Usa, Pil meglio del previsto mentre sale il rischio default
Nel primo trimestre l’economia cresce dell'1,3% e batte le attese. Ma lo stallo sul tetto del debito può costare un downgrade del rating minacciano. La view dei gestori
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Chi si aspettava da Jerome Powell qualche indicazione sulla prossima riunione del Fomc del primo febbraio è rimasto deluso. Il presidente delle Federal Reserve, ospite del simposio della Riksbank di Stoccolma, si è mostrato inflessibile, ribadendo che il ruolo della banca centrale può a volte risultare impopolare ma che deve sempre essere indipendente dalla politica, senza però affrontare esplicitamente la questione dei tassi di interesse.
“È essenziale che stiamo ai nostri obiettivi di statuto, e resistiamo alla tentazione di allargare il nostro campo d’azione di fronte ad altri, importanti problemi sociali”, ha detto con una netta presa di posizione contro le pressioni che vorrebbero un atteggiamento più morbido nella lotta all’inflazione combattuta a colpi di rialzi dei tassi.
Per Powell, la Fed ha utilizzato i suoi strumenti “in modo innovativo nelle recenti crisi” e il sistema finanziario è ora “sostanzialmente più resiliente”. Strumenti che, ha scandito, “funzionano e non c’è niente di sbagliato nel nostro mandato”. D’altra parte, per il presidente la stabilità dei prezzi offre enormi benefici nel tempo: è la base di un’economia in salute. E anche se ripristinarla potrebbe richiede azioni impopolari, la Fed resta concentrata nel centrare gli obiettivi del suo mandato, così come l’indipendenza della politica monetaria rimane cruciale.
Stessa inflessibilità ha mostrato, sempre nel corso del simposio della banca centrale svedese, Isabel Schnabel, membro del board Bce, secondo cui i tassi d’interesse nell’Area euro devono ancora salire “significativamente” portando le condizioni finanziarie verso livelli restrittivi, perché l’inflazione non scenderà da sola. “Non credo che alzare i tassi d’interesse per contrastare l’inflazione sia così impopolare”, ha spiegato l’economista tedesca, aggiungendo che al contrario ci sono indicazioni secondo cui per molti una stretta monetaria è invece desiderabile e che non è compito dell’Eurotower prendere misure “popolari”.
I due interventi erano molto attesi dai mercati, dopo che lunedì Raphael Bostic e Mary Daly, membri non votanti a capo rispettivamente della Fed di Atlanta e della Fed di San Francisco, hanno detto di prevedere che i tassi saliranno di oltre il 5% prima che la stretta si plachi, e che lì rimarranno per un po’. In particolare, secondo Bostic la banca centrale Usa potrebbe comunque allentare il ritmo dei ritocchi se il dato di giovedì sui prezzi al consumo dovesse mostrare ancora un rallentamento, dando importanti indicazioni sul trend dell’inflazione.
Secondo Goldman Sachs è improbabile una nuova stretta della Fed “data la disinflazione attualmente in corso”. Per gli analisti della banca Usa, infatti, “l’aumento dei prezzi sta rallentando in modo deciso”, poiché negli ultimi 2 mesi l’inflazione sequenziale Pce si è normalizzata a un tasso annuo del 2,6%, dimezzato rispetto all’anno prima. Quanto al dato di dicembre che verrà diffuso tra due giorni, le stime di Goldman Sachs sono di un tasso “simile o leggermente più alto”. In definitiva le attese sono “di almeno mezzo punto al di sotto della stima media indicata dal Fomc della Fed al 3,5% per il quarto trimestre dell’anno”, fanno notare.
Diverso il parere di Jamie Dimon, amministratore delegato di JpMorgan, secondo cui Powell potrebbe aver bisogno di spingersi al di là delle attese e portare i tassi sopra il 5%. In un’intervista a Fox, il manager si è detto comunque favorevole alla possibilità che la banca centrale americana si prenda una pausa per valutare l’impatto dei rialzi decisi lo scorso anno. Dopo l’ultimo ritocco di 50 punti base, i tassi Usa sono al 4,25-4,5%, ai massimi degli ultimi 15 anni.
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