Private debt, nel primo semestre calano raccolta e investimenti
Aifi: investiti 1.051 milioni di euro (-27%). Aumenta però il numero di società finanziate (+28%). Cipolletta: lavoriamo con il governo per ampliare la platea di investitori
5 min
Il private equity gode di ottima salute a livello globale, Italia compresa. Lo certifica il 2022, anno terribile per i mercati, che ha visto il settore rallentare nel secondo semestre ma tenere e addirittura mettere a segno il secondo miglior anno di sempre. È quanto emerge dal 14° Rapporto annuale sul Private Equity globale di Bain & Company, secondo cui i fondamentali sono solidi, con 3.700 miliardi di dollari di liquidità, e si prospetta un’ulteriore crescita nel lungo termine. Sebbene la battuta d’arresto di giugno abbia contribuito a rallentare drasticamente quella che è stata una corsa decennale, lo studio evidenzia infatti come il settore si sia mostrato resiliente e possa diventare ancora più attraente soprattutto per gli investitori che soffrono per i limiti dei mercati pubblici.
“Finora, anche quest’anno, abbiamo registrato un continuo rallentamento dell’attività ma l’attrattività a lungo termine del private equity per gli investitori è una certezza”, ha spiegato Roberto Fiorello, senior partner e responsabile italiano del Private Equity di Bain & Company. “Con la ripresa dell’attività di deal nel 2023 – ha aggiunto – il settore continua a essere ben posizionato per una crescita a lungo termine. Nonostante la contrazione di operazioni, exit e attività di fundraising, il 2022 è stato il secondo anno migliore della storia. L’incertezza del mercato globale è innegabile ma si tratta di un problema che il private equity ha già affrontato e superato in passato”.
Così come accaduto durante l’ultima crisi, quando gli investitori non si sono fatti prendere dal panico, concentrandosi sulla gestione e sulla mitigazione del rischio, secondo Bain i principali operatori continueranno a cercare operazioni in cui impegnarsi, pur tenendo conto delle condizioni macroeconomiche più deboli. E mentre il 2022 ha visto un rallentamento a livello globale, con una diminuzione del valore totale dei deal del 35%, Fiorello ha sottolineato che in Italia l’anno appena trascorso ha segnato un record con buyout per 64 miliardi di dollari contro i 36 registrati l’anno precedente. “Come in passato, i deal nazionali hanno riflettuto l’ampio spettro di settori economici del Paese. Oltre ai trasporti, tra i settori spiccano tech, healthcare, comparto consumer e industriali”, ha osservato.
Nel dettaglio, dopo aver segnato nuovi record nel 2021, con operazioni completate per un valore di mille miliardi di dollari, l’improvviso rallentamento dell’attività nel 2022 ha visto il valore globale delle acquisizioni (esclusi gli add-on) calare del 35% per chiudere l’anno a quota 654 miliardi di dollari. Il numero complessivo di deal si è invece contratto solo del 10%, a quota 2.300, beneficiando dello straordinario slancio della prima metà di anno. Il forte calo dell’attività e del valore delle transazioni da lì in poi è stato avvertito in tutte le regioni e nella maggior parte dei settori, con un particolare ribasso in Asia a causa delle ripetute chiusure dovute alle misure per il contenimento del Covid.
La riluttanza delle banche a concedere prestiti per grandi operazioni di leva finanziaria , con l’aumento dei tassi di interesse e l’intensificarsi dei timori economici, ha determinato l’andamento del mercato nel 2022. Negli Stati Uniti e in Europa, questo tipo di finanziamenti è diminuito in particolare del 50%, a 203 miliardi di dollari. A ciò è seguita una maggiore attrattiva delle operazioni più piccole, che hanno rappresentato una quota superiore delle transazioni totali e degli add-on, in quanto investitori e fondi hanno perseguito strategie di ‘buy-and-build’. L’inversione di tendenza ha colpito anche gli investimenti in growth equity e in venture late-stage, segmenti in precedenza molto attivi: il valore complessivo delle transazioni in queste aree è sceso del 28% a 644 miliardi di dollari.
Le exit si sono contratte in misura ancora maggiore rispetto all’attività di investimento: le dismissioni sostenute da buyout sono scese del 42% a 565 miliardi di dollari mentre le uscite di growth equity sono crollate del 64% a 312 miliardi di dollari. Cali che riflettono la completa chiusura del mercato delle Ipo in seguito al forte down dei titoli azionari, nonché la diminuzione del 58% delle operazioni tra sponsor. Le vendite ad acquirenti strategici sono invece state superiori alla media quinquennale, soprattutto grazie alla tenuta degli utili, ma hanno comunque chiuso il 2022 con un calo annuo del 21%. Sebbene la ricerca di Bain evidenzi come le prospettive per la raccolta di fondi di private equity rimangano estremamente ottimistiche, anche il dato dello scorso anno ha risentito del deterioramento delle condizioni e della fiducia (-10% annuo a 1.300 miliardi di dollari).
Guardando al futuro, gli investitori individuali e il loro patrimonio rappresenteranno il nuovo grande motore di crescita. Secondo Bain, i clienti retail detengono circa il 50% di tutti i patrimoni globali in gestione (stimati tra i 275mila e i 295mila miliardi di dollari), con solo il 16% allocato in fondi d’investimento alternativi. Dati che segnalano come proprio questo questo segmento abbia un potenziale significativo per l’industria. “Gli individui con un elevato patrimonio netto e i loro consulenti sono sempre più attratti dagli alternative perchè cercano opzioni di diversificazione e rendimenti migliori di quelli offerti dai mercati azionari e obbligazionari tradizionali. I fondi stanno già esplorando i mercati di investimento retail e si stanno muovendo rapidamente, costringendo il resto del settore a scegliere se far parte del gioco o meno”, ha fatto notare Fiorello. Nel frattempo, i grandi gestori del comparto muovono passi avanti e in molti hanno lanciato prodotti che consentono agli individui più facoltosi di accedere a classi di attività alternative. Così come banche e i consulenti, dal canto loro, stanno sviluppando opzioni per i clienti e le fintech stanno lavorando per adattare soluzioni a questa domanda e per semplificare il processo.
Passando alle criticità, secondo gli analisti Bain, la combinazione di tassi di interesse più elevati e pressioni inflazionistiche impone a fondi di private equity e general partner un nuovo imperativo: creare valore attraverso il miglioramento dei margini e la crescita organica e non più facendo affidamento su espansione di multipli più elevata. Inoltre, il settore si trova a dover affrontare altri due grandi mutamenti. Innanzitutto, la transizione energetica globale: la pressione sulle società di private equity per la decarbonizzazione dei portafogli si è intensificata nel 2022, con le autorità di regolamentazione, i consumatori, i clienti B2B e gli investitori che hanno moltiplicato le richieste di cambiamento. Al tempo stesso, la corsa allo sviluppo di fonti energetiche alternative e di altre soluzioni a basse emissioni di carbonio sta dando vita a un’opportunità generazionale per mettere il capitale al lavoro, che deve essere coltivata dai fondi sviluppando competenze e network. Anche le tecnologie del Web3 sono destinate a rappresentare un trend di vasta portata in grado di impattare in modo significativo sulle imprese e sui mercati nei prossimi dieci anni: per molti è il momento di costruire un know-how su questo tema e valutare come sfruttare i cambiamenti tecnologici.
Vuoi ricevere ogni mattina le notizie di FocusRisparmio? Iscriviti alla newsletter!
Registrati sul sito, entra nell’area riservata e richiedila selezionando la voce “Voglio ricevere la newsletter” nella sezione “I MIEI SERVIZI”.