I prezzi al consumo aumentano su base annua e si portano al 3,2%, oltre le attese. Male anche il dato core. Per i gestori, un taglio a maggio è ormai fuori discussione
L’economia americana non smette di stupire, anche se talvolta lo fa in negativo. L’ultima sorpresa è arrivata dall’inflazione di febbraio, risultata in leggero aumento sia su base mensile (+0,4%) sia a livello tendenziale (+3,2%). Un dato che ha disatteso le previsioni dei mercati, convinti di vedere l’indice dei prezzi al consumo fermarsi al 3,1% e restare così invariato rispetto ai 30 giorni precedenti. E poiché a regalare delusioni è stata anche la componente di fondo, risultata pari al 3,8% contro un consensus al 3,7%, prende sempre più piede l’idea che la Federal Reserve possa decidersi a posticipare il taglio dei tassi già nella riunione della prossima settimana.
Richard Flax, chief investment officer di Moneyfarm
Secondo diversi asset manager, il dato sul carovita non farà che raffreddare ancora di più le posizioni dei banchieri centrali americani. Specie con il meeting di politica monetaria che si avvicina a grande velocità. Richard Flax, chief investment officer di Moneyfarm, sostiene ad esempio che la Fed “continuerà a mantenere un approccio cauto”. Del resto, è sua opinione, le dichiarazioni dello stesso presidente Jerome Powell parlano sulla direzione che l’istituto prenderà: “I livelli dei tassi di interesse restano in territorio restrittivo”.
Secondo Greg Wilensky, head of US Fixed Income di Janus Henderson, la rilevazione nasconde una buona notizia per i mercati: la shelter inflation si è comportata meglio e l’impennata dell’inflazione alimentare del mese scorso non si è ripetuta. E se è vero che il rincaro dei servizi core al netto degli alloggi resta persistente, una parte di tale forza proviene da categorie che hanno meno probabilità di destare attirare l’attenzione della Fed. Al netto di ciò, sottolinea però l’esperto, risulta evidente come un taglio dei tassi a maggio sia stato rimosso dal programma della banca centrale: “Riteniamo giugno il mese più probabile per la prima sforbiciata, ma questo potrebbe slittare a luglio se i dati non dovessero migliorare il mese prossimo”.
Tiffany Wilding, north american economist di Pimco
Non è d’accordo Tiffany Wilding, economista di Pimco, secondo cui l’inflazione dei servizi statunitense rappresenta un problema perchè continua a non essere in linea con l’obiettivo generale della Fed: “Se l’aumento dei prezzi dei beni si è normalizzata dopo il picco registrato in seguito alla pandemia, quella del terziario no. E parliamo di un settore che rappresenta circa il 70% del Pil nazionale”, spiega. Ecco perchè, a suo avviso, solo un aumento più duraturo del tasso di disoccupazione potrà permettere di superare la vischiosità del momento. Quanto al costo del denaro, l’esperta crede però che il report non metta per forza in discussione l’ipotesi di un taglio dei tassi a metà anno.
La reazione dei mercati
Le Borse europee sembrano aver reagito alla rilevazione proveniente dall’Oltreoceano senza troppi scossoni. A metà seduta Milano guadagnava circa lo 0,6%, Francoforte e Parigi la seguivano poco sopra la parità e Londra saliva addirittura un punto percentuale. A favorire i listini del Vecchio Continente può aver contribuito il dato sul carovita della Germania, che a febbraio è invece rimasto invariato al 2,7% e si è confermato in linea con le attese degli analisti.
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