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Nei prossimi dodici mesi andranno alle urne 76 Paesi, il 51% della popolazione mondiale. Dagli Usa all’Ue, passando per Taiwan, Regno Unito e India: ecco a cosa guardano gli investitori
Non solo inflazione, guerre e rallentamento economico. Il 2024 si preannuncia anche come un anno spartiacque, a livello globale, dal punto di vista politico. Nei prossimi dodici mesi andranno infatti alle urne oltre 4 miliardi di persone in 76 Paesi, il 51% della popolazione del pianeta. E se in molti Stati non sono attese novità, dal momento che le elezioni non saranno libere, in altri il voto potrebbe invece dare il via a importanti cambiamenti. Con inevitabili ripercussioni sui mercati, che gli investitori stanno già cercando di valutare.
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Il più grande anno elettorale della storia
Ad aprire le danze di quello che l’Economist ha definito “the biggest election year in history” sarà Taiwan. A chiuderle, come da classico dulcis in fundo, gli Stati Uniti. In mezzo, a giugno, le europee: una resa dei conti per tutti i partiti del Vecchio Continente, Italia compresa. Ma non solo. Si voterà anche in otto dei dieci Paesi più popolosi al mondo: oltre agli Usa, toccherà infatti a Bangladesh, India, Indonesia, Messico, Pakistan e Russia. E alle urne andranno ben 18 Stati dell’Africa, che insieme contano 300 milioni di aventi diritto.
Alle urne il 40% del Pil globale
Secondo il Democracy Index dell’Economist, però, le elezioni saranno degne di tale nome solo in 43 Paesi. E di questi, 27 sono i membri dell’Unione Europea. Negli altri 28 il voto non si svolgerà in maniera pienamente democratica, con la conseguenza che si ridurrà a una mera formalità senza alcuna influenza degna di nota. Tra questi spiccano la Russia di Vladimir Putin e la Bielorussia di Alexander Lukashenko. Difficilmente si registreranno svolte, poi, in Iran, Bangladesh e Pakistan. In particolare, le consultazioni nazionali, presidenziali o legislative, riguarderanno 56 Stati. Che insieme valgono il 40% del Pil globale.
Inverno: Taiwan e Indonesia
Il primo appuntamento è, come si diceva, a Taiwan il 13 gennaio. Qui la posta in gioco è altissima non solo per gli equilibri interni di Taipei ma soprattutto per quelli geopolitici che coinvolgono Cina e Usa. Favorita è l’attuale maggioranza del Partito Democratico Progressista, che ha candidato il vicepresidente in carica Lai Ching-te e che rivendica la totale autonomia da Pechino. I due partiti di opposizione, Kuomintang e Partito Popolare di Taiwan, con un candidato unico, sono invece per mantenere rapporti stretti con il Dragone.
Il 4 febbraio, i riflettori si sposteranno su El Salvador, dove si eleggono presidente e Parlamento. Nuovamente candidato, nonostante la sua rieleggibilità sia stata da più parti contestata (si è parlato di “colpo di stato tecnico”), è l’attuale presidente Nayib Bukele. Favorito secondo i sondaggi, il politico ha attirato l’interesse degli investitori per essere stato il primo ad adottare il bitcoin come moneta legale.
Per San Valentino si guarderà all’Indonesia, dove sono da rinnovare presidente e camere. Nella più grande democrazia del Sudest asiatico si chiude definitivamente l’era del democratico Joko Widodo, che ha già raggiunto il limite di legge dei due mandati e che ha segnato un forte avvicinamento alla Cina. I quasi 205 milioni di aventi diritto al voto dovranno scegliere tra Ganjar Pranowo, Anies Baswedan e Prabowo Subianto. Per gli investitori, l’esito delle urne è cruciale perché il Paese potrebbe cambiare schieramento nella contesa tra Washington e Pechino e perché Giacarta è al centro dei problemi causati dal cambiamento climatico.
Primavera: Russia, Iran, India
Marzo vede due importanti appuntamenti, entrambi però già segnati. Il primo giorno del mese toccherà a Teheran, dove non sono attese sorprese. Il voto potrebbe piuttosto diventare l’occasione per nuove manifestazioni di piazza guidate dalle donne iraniane, con le conseguenti repressioni. Il secondo appuntamento è invece il 17 a Mosca. Vladimir Putin si è ricandidato per il quinto mandato e non ci sono dubbi che riuscirà a restare al potere, chissà se fino al 2030 come si propone. Rimandate, invece, le consultazioni in Ucraina che avrebbero dovuto tenersi a marzo.
Tra aprile e maggio andrà poi alle urne la più popolosa democrazia del mondo, l’India, con 900 milioni di votanti. L’attuale presidente conservatore Narendra Modi punta al terzo mandato con il suo partito Bharatiya Janata Party (Bjp). Per impedirglielo, 26 partiti di opposizione si sono coalizzati. I mercati però sembrano tifare per lo status quo, nonostante le accuse a Modi di limitare le libertà delle opposizioni e in particolare della “minoranza” (200 milioni di persone) musulmana.
Estate: Messico e Unione Europea
La bella stagione inizierà con il conteggio delle schede in Messico, dove il 2 giugno si eleggono presiedente e Parlamento. Andrés Manuel López Obrador, detto Amlo, dovrà lasciare perché la Costituzione limita la presidenza ad un solo mandato. È però opinione comune che il suo partito Morena vincerà, visti gli altissimi indici di gradimento di Amlo, superiori al 60%. La sfida è tutta al femminile, tra la favorita Claudia Sheinbaum e la principale candidata dell’opposizione, Xóchitl Gálvez. Per il Paese c’è anche un altro voto che potrebbe rivelarsi cruciale: quello per la Casa Bianca. Recentemente, infatti, la quota di importazioni messicane dagli Usa ha superato quella cinese, rendendo il Messico il principale partner commerciale di Washington. Il Paese è quindi molto esposto a un eventuale rallentamento dell’economia a stelle e strisce e a un possibile ritorno di Donald Trump.
Tra il 6 e il 9 giugno, il centro della scena sarà tutto per il Vecchio Continente. I 27 Stati membri dell’Unione europea voteranno per eleggere i deputati dell’Europarlamento: 720 rappresentanti, 15 in più della precedente tornata. L’appuntamento è particolarmente degno di attenzione, non solo perché costituisce la cartina al tornasole degli equilibri interni dei singoli Paesi, ma anche per capire che direzione prenderà Bruxelles, dove soffia forte il vento sovranista. Le proiezioni basate sulle recenti elezioni nazionali lasciano infatti prevedere un’impennata di consensi per i partiti di estrema destra. Questi puntano a formare una maggioranza con i Popolari, lasciando ai margini Socialisti e Liberali che, insieme al Ppe, guidano da sempre l’Unione.
Autunno: Regno Unito e Usa
In autunno dovrebbe andare alle urne anche il Regno Unito. La data non c’è ancora ma è certo che l’attuale premier Rishi Sunak parte sfavorito. Dopo tredici anni di governo, numerosi scandali e un’economia in difficoltà, la stella dei Tory sembra al tramonto. I sondaggi per ora scommettono sul laburista Keir Starmer, che ha rottamato tre quarti della vecchia nomenclatura del partito. Il suo programma, liberal ed europeista, ha tra i punti portare a casa un nuovo accordo Brexit.
Il 5 novembre tocca infine agli Stati Uniti, dove si vota per il nuovo presidente e per il rinnovo del Congresso. La sfida si preannuncia storica: con tutta probabilità si fronteggeranno infatti l’attuale inquilino della Casa Bianca, Joe Biden, e il suo predecessore, Donald Trump. Nonostante 91 incriminazioni in quattro diversi procedimenti, l’ex presidente è dato favorito dai sondaggi. Le implicazioni di una vittoria dell’uno o dell’altro sono molteplici a livello interno, geopolitico ed economico (tra le altre cose, Trump è anche un acerrimo oppositore dell’operato del numero uno della Federal Reserve, Jerome Powell). E per i mercati sarà un appuntamento decisivo.
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