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Difficile dire dove si fermerà la stretta di Lagarde. Ma per Schmid di Ethenea ci sono tre possibilità. E una sola cura per l’inflazione
La domanda clou per gli investitori, su entrambe le sponde dell’Atlantico, è dove andranno a finire i tassi d’interesse nel 2023. Le ipotesi si sprecano, ma in particolare per la Bce le previsioni sono particolarmente difficili, nonostante Lagarde e colleghi abbiano finora rispettato le attese. Soprattutto dopo le dichiarazioni del Consiglio direttivo, che ha preannunciato aumenti ancora significativi e costanti, gli operatori sono rimasti spiazzati ed è diventato esercizio molto difficile pronosticare la fine della stretta.
Secondo Volker Schmidt, senior portfolio manager di Ethenea Independent Investors Sa., è però possibile ipotizzare tre scenari per il 2023, riassumibili con altrettanti numeri: 4, 6 e 8%.
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Tassi al 4%
Il più probabile è quello che vede i tassi dell’Eurozona arrivare al 4%, in quanto secondo Schmidt rappresenta un compromesso tra le necessità di raffreddare la domanda, ancorare le aspettative d’inflazione a un livello basso ed essere cauti nel superare i rialzi dei tassi. “È certo che la banca centrale preveda altri due aumenti di 50 punti base nelle sue riunioni del primo trimestre del 2023. Questo rende probabile un valore massimo del 4% per i tassi di interesse di rifinanziamento”, spiega.
“Se si guardano le aspettative di inflazione a lungo termine secondo le indagini sui consumatori e i prezzi delle obbligazioni indicizzate all’inflazione – fa notare – queste rimangono gestibili intorno al 3%. Il disaccoppiamento delle aspettative di inflazione è attualmente la maggiore preoccupazione della Bce, che però non ha di fatto alcuna influenza su alcuni fattori, soprattutto l’esplosione dei costi energetici, che dipendono dal clima e dagli sviluppi geopolitici”.
Tassi al 6%
Si prevede che nel 2023 l’inflazione nell’Eurozona supererà nuovamente il 6% in media, battendo anche quella degli Stati Uniti. Questo, secondo il senior portfolio manager di Ethenea, da solo giustificherebbe un livello di tassi d’interesse del 6%, anche qui oltre quello Usa. “Ma per combattere l’inflazione a lungo termine – osserva – la politica della banca centrale dovrebbe diventare molto più restrittiva e i tassi di interesse di riferimento dovrebbero essere più alti del tasso di inflazione”.
Tuttavia, come fa notare Schmidt, gli ampi programmi di sostegno del governo contrastano le misure restrittive delle banche centrali. “Secondo il noto economista francese Olivier Blanchard – argomenta – sono stati proprio i programmi di sostegno eccessivi delle amministrazioni Trump e Biden a causare l’attuale inflazione. E i governi europei stanno facendo lo stesso errore, che comporta un’alta l’inflazione, alimentata ulteriormente con le loro spese. Aumentando significativamente i tassi di interesse, la Bce potrebbe rendere più costosi i finanziamenti e, in ultima analisi, ridurli. Il sostegno statale e i significativi aumenti salariali continuerebbero tuttavia a garantire la stabilità dei consumi. L’elevato numero di posti di lavoro vacanti diminuirà soltanto quando ci sarà un’ulteriore pressione sull’economia. Fino ad allora, la tendenza al rialzo degli stipendi continuerà. I contratti collettivi in Germania, dal caso IG Metall al contratto collettivo Volkswagen, mostrano un contenimento degli stipendi per il 2022 e il 2023, ma un aumento significativo nel 2024”.
Tassi all’8%
Infine, l’ultima opzione è la terapia d’urto, sotto forma di aumento dei tassi di interesse di riferimento all’8%, come in Ungheria. Una scelta che, a detta di Schmidt potrebbe essere giustificata dal drastico aumento delle attività monetarie durante la pandemia. “È la teoria secondo cui serve uno shock per sconfiggere l’inflazione. Tendiamo però a escludere che la Bce possa intraprendere questa strada”, precisa.
La Bce non può farcela da sola
Dunque come orientarsi? Per l’esperto Ethenea, al momento il livello dei tassi non è determinante: Francoforte può influenzare solo in parte la corsa dei prezzi, aumentando direttamente il costo del credito per imprese, consumatori e Stati. “Tuttavia – evidenzia – le attività finanziarie, soprattutto quelle private, sono molto elevate e quindi i consumatori fanno meno affidamento sul credito. Mentre la Bce non ha alcuna influenza sui livelli dei fiumi in Francia, sui dibattiti sulla chiusura delle centrali elettriche o sui boicottaggi alle forniture della Russia. Nel migliore dei casi, la banca centrale è un passeggero dell’andamento dell’inflazione o addirittura siede sul sedile posteriore. E sta facendo il minimo indispensabile per mantenere basse le aspettative di inflazione, mentre dipende anche dalle azioni altrui”.
Per questo, a suo dire, la sfida dei prezzi va combattuta insieme: sarebbe inconcepibile un’inflazione alta solo nell’Area euro e stabilmente sotto il 2% nel resto del mondo, e viceversa. “O le banche centrali si muovono insieme o non raggiungeranno l’obiettivo. E se non ci riusciranno rapidamente, i tassi d’interesse potrebbero continuare a salire, sia nell’Eurozona che a livello globale”, conclude quindi Schmidt.
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