Il private equity non teme i dazi di Trump: ecco perché
Per i gestori, i portafogli sono meno esposti ai settori economici più colpiti dalla guerra tariffaria. E la Trumpeconomics potrebbe offrire nuove opportunità
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Dieci anni col turbo destinati a proseguire. Gli operatori italiani di private equity vedono rosa sul futuro del settore, che secondo tre su quattro continuerà a sovraperformare l’azionario. Negli ultimi anni, infatti, questo mercato ha dimostrato una notevole capacità di generare extra-rendimenti, sia in Europa sia Italia. Registrando risultati migliori del 10% rispetto all’indice Ftse IT Small Cap. A fare i conti è Deloitte, che ha condotto un’analisi rischio/rendimento su 400 fondi europei di questo tipo, nel periodo che va dall’ultimo trimestre del 2014 al terzo del 2021. Ora però ci sono una serie di sfide da superare e l’imperativo è quello di puntare su una gestione attiva delle società investite.
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Nonostante nel 2023 il mercato italiano abbia registrato investimenti in calo del 12% rispetto al boom del 2022 (a quota 8.162 milioni di euro), otto operatori su dieci sono convinti che a spingere l’over-performance degli ultimi dieci anni siano state soprattutto le operazioni di M&A (64%) e la crescita organica (33%) basata su internalizzazione, sviluppo di nuovi prodotti e individuazione di nuovi segmenti di mercato.
Attualmente però, secondo Claudio Scardovi, senior partner e Private Equity leader di Deloitte, alcuni cambiamenti strutturali in corso nel settore potrebbero minacciare tanto successo. Per l’esperto, infatti, questa over-performance decorrelata rispetto all’andamento del ciclo macroeconomico è stata raggiunta anche attraverso il ricorso al debito e al taglio dei costi. Nel deriva che gli operatori dovranno “ridefinire le loro strategie d’investimento, puntando in particolare sulla gestione attiva della società investita, per ottimizzarne la capacità prospettica di generare non solo la redditività e l’Ebitda di breve periodo, ma anche una crescita sostenibile nel lungo periodo”.
Per Scardovi, i fondi dovranno puntare sempre di più su strategie d’investimento in grado di anticipare selettivamente i megatrend di creazione di valore globali, focalizzandosi maggiormente sull’evoluzione del modello di business ed operativo delle società investite per una loro reale trasformazione. “Il supporto del private equity all’imprenditore ed al management dell’azienda investita è un fattore chiave per la sua migliore evoluzione competitiva”, sottolinea.
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L’indagine di Deloitte su 32 società del settore mostra dunque come il 75% degli operatori italiani preveda che il private equity continui anche in futuro a generare alpha per l’intero ciclo di investimento. Ma i rischi non mancano. Tra i più citati, spiccano l’escalation delle tensioni geopolitiche a livello globale (44%), il protezionismo e interruzioni della supply chain (31%), il costo del denaro e l’andamento dei tassi d’interesse (17%) e trend demografici (6%).
Negli ultimi dieci anni, i settori che hanno maggiormente attratto l’interesse degli operatori italiani sono stati: manufacturing (36%), telco (22%), fashion, food e arredamento (22%), servizi tra cui education, salute e servizi finanziari (14%), energy (6%). Guardando al futuro, fra i megatrend che i fondi possono seguire per generare valore sostenibile dominano la green technology e la digital transformation, indicati rispettivamente dal 47,2% e dal 63,9% degli addetti ai lavori. “Investire in queste aree non solo favorisce la crescita delle aziende del portafoglio, ma risponde anche alla crescente domanda di soluzioni sostenibili e tecnologicamente avanzate da parte del mercato”, assicura Scardovi.
Dal report emerge poi che per sfruttare appieno il potenziale strategico delle operazioni di M&A, indicato dal 64% degli operatori come strategia significativa per la creazione di extra-rendimento, il private equity deve necessariamente posizionarsi come un partner operativo e non solo finanziario. “Tale approccio consente infatti di migliorare la performance delle aziende acquisite attraverso la fornitura di competenze operative e strategiche”, si legge.
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A questo proposito gli esperti di Deloitte identificano dieci strategie chiave per gestire attivamente le aziende del portafoglio investito, focalizzandosi su un approccio che vada oltre la semplice creazione di valore finanziario. Come prima cosa è necessaria una strategia focalizzata sulla reale crescita della produttività a medio-lungo termine, rispetto alle tradizionali strategie orientate al miglioramento a breve termine dell’Ebitda. Segue un utilizzo più spiccato di nuove tecnologie digitali, inclusa l’integrazione dell’IA in modo etico ed efficace, utilizzando al meglio le capacità umane in sinergia con le tecnologie.
Nel decalogo figurano poi la value proposition “as a service”, concentrandosi sulla creazione di un ecosistema di servizi che offrono un valore aggiunto ai clienti, e l’adozione di tecnologie innovative in grado di accelerare la trasformazione del modello di business dell’azienda. Cruciale è anche sfruttare la finanza e le fusioni-acquisizioni come strumenti per supportare la crescita dell’azienda attraverso aggregazioni “bolt-on”. Così come è importante adottare approccio proattivo alla gestione del portafoglio di investimenti e di nuovi progetti dell’azienda.
Allo stesso modo risultano necessarie una gestione del rischio consapevole, valutando le opportunità di guadagno rispetto alle potenziali perdite e adottando misure per mitigare i rischi, e la sostenibilità, intesa non come solo come un obbligo normativo, ma anche come potenziale vantaggio competitivo. Infine, il report cita la strategia del ‘fast future forward’, che si concentra sull’orientare e guidare le aziende verso un futuro ambizioso e con passo accelerato, riducendo radicalmente, grazie all’esperienza del private equity, i tempi richiesti per realizzarlo.
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