Sono 214, investono in digital e fintech e hanno intenzione di aumentare la percentuale di private equity nella loro allocazione. A dirlo, una ricerca dell’Osservatorio Family Office, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano
Il fenomeno dei Family Office, ovvero di una società che gestisca il patrimonio di una (Single Family Office) o più (Multi Family Office) famiglie, è piuttosto recente. Almeno in Italia. Trattandosi di ricchezze private, il reperimento dei dati è piuttosto difficoltoso, ma l’Osservatorio Family Office, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano in collaborazione con il Centro di Family Business Management della Libera Università di Bolzano, sono riusciti a creare una fotografia chiara del fenomeno con l’indagine “La diversità dei Family Office”.
Multi o Single?
“Dalla nostra analisi emergono 214 Family Office in Italia, quarantadue in più rispetto lo scorso anno” afferma Alfredo De Massis, Co-direttore scientifico & chair dell’International Scientific Advisory Board e professore ordinario di Imprenditorialità e Family Business Management presso la Libera Università di Bolzano. Di questi 214, secondo l’indagine, la maggioranza sono Multi-family Office professionali o di origine bancaria (52,8% del campione), mentre i Single Family Office occupano il 47,2% della torta. “Geograficamente”, specifica De Massis, “emerge che 205 hanno sede in Italia” e in particolare in Lombardia (59%), Veneto (12%), Piemonte (8%), Emilia-Romagna (7%) e Lazio (6%). Il restante 9% ha sede in altre regioni.
Fonte: “La diversità dei Family Office”, Osservatorio Family Office, School of Management del Politecnico di Milano e Centro di Family Business Management della Libera Università di Bolzano
In relazione alla ricchezza gestita dal Family Office, in base a una gestione professionale o legata all’attività dell’impresa famigliare “classica”, l’indagine ha ritenuto opportuno coniare una nuova categoria, i Family Office “lone founder”, “nati come veicoli di investimento personale dell’imprenditore”, si legge nel report. “Oppure al fine di amministrare la propria ricchezza personale derivante dall’attività professionale che svolge in un’impresa non di sua proprietà (es: dirigenti in società di consulenza e/o in grandi gruppi multinazionali, sportivi facoltosi, ecc…)”.
La classificazione “lone founder” sarebbe quindi un’indicazione di come la visione perseguita in quel momento dall’impresa familiare non sia quella di un passaggio generazionale.
Sfide comuni
Uno dei primi ostacoli da affrontare per un Family Office è la reticenza ad esternalizzare a figure professionali la gestione del patrimonio. “Spesso, alla professionalizzazione del Family Office, si accompagna la professionalizzazione della famiglia stessa”, si legge nel report. Alessandro Perego, professore ordinario e Direttore del Dipartimento di Ingegneria Gestionale del Politecnico di Milano, fa notare come “con la specializzazione del mercato, il Family Office si chieda cosa debba essere gestito dall’interno e cosa debba essere esternalizzato”. “In questo particolare momento storico”, si legge nell’indagine, “un aiuto importante può arrivare dalla digitalizzazione: tecnologie digitali come, ad esempio, l’intelligenza artificiale rappresenteranno una grande opportunità di supporto”.
L’avvicinamento a è spesso intrapreso dalle nuove generazioni che si affacciano al patrimonio familiare. Il loro coinvolgimento nella gestione è una delle sfide che il Family Office deve affrontare oggi, che si lega a doppio filo alla continuità di una proprietà responsabile delle ricchezze.
Il contributo delle nuove generazioni appare particolarmente fondamentale se si guarda sia alla “proprietà responsabile” che all’ orientamento imprenditoriale, e quindi alle scelte di investimento a lungo termine. Per “proprietà responsabile” il report si riferisce a quell’insieme di “capitale umano” proprio della famiglia imprenditoriale, attraverso il quale applicare una “gestione che riduca l’insorgenza di conflitti tra proprietà e management”. Ciò significa, specifica l’indagine, “non solo proteggere il proprio patrimonio, ma anche accrescerlo e rinnovarlo nel tempo”. Per farlo, contestualmente alle peculiarità di questo momento storico, appare necessario diversificare “i portafogli di investimento e mitigare i rischi causati dal turbolento contesto geopolitici e all’incremento della complessità di normative di compliance”.
Scelte di investimento
Le evidenze in ambito di scelte di investimento vedono due terzi dei Single Family Office aumentare, dal 2020 al 2021, il peso del private equity nella propria asset allocation. “Rispetto alla massa investita del Family Office, la porzione di patrimonio investita in private equity è pari a circa il 14%”. E il peso di questa asset class, secondo il report, è destinato a crescere sul 100% del campione dei prossimi cinque anni.
Fonte: “La diversità dei Family Office”, Osservatorio Family Office, School of Management del Politecnico di Milano e Centro di Family Business Management della Libera Università di Bolzano
I single family office puntano sempre più la loro attenzione sull’economia reale, che si traduce in investimenti in private equity, venture capital e investimenti diretti club deal. Dal 2016 ad oggi “sono 94 i deal condotti su imprese attive, di cui 67 con valore noto, per un totale di 541 milioni di euro di investimento, di cui 256 milioni solo nel 2021”. Le imprese target, specificano i ricercatori, sono relativamente giovani, ovvero “prevalentemente fondate nel decennio scorso (2011-2021) o in quello ancora precedente (2001-020); sono solo 9 i deal conclusi in imprese fondate prima del nuovo millennio”. La predilezione dei Family Office, evidenziata dall’indagine, tende verso imprese “appartenenti al mondo digital: infatti, i settori delle imprese target aventi il maggior numero di deal conclusi operano in ambito ICT, portali e piattaforme digitali e fintech, dove sono stati conclusi il 34% dei deal totali”.
Infine, appare chiaro come la sostenibilità cominci ad avere un peso rilevante anche nei processi d’investimento e di asset allocation dei family office. Anche se, avvisa il report, il fenomeno è emergente. Infatti, benché il 60% degli intervistati prendano in considerazione i Social Development Goals (Sdg) nella propria strategia di investimento, c’è ancora una fetta piuttosto rilevante (40% del campione) che non li inserisce nella propria strategia. Fenomeno, secondo il report, dovuto “all’incertezza del contesto corrente” da una parte, e dall’altra a una discontinuità troppo netta tra le recenti opportunità di investimento sostenibile con le tradizionali strategie familiari.
Per la porzione di campione che dichiara di avere un atteggiamento propositivo verso scelte di finanza sostenibile, persegue per la maggior parte i seguenti obiettivi: innovazione e infrastrutture, energia rinnovabile, lotta al cambiamento climatico, sconfitta della povertà, buona salute, buona occupazione, utilizzo responsabile delle risorse.
“Conoscere a fondo” è la rubrica di FocusRisparmio.com in cui passiamo al setaccio una specifica asset class su un orizzonte di investimento di medio-lungo periodo, coinvolgendo i gestori dei fondi top performer in un’analisi a più voci sui driver di performance e sulle prospettive di rendimento dei prossimi mesi.
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