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Secondo il gestore dalla casa, il segmento non teme scenario macro o geopolitica. E crescerà ancora dopo un primo semestre da record. Gestione attiva, selezione settoriale e un mix di primario-secondario la ricetta del suo fondo per sfruttare un’asset class che rende oltre il 7%
I volumi crescono, la domanda da parte degli investitori anche. Quella dei bond convertibili è una corsa da record, che a luglio ha visto il segmento raggiungere il miglior risultato dal 2007 a livello mensile. Un trend talmente evidente da finire sotto i riflettori di BoFa, le cui stime per il 2026 parlano di emissioni pari a 100 miliardi. Eppure, tra inflazione in rialzo e tensioni internazionali, le nubi economiche e geopolitiche minacciano di addensarsi su questo universo e rovinare i piani di tanti investitori obbligazionari in cerca di soluzioni alternative. FocusRisparmio ha raggiunto Nicolas Crémieux, responsabile del comparto per Mirabaud AM e tra i principali conoscitori della materia, per capire quali siano ad oggi i rischi e le opportunità.
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Qual è il bilancio di questo primo semestre per il mercato delle obbligazioni convertibili?
Il mercato statunitense ha registrato un rendimento del 7,5%, l’Europa non è stata da meno grazie a una performance dal 6,5% e l’Asia ha fatto +6,7%. Questo significa che, a livello globale, il dato sui ritorni è eccezionale: il settore è stato infatti in grado di restituire agli investitori il 7,33%, catturando il 72% dei guadagni del 10,19% delle azioni sottostanti. E anche durante la correzione di aprile ha dimostrato una forte protezione dal ribasso, con una flessione di appena il 2,81% rispetto al calo del 12,5%: in altre parole, i titoli sottostanti hanno sovraperformato l’MSCI World di 339 punti base. Una resilienza che, unita al rinnovamento del mercato primario, fa di questi strumenti un risposta efficace all’attuale fase di volatilità.
Quali sono le prospettive a medio termine, considerando anche la traiettoria imboccata dalla politica?
Le nostre previsioni restano positive, sostenute dall’allentamento delle tensioni commerciali e dai tagli dei tassi attesi della Federal Reserve. Non è infatti un caso che gli emittenti stiano sfruttando gli spread ristretti e l’elevata volatilità per raccogliere capitali in modo opportunistico. E anche se restano rischi legati alle tensioni geopolitiche o al binomio inflazione-dazi, la natura ibrida delle convertibili le rende ben posizionate a prescindere dal possibile esito: in particolare, offrono un’esposizione alla crescita di tipo difensivo che dovrebbe garantire buone performance in diversi scenari di politica economica.
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Le emissioni e il controvalore ci dicono che il mercato sta crescendo anche in Europa, ma quanta distanza separa ancora il Vecchio Continente e dagli USA e come si può colmare? Le diverse prospettive c’entrano?
Con il 69% delle emissioni da inizio anno e una capitalizzazione di mercato che si aggira attorno ai 345 miliardi di dollari contro gli appena 54 dell’Europa, quello degli USA è ancora un dominio. Anche perché il ritardo del Vecchio Continente riguarda praticamente tutte le dimensioni del mercato, dalla profondità alla liquidità fino all’innovazione. Stiamo però recuperando terreno grazie alle emittenti investment-grade, che sono aumentate rispetto a livello storico del 31% e ora rappresentano il 45% dei collocamenti EMEA. La recente armonizzazione normativa dell’UE grazie alla Capital Markets Union dovrebbe accelerare ulteriormente questa tendenza: per colmare il divario, l’Europa deve infatti fare leva sulla propria leadership in ambito ESG e ridurre la frammentazione per attrarre emittenti e investitori più diversificati.
Quali effetti si aspetta da variabili come i dazi di Trump, le tensioni geopolitiche e la crisi in Francia?
Le tensioni geopolitiche, comprese le dinamiche commerciali tra Stati Uniti e Cina o i conflitti in Medio Oriente, hanno introdotto volatilità ma anche creato opportunità in settori come l’industriale e i materiali. Quanto ai dazi, gli emittenti statunitensi di convertibili sono relativamente protetti dai rischi perché hanno forte focus sui ricavi domestici e sono in pochi (27%) a servirsi di fornitori cinesi. Discorso simile per l’Europa: i disordini in Francia e le disparità regionali hanno sì pesato sul sentiment, ma le caratteristiche difensive delle convertibili le rendono un’opzione interessante in contesti di incertezza.
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Perché l’asset class dovrebbero essere presa in considerazione dagli investitori?
Nel lungo termine, le convertibili offrono rendimenti simili a quelli delle azioni ma con più benefici: volatilità inferiore, protezione dai ribassi e diversificazione. Possono inoltre fornire accesso a settori in forte crescita, dal sanitario all’energetico fino al tecnologico e all’intelligenza artificiale. La loro natura ibrida le rende particolarmente interessanti soprattutto ora che la ripresa del mercato primario ha introdotto strutture più equilibrate, con cedole più elevate e condizioni migliori.
Ci sono segmenti o geografie particolari in cui vede maggiori opportunità?
Occasioni interessanti si possono trovare nella tecnologia, dove software e semiconduttori si distinguono per valutazioni interessanti, e nell’healthcare, che beneficia sia delle attività di M&A sia delle small cap a sconto. Da considerare anche un’esposizione ai materiali, nello specifico i metalli preziosi, perché offrono opportunità nell’attuale super ciclo dell’oro e dell’argento. Dal punto di vista geografico, l’Asia sta invece emergendo come mercato chiave mentre il Giappone potrebbe registrare un aumento dei volumi di emissione a fronte di tassi più elevati. Gli Stati Uniti rimangono dominanti nei settori ad alto contenuto innovativo, con prezzi particolarmente appetibili nei segmenti growth mid cap a seguito delle recenti rotazioni di mercato.
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Meglio posizionarsi sul mercato primario o sul secondario?
Entrambi offrono vantaggi. Il primario, che ha raggiunto un valore di 115 miliardi di dollari da inizio anno, consente l’accesso a nuove emissioni con condizioni favorevoli e si contraddistingue per una ricca presenza di profili più bilanciati. I secondari regalano opportunità nei titoli mispriced e, in alcuni settori, presentano distorsioni che possono garantire sconti del 3-5% rispetto al valore teorico. D’altro canto, per ciascuno non mancano criticità e rischi: se nel primo le allocazioni non sono garantite e le nuove emissioni non hanno uno storico di negoziazione, nei secondi la liquidità può essere disomogenea mentre gli spread bid-ask si possono rivelare più ampi e le valutazioni rischiano di venire distorte da flussi tecnici. La gestione attiva è quindi essenziale per orientarsi in queste dinamiche, con decisioni di allocazione basate non solo su esigenze di cash ma anche su preferenze in termini di qualità creditizia e condizioni di mercato prevalenti.
Quali sono le vostre strategie per cavalcare il fenomeno?
Adottiamo un approccio bilanciato e attivo, concentrandoci su settori con un forte potenziale di crescita e mantenendo un’adeguata diversificazione. La nostra strategia ottimizza la convessità con un intervallo di delta compreso tra il 45% e il 60%, privilegiando emittenti di elevata qualità creditizia per mitigare il rischio di ribasso. Gestiamo attivamente la duration, puntando attualmente a un intervallo tra i due e i tre anni, così da bilanciare il potenziale di reddito con la sensibilità ai tassi d’interesse. Integriamo i criteri ESG e la nostra rotazione settoriale tattica attualmente favorisce i titoli ciclici e orientati al valore. Puntiamo su emittenti small e mid-cap per ottenere esposizione alla crescita con una maggiore protezione dal ribasso, e identifichiamo attivamente inefficienze di mercato in cui le azioni sono scambiate a sconto rispetto al valore teorico dei nostri modelli.
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