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Nella seconda giornata del Fee Only Summit 2025, YouGov presenta una ricerca sul rapporto tra gli italiani e la consulenza autonoma. Costi, trasparenza e fiducia le leve che potrebbero ribaltare i dati
Un italiano su due (il 52% della popolazione) non ha mai sentito nominare la parola consulenza indipendente. O meglio, solo il 22% conosce davvero la figura del consulente finanziario autonomo. Un dato che stride con l’immagine di una platea gremita, nella seconda giornata del Fee Only Summit 2025 di Verona. Tra dibattiti sul ruolo del consulente tout court, sulla tutela della categoria (Mauro Maria Marino, presidente OCF, racconta di una riforma del TUF che vuole sensibilizzare sull’abuso della professione e sull’ampliamento del potere della vigilanza contro l’esercizio inappropriato) e sulle differenze o similitudini tra i professionisti di rete e gli indipendenti, gli insight esclusivi dalla ricerca YouGov raccontano un Paese “che non sa nemmeno di potersi confrontare con alternative diverse da quelle tradizionali”. A dirlo è Stefano Russo, sales director Italia, presentando i dati della ricerca commissionata da Consultique.

Fiducia e competenza i driver
In primis, si sa, siamo un paese di tanti piccoli risparmiatori: 30 milioni per l’esattezza. La ricerca di YouGov però si concentra sul 32% degli italiani: 16 milioni di investitori attivi che detengono azioni, obbligazioni, titoli di Stato, fondi, ETF e strumenti di previdenza. Sono per lo più uomini, over 55enni, residenti al Nord e con reddito medio o medio alto. Di questi, 7 milioni investono in maniera autonoma (per lo più giovani sotto i 34anni) mentre gli altri 8,2 milioni si avvalgono di un consulente. La fiducia personale e la competenza sono i driver principali di scelta mentre la trasparenza e i costi sono al terzo posto (ma al primo tra i 18-34enni). L’indipendenza, invece, interessa solo al 20% dei rispondenti.

Ma attenzione anche ai costi
Il tema costi, in realtà, è il dato che colpisce di più. “Il 54% di chi investe dichiara di conoscere gli oneri di gestione ma approfondendo la nostra domanda”, spiega Russo, “abbiamo scoperto che solo il 28% in realtà ha un’idea vicina alla realtà delle spese connesse alla gestione di un portafoglio”. Inoltre, solo il 27% confronta l’esborso previsto con quello di alternative meno onerose. “Un numero davvero basso, che forse un po’ stride, se pensiamo che in altri ambiti, come l’acquisto di una casa o di un automobile, la maggior parte degli italiani parte proprio da un confronto dei prezzi di mercato”.
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Il nodo della trasparenza
Altro tema rilevante è la trasparenza. In particolare la fascia d’età 35-54 anni riconosce un conflitto d’interessi per i consulenti: il 44% del campione è consapevole che il consulente ha vantaggi economici nel promuovere dei prodotti specifici mentre il 53% ritiene che i suoi consigli siano influenzati dal fatto di lavorare per un istituto o una rete. Ed è qui che, secondo Russo, “entra in gioco il modello indipendente”. Costruire fiducia, informare sui costi e sottolineare la trasparenza sono le principali leve che potrebbero convincere gli investitori ad abbracciare il fee-only.

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