Un sondaggio Amundi sul segmento retail mostra come gli italiani che investono in forma digitale siano il 43% contro una media internazionale del 64%. Un gap su cui incidono questioni di reddito e genere, oltre allo storico legame con la consulenza
Il panorama internazionale del risparmio gestito è sempre più aperto al mondo del fintech. Quello italiano decisamente meno. È quanto emerge da un recente sondaggio di Amundi SGR, secondo cui solo il 43% degli investitori retail tricolore utilizza strumenti di finanza digitale contro il 64% a livello internazionale. Un gap su cui incidono questioni di reddito e genere, ma anche il forte legame con la consulenza. Per il report, infine, il fenomeno dovrà prendere piede perché l’industria nazionale non venga penalizzata rispetto ai trend del futuro.
Digitale diffuso in tutte le età. Consulenza forte in Italia
La ricerca, che ha coinvolto 4.186 risparmiatori tra i 21 e i 60 anni in 11 mercati europei e asiatici, mostra che il 39% degli investitori retail fa fruttare denaro in forma ibrida mentre la quota full digital è del 25%. E, se è vero che il bacino d’utenza si compone di tutte le fasce anagrafiche (66% degli under 30 e 59% del gruppo dai 50 ai 60 anni), una certa concentrazione emerge invece a livello di reddito. In altre parole, è il pubblico più facoltoso quello maggiormente avvezzo al fintech. Quanto alla ripartizione, il prototipo del cliente medio sceglie di destinare a questi canali oltre la metà (53%) del proprio portafoglio senza avvalersi dei servizi di un professionista degli investimenti. Eppure, sono ancora due su cinque gli intervistati che affermano di rivolgersi a un consulente qualificato quando investono una somma pari a un anno di stipendio. In questo contesto, l’Italia è il Paese in cui si ricorre di più ai servizi di advisory: tre investitori su cinque. Anche se va sottolineato come siano le donne ad alzare la statistica, con un 65% di inclinazione contro il 58% degli uomini. Ma il gap non si ferma qui. Dalla ricerca emerge anche che i risparmiatori nostrani sono tra i meno propensi a investire attraverso una neobank (9%) o un’app di roboadvice (3%). Da sottolineare, infine, che solo il 17% di essi prevede d’investire di più nei prossimi 12 mesi mentre solo il 35% prevede di farlo in maniera autogestita di qui al 2029. Una tendenza spiegabile nel 47% dei casi con la riduzione del reddito disponibile.
Roma ha il pollice verde
In materia di sostenibilità, invece, Roma si dimostra migliore delle altre capitali. Sono infatti il 58% del totale gli italiani a detenere in portafoglio fondi Esg o simili, una percentuale leggermente superiore alla media globale del 53%. A trainare l’adozione dei criteri di finanza etica sono gli investitori più giovani, con una quota molto più elevata nella fascia compresa tra i 21 e i 30 anni (71%) rispetto agli over 50 (47%). Energie rinnovabili, sanità e transizione climatica risultano in cima alla lista dei temi verso cui si desidera concentrare il capitale investito. Mentre vengono ravvisati negativamente la produzione di armi, la deforestazione, il tabacco e la plastica.
Secondo Amundi, è molto probabile che i livelli di utilizzo del fintech aumentino nei prossimi cinque anni: “Quasi la metà degli investitori retail digitali prevede una crescita della percentuale dei propri investimenti”, spiega infatti il report. E a spingere l’espansione potrebbero essere proprio gli utenti più abbienti e consapevoli. Anche in questo caso la forbice varia da Paese a Paese: si va dal 60% registrato in Svizzera e Singapore al 31% rilevato in Francia fino al 35% nella Penisola. In media, comunque, la quota di chi punta a percorrere ancora di più i canali tecnologici sale dal 38% tra coloro che hanno meno di 20mila euro investibili al 55% dei soggetti con oltre 150mila euro. È però anche una questione di auto-percezione. La ricerca sottolinea infatti come la fiducia in sé stessi abbia un ruolo significativo nel maggior ricorso a mezzi d’investimento innovativi: solo il 27% degli insicuri si dimostra interessato ad avvicinarsi al mondo digital, mentre la fetta sale al 56% tra coloro che credono di prendere giuste decisioni in materia di risparmio. E lo stesso accade nel caso degli investimenti responsabili: il 71% dei fiduciosi ritiene importante o imprescindibile che le proprie opinioni si riflettano nelle decisioni d’investimento, contro il 46% degli investitori meno ottimisti.
Ilaria Pisani, head of Sales ETF, Indexing & Smart Beta di Amundi Sgr, ha commentato così i dati italiani: “La ricerca evidenzia nel nostro Paese significative differenze di genere per quanto riguarda ad esempio l’utilizzo di soluzioni digitali e il ricorso alla consulenza professionale. Conoscere questi dati è di grande importanza per orientare l’approccio di marketing e l’attività di assistenza in modo mirato sui bisogni e sui gap di conoscenza della clientela, aumentando così la soddisfazione dei clienti”.
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