A gennaio l’indice dei prezzi Uk ha rallentato oltre le attese. E per i gestori il picco dei tassi potrebbe essere vicino. Lagarde invece tira dritto, ma secondo alcuni potrebbe passare alla modalità dovish entro fine anno
Dopo che il dato sull’inflazione americana che ha riacceso i timori per una Fed più aggressiva, i riflettori dei mercati tornano a puntare sull’Europa, dove il carovita del Regno Unito ha rallentato più delle attese. Un dato che per le due banche centrali, Bce e Boe, sembra indicare due strade più prevedibili anche se probabilmente divergenti.
Prezzi in frenata
Scendendo nel dettaglio dei dati, a gennaio l’inflazione britannica ha fatto meglio delle attese salendo del 10,1% su base annua e scendendo dello 0,6% rispetto a dicembre. Gli analisti si aspettavano, infatti, un incremento del 10,3% sul 2022 e un calo dello 0,4% su base mensile, a fronte dei precedenti rialzi rispettivamente del 10,5% e dello 0,4%. Anche l’indice core ha sorpreso in positivo, scendendo al +5,8% annuo e superando così le aspettative del consensus ferme al +6,2% rispetto al +6,3% di dicembre.
La view dei gestori
Confermate, dunque, le anticipazioni della Bank of England, che già nelle scorse settimane aveva segnalato un sostanziale calo delle pressioni inflazionistiche. Una circostanza che potrebbe segnalare come l’istituto non sia molto lontano dal raggiungimento del livello terminale sui tassi di interesse dopo averli aumentati lo scorso 1° febbraio di 50 punti base al 4%. “Il dato di oggi indica una maggiore debolezza dell’economia britannica, che rimane particolarmente sensibile anche a causa degli effetti della Brexit sulle piccole e medie imprese domestiche”, sottolinea Federico Vetrella di IG Italia, per il quale si tratta comunque di un segnale che fa sperare gli investitori in un atteggiamento futuro più cauto da parte della BoE. “La banca centrale potrebbe dunque essere vicina al raggiungimento del target terminale sui tassi in modo da frenare l’inflazione ma non appesantire troppo i fondamentali macroeconomici che sono già deteriorati. D’altra parte, il calo dell’inflazione è il risultato della forte rallentamento dell’economia britannica,che rimane particolarmente vulnerabile a un rischio di recessione nella prima parte del 2023”, avverte.
Paul Diggle, deputy chief economist di abrdn
Paul Diggle, deputy chief economist di abrdn, fa notare come l’istituto centrale britannico abbia messo in guardia sul fatto che i rischi sui prezzi tendono al rialzo, con la scarsa performance dell’economia dal lato dell’offerta che potrebbe rendere vischiosa l’inflazione core generata dal mercato del lavoro. Ma nonostante questo ha apportato due importanti modifiche alla sua retorica, che suggeriscono un approccio più dovish. “Il governatore Bailey ha lasciato intendere che l’istituto ritiene di non dover attuare ulteriori rialzi dei tassi nella sua ipotesi centrale, sebbene il rischio di un’inflazione core persistente che richieda ulteriori strette sia ancora presente”, evidenzia, precisando che la BoE potrebbe aver raggiunto il picco massimo di aumenti e dovrebbe iniziare un ciclo di tagli alla fine del 2023.
Per l’Eurozona la situazione appare più accidentata. Prova ne è che a gennaio il tasso d’inflazione registrato in Spagna è stato del 5,9%. Un dato ben al di sotto de 10,8% raggiunto a luglio 2022 ma in aumento di 0,2 punti su dicembre e di 0,1 rispetto al rilevamento dell’inflazione flash pubblicato alla fine del mese scorso. Per quanto riguarda invece l’Area Euro, la stima flash di gennaio parla di un incremento dell’8,5%, rispetto al +9,2% di dicembre e al +5,1% del 2022. Meglio delle previsioni, anche se sono in molti a credere, vista la tenuta dell’economia, che Lagarde potrebbe continuare con i ritocchi dei tassi e andare oltre il 3,5%.
“La Bce sta ancora cercando di riguadagnare la propria credibilità nel perseguire l’obiettivo dell’inflazione, un aspetto cruciale nell’Eurozona, dove le pressioni sui prezzi core rimangono elevate e la banca centrale deve lavorare per ridurre l’inflazione sottostante, dato che l’attività economica sta reggendo meglio durante l’inverno”, commenta Diggle, secondo il quale Francoforte aumenterà i tassi di interesse di 50 punti base a marzo e di altri 25 a maggio, ma potrebbe passare a una modalità di allentamento entro fine anno.
Il ritorno all’attivismo fiscale
Keith Wade, chief economist and strategist Schroders
Secondo Keith Wade, chief economist & strategist di Schroders, le banche centrali vinceranno la loro battaglia nei prossimi 12-18 mesi, ma si entrerà in un nuovo regime caratterizzato da carenze sul lato dell’offerta e da aumenti dei prezzi più frequenti, con un’inflazione stabilmente più alta e volatile. “In questo nuovo quadro la politica monetaria dovrà rimanere concentrata a controllare l’inflazione, lasciando potenzialmente spazio alla politica fiscale per gestire la crescita, o la mancanza della stessa”, spiega. “Tuttavia, il percorso verso un maggiore attivismo fiscale è impegnativo e rischia di creare seri conflitti con le banche centrali e i mercati, come testimoniato nel Regno Unito dopo la recente debacle del ‘mini-budget’. Di conseguenza, un maggiore attivismo fiscale potrebbe comportare altri cambiamenti più radicali del quadro politico”, conclude Wade.
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