Che cosa aspettarsi nel 2024 in materia di Esg dalle istituzioni europee e qual è la posta in gioco per l’industria del gestito, nell’intervista a Ophélie Mortier, chief Sustainable Investments Officer di DPAM
Il 2023 della finanza sostenibile si è concluso con due importanti consultazioni indette dalla Commissione Europea sul tema della Sfdr . “Ancora una volta, la tempistica scelta dal regolatore lascia qualche perplessità”, sottolinea però Ophélie Mortier, chief Sustainable Investments Officer di DPAM. “Il problema”, afferma l’esperta in relazione agli sviluppi futuri, “è la trattazione in parallelo di due livelli distinti della direttiva”. Da un lato, si è infatti richiesto agli stakeholder di esprimersi sui dettagli dell’implementazione ma, dall’altro, si è sottoposto a un pubblico più ampio un assessment sul livello più generale. Un parere, insomma, che riguarda logiche portanti della normativa come articolo 8 e articolo 9. “Un rischio per l’industria degli strumenti finanziari è quello derivante dalla mancata gestione delle tempistiche dei processi in cui queste consultazioni sono incluse, con il pericolo di iniziare un’opera di adeguamento sui dettagli senza sapere se la struttura normativa generale verrà mantenuta o modificata”, spiega Mortier.
Ragionando sul livello più generale della normativa, la questione fondamentale deriva dall’eterogenesi dei fini ravvisabile negli esiti dell’introduzione della Sfdr. “Articolo 8 e articolo 9 sono categorie utilizzate de facto come label per gli strumenti finanziari, sebbene non siano state pensate a questo scopo”, spiega la manager, che fa notare come la proliferazione di etichette nazionali in Europa testimoni la richiesta del mercato di uno strumento di questo tipo ma determini anche un rischio di disomogeneità opposto all’obiettivo della Capital Market Union.
“Con la Sfdr abbiamo raggiunto l’obiettivo della trasparenza ma questo non significa che ci sia chiarezza”, afferma Mortier, che fa riferimento soprattutto ai concetti di ‘investimento sostenibile’ e al principio di ‘do not harm’”. “Nell’ultimo Q&A rilasciato dalla Commissione abbiamo assistito a un rifiuto di definire in maniera più specifica questi due termini, motivato dalla volontà di lasciare agli attori del mercato la fissazione dei propri specifici obiettivi ambientali, sociali e di governance”, aggiunge. Ecco perchè, dal suo punto di vista, la domanda fondamentale riguarda ora la volontà del regolatore di assecondare o meno la direzione presa dalla direttiva nel mondo reale. In altre parole, ovvero se ci sarà un avvicinamento verso quel sistema di labeling altamente richiesto dal mercato.
Unire finanza, impresa, risparmio
Un ulteriore concetto centrale per la Sfdr è quello di PAI (principal adverse impact indicators). Si tratta di un acronimo con cui ci si riferisce alla necessità di determinare un indicatore oggettivo per tutti quegli aspetti di un’attività economica aventi un impatto significativo in termini di sostenibilità. La questione più scottante concerne la materialità, ovvero la definizione di quali fattori debbano essere riportati e quali no. In passato, al mercato finanziario è stato richiesto di trasmettere dati su società che non erano obbligate a fornirli e si sono create non poche difficoltà agli investitori nel rispettare la normativa. Poi, prima con la Non-financial reporting directive (Nfrd) e ora con la Corporate sustainability reporting directive (Csrd), sempre più aziende rientrano nell’ambito dei PAI obbligatori.
La problematica maggiore, in questo contesto, era che la Commissione europea aveva lasciato alle aziende stesse la possibilità di valutare la materialità dei vari risultati aziendali, decidendo di conseguenza da sole – e senza un chiaro quadro di riferimento – quali dati considerare rilevanti, e quindi soggetti all’obbligo di rendicontazione. Fortunatamente, poco tempo fa la Commissione ha messo mano a questa discrepanza, che di fatto penalizzava le società di gestione obbligandole a comunicare dati che, a loro volta, non erano tenuti a ricevere in modo omogeneo dalle società in cui investivano. Questa revisione è volta a garantire maggiore uniformità sui PAI obbligatori.
Approccio globale
Considerando anche tutti gli ulteriori dossier europei in materia di sostenibilità, tra cui molto rilevante quello relativo alla Tassonomia, la grande sfida è quella di garantire stabilità agli attori del mercato, finanziario e non solo.
Per quanto riguarda l’asset management un esempio portato da Mortier è sufficiente per far comprendere l’estrema concretezza di questa esigenza. “Se riportiamo il pensiero al 21 marzo 2021, data di entrata in vigore della SFDR, e analizziamo ciò che era definito dal regolatore come articolo 6, articolo 8 e articolo 9, con richiesta di classificare tutti i nostri prodotti, e consideriamo dove siamo arrivati oggi con una serie di progressivi chiarimenti sui requisiti, ad esempio per un articolo 9, la distanza è estremamente importante”, sottolinea l’esperta.
Un’ultima raccomandazione è quella di non limitare lo sguardo all’interno dell’Unione. “Con la sua attività regolamentare l’Europa si è imposta come leader in materia di sostenibilità. In un mercato globale come quello finanziario non possiamo, però, non tenere conto di quanto accade al di fuori dei confini dell’Unione, considerando sia la distribuzione globale dei prodotti finanziari sia la pluralità di mercati in cui il nostro settore investe”.
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