alternativi” ricorda Fabio Galli, direttore generale di Assogestioni. “Il Mef ha anche lanciato una consultazione su un ulteriore passo per noi molto rilevante, quello dell’accessibilità ai fondi alternativi”, prosegue Galli in conversazione con Stefano Cappiello, dirigente generale della Direzione IV (Sistema Bancario e Finanziario-Affari Legali) al Ministero dell’economia e delle finanze (Mef) durante il primo giorno degli Alternative Investment Funds Days, l’evento organizzato da Assogestioni e Borsa Italiana sui fondi alternativi.
Un mercato da scoprire
La ricerca di prodotti che diano un rendimento con un rischio accettabile “è un aspetto da curare ed è uno degli obiettivi di politica economica che stiamo perseguendo”, conferma Cappiello, che in merito alla consultazione lanciata a giugno dal Mef al mercato sul tema sottolinea la necessità di “ampliare l’accesso da parte degli investitori ai fondi alternativi riservati.
L’obiettivo ultimo, prosegue Cappiello, “è, da un lato, quello di consentire agli investitori istituzionali di poter disporre di una gamma il più ampia possibile di prodotti finanziari diversificati. Dall’altro lato, c’è il bisogno di facilitare l’accesso ai capitali a costi più ridotti per le piccole e medie imprese. Stiamo cercando di far sì che accanto all’intermediazione bancaria tradizionale si consolidi l’intermediazione non bancaria”.
Come? Allargando la categoria di investitori. Attualmente l’accesso ai Fia riservati è concesso – oltre che agli investitori professionali – agli investitori non professionali che investono, direttamente o tramite gestione di portafoglio, un importo complessivo non inferiore a 500mila euro.
“Per ragioni socioeconomiche, di educazione finanziaria, di ridotta cultura dell’equity e del rischio, quello italiano è un sistema che nel trade off tra rischio e opportunità è stato improntato a una maggiore attenzione sul primo fattore”, osserva Cappiello. “Questo spiega perché fino a oggi la soglia di accesso ai Fia riservati sia rimasta così alta”.
La consultazione
Secondo il dirigente del Mef la riflessione sulla maggiore apertura del mercato dei Fia riservati “richiede un’attenta valutazione tecnica e politica, che colga il giusto bilanciamento fra opportunità di investimento e rischi che devono essere presidiati con requisiti adeguati”.
Oggi solo gli investitori professionali possono accedere senza il ticket minimo di 500mila euro, mentre il provvedimento messo in consultazione da Via XX Settembre aggiunge un’ulteriore categoria di investitori non professionali, individuando una soglia di accesso di 100mila euro ma con alcuni presidi a tutela degli investitori.
“Il primo è quello relativo alla soglia stessa, il secondo è quello del contesto in cui avviene l’investimento, ossia nell’ambito di servizi di consulenza finanziaria o di gestioni di portafoglio, e il terzo è quello del portafoglio finanziario complessivo del soggetto che effettua l’investimento”, spiega Cappiello.
Due le modalità di accesso previste dall’articolato del provvedimento. Nella prima, il singolo investitore – anche se non professionale – può accedere investendo almeno 100mila euro “a condizione che non rappresentino più del 10% del suo portafoglio finanziario complessivo, intendendo per tale la somma della liquidità in deposito, degli strumenti finanziari e delle polizze assicurative di carattere finanziario eventualmente detenute”, analizza il dirigente del Mef.
La seconda modalità di accesso richiede sempre il requisito minimo dei 100mila euro “ma senza la necessità della proporzione tra investimento singolo nel portafoglio finanziario complessivo, in quanto questo investimento avviene nell’ambito della prestazione del servizio di gestione di portafoglio. Si è quindi sostituito il presidio della ricchezza complessiva con il presidio offerto dalla presenza di un investitore o di un gestore professionale”.
La proposta valorizza il servizio di consulenza finanziaria e di gestione di portafogli a tutela dei clienti-risparmiatori e raccoglie il plauso di Fabio Galli: “Questo sarebbe un grosso passo avanti per i soggetti che stanno riflettendo sull’offerta di Fia riservati, che rimangono comunque prodotti che si rivolgono a una specifica fetta di mercato, ma che grazie a questa nuova modalità di accesso potrebbero beneficiare di uno sviluppo importante”.
Oltre alle proposte sulle soglie di ingresso, Cappiello ricorda che il 2020 ha anche portato interventi sul fronte dei Pir alternativi, che da agosto hanno visto aumentare il tetto complessivo a 1,5 milioni di euro e l’investimento annuale a 300mila euro. Una novità importante, dal momento che apre alla possibilità che “l’investimento in Fia possa essere inquadrato in un fondo conforme alla normativa sui Pir alternativi”, così da sfruttarne l’incentivo fiscale sui guadagni in conto capitale.
Investitori semi-professionali: una nuova categoria? Queste le novità in casa nostra. Resta necessario – in tempi di riattivazione della Capital Markets Union, progetto che poggia su una maggiore convergenza e integrazione dei mercati finanziari e della vigilanza comunitaria – valutare attentamente l’interazione tra sviluppi nazionali ed europei, come stanno facendo i tecnici del Mef.
“Esiste una serie di iniziative che da Bruxelles vanno nella stessa direzione”, sottolinea Cappiello. “È in corso la revisione sia della Aifmd sia della MiFID 2, ed entrambe sembrano prefigurare una nozione di investitore semi-professionale che assomiglia molto alle novità allo studio, di cui abbiamo discusso oggi”. Resta importante, secondo il dirigente del Mef, “non anticipare eccessivamente la soluzione europea configurando soluzioni poi disattese” a livello comunitario.
In chiusura di intervento, da Fabio Galli arriva l’auspicio che il processo di consultazione a livello europeo “proceda spedito”. Resta il fatto che le novità allo studio sono “importanti”, spiega Galli, dal momento che “l’incentivo fiscale, combinato a una diversa accessibilità dei Fia, ha il potenziale di portare a uno sviluppo importante dei mercati privati anche nel nostro Paese”.
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