Ad agosto, indice dei prezzi e componente di fondo entrambi al 5,3%. I mercati vedono una pausa della stretta monetaria a settembre. Ma i gestori restano scettici
Si preannuncia un confronto acceso quello che il 14 settembre andrà in scena tra i membri del board della Banca centrale europea, chiamati a decidere sui tassi di interesse. L’atteso dato sull’inflazione di agosto nell’Eurozona ha infatti restituito un quadro contrastato: prezzi al consumo saldamente ancorati al 5,3%, come il mese precedente e oltre le previsioni di un +5,1%, a fronte di un calo dell’indice core al 5,3% dal 5,5%, cifra in linea con le stime anche se ancora oltre il target di Francoforte. Di fronte a questi numeri, anche alla luce delle parole meno dure del solito del ‘falco’ tedesco Isabel Schnabel, i mercati hanno scelto di vedere il bicchiere mezzo pieno e le probabilità di un nuovo aumento dei tassi sono scese dal 40% al 30%. Ma, tra i gestori, restano molti quelli convinti che i numeri non giochino a favore delle ‘colombe’ e che tra due settimane l’Eurotower potrebbe procedere con il decimo aumento consecutivo del costo del denaro.
Nel dettaglio, la stima flash di Eurostat prevede per il mese di agosto un aumento dei prezzi su base mensile dello 0,6%. A registrare i rincari maggiori saranno alimentari, alcol e tabacco (9,8% rispetto al 10,8% di luglio), seguiti dai servizi, che però dovrebbero calare al 5,5% dal 5,6% di luglio. A livello dei singoli Stati, l’inflazione è tornata ad aumentare in Francia (al 4,8% dal precedente 4,3% e oltre il 4,6% del consensus) e in Spagna (al 2,4% dal 2,1%). Una piccola frenata, anche se inferiore alle attese, si è invece registrata in Germania: qui il carovita è infatti passato al 6,1% dal 6,2% del mese precedente. Quanto all’Italia, è proseguito il rallentamento: per agosto, l’Istat stima un aumento dei prezzi dello 0,4% su base mensile e del 5,5% annuo dal +5,9% di luglio.
Si complica la scelta Bce
Mentre continua il pressing di molti governi per uno stop alla stretta che rischia di mandare definitivamente in recessione l’Area euro, con poche possibilità di ripresa, a rincuorare parzialmente i mercati sono arrivate le parole della Schnabel. Prima della pubblicazione del dato Eurostat, il membro tedesco del board ha sottolineato come le prospettive di crescita siano “più deboli di quanto previsto nello scenario di base”. “L’inflazione complessiva è scesa – ha aggiunto – ma le pressioni di fondo sui prezzi rimangono ostinatamente elevate, con i fattori interni che ora rappresentano i principali motori”. Più duro l’intervento del collega austriaco Robert Holzmann, che ha commentato il carovita di agosto spiegando come non ci siano elementi sufficienti per giustificare una pausa. “Non escluderei di poter optare per un aumento. Non siamo ancora al picco dei tassi. Potremmo decidere per un altro rialzo o due”, ha scandito.
Intanto dai verbali del meeting di luglio emerge che il periodo entro il quale l’Eurotower si aspetta di vedere l’inflazione ritornare al livello target si è spostato dall’ultimo trimestre del 2024 al 2025. E che tutti i membri del consiglio direttivo hanno sostenuto il ritocco di 25 punti base, anche se “inizialmente è stata espressa anche una preferenza per non aumentare i tassi di interesse di riferimento della Bce in considerazione dei rischi di una trasmissione più forte del previsto”. Grande enfasi è stata posta poi soprattutto sull’approccio ‘data dependent’. In particolare, si legge, c’è stato “un ampio consenso sul fatto che, prima della riunione di settembre, il Consiglio direttivo non dovesse né accennare a ulteriori aumenti dei tassi né segnalare che avrebbe sospeso l’aumento dei tassi o che aveva raggiunto il picco”.
Ma, come trapelato anche dal discorso della presidente Christine Lagarde a Jackson Hole, nuovi rialzi non sono certo esclusi. “Un ulteriore aumento dei tassi a settembre sarebbe necessario se non vi fossero prove convincenti che l’effetto dell’inasprimento cumulativo sia sufficientemente forte da ridurre il carovita sottostante in modo coerente con un tempestivo ritorno dell’inflazione complessiva al target del 2%”, viene spiegato nelle minute.
I mercati prezzano una pausa. Ma i gestori restano scettici
Per ora gli investitori propendono per una pausa e per un altro rialzo del costo del denaro entro la fine dell’anno. Tuttavia, molti gestori non la pensano così. “I prezzi dell’energia sono scesi ma ciò è dovuto in gran parte all’effetto base. Complessivamente, l’energia è ancora più costosa di circa il 50% rispetto a prima della crisi. I prodotti alimentari sono cresciuti di poco meno del 10%, diventando così più cari di un quinto rispetto a prima della guerra in Ucraina”, fa notare Martin Moryson, chief economist Europe Dws.
Per l’esperto, però, il vero cruccio di Christine Lagarde e colleghi è il dato dei servizi. Insieme al problema dei salari, è infatti proprio questa variabile a rendere la decisione del 14 settembre particolarmente complicata. “La domanda che la Bce si pone è se il rallentamento economico che stiamo vivendo sia già sufficiente a tenere sotto controllo i salari in futuro. I numeri di oggi mostrano come il via libera sia tutt’altro che appropriato e rendono molto probabile un aumento dei tassi di interesse alla prossima riunione”, afferma.
Anche Richard Flax, chief investment officer di Moneyfarm, si mostra dubbioso su una possibile pausa e prevede che il dibattito tra falchi e colombe si riaccenderà. “Per il meeting di settembre, complici i timori di deflazione, i mercati hanno iniziato a prezzare una possibile pausa nel ciclo di rialzi dei tassi, ma il fatto che il carovita resti su livelli storicamente elevati rende difficile prevedere con certezza un’inversione di politica monetaria”, mette in guardia.
Tra chi si pone invece fuori dal coro c’è Tomasz Wieladek, chief european economist di T. Rowe Price. “Finora i dati sull’economia reale di agosto hanno supportato una pausa, in particolare il forte calo dei Pmi dei servizi. La pubblicazione odierna dei dati sull’inflazione di agosto avvalora questa tesi”, afferma l’esperto.Che sottolinea come, al di là dell’inflazione complessiva, il dato a contare davvero sia il rallentamento della componente core Ipc dal 5,5% di luglio al 5,3%. Un evidenza che, dal suo punto di vista, contribuisce a “dare un po’ di respiro” alla Bce e innalza la probabilità di un stop il mese prossimo al 60%.
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