Eurozona, boom di emissioni governative: 600 miliardi di euro in quattro mesi
Al 30 aprile superato il 45% del volume lordo annuo pianificato. Italia al 47%. E a fine 2025 si può arrivare a quota 900 miliardi. Il report di Generali Investments
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Sul fatto che non sia un nuovo 2008 sono tutti d’accordo, ma la crisi bancaria partita dagli Usa con l’implosione di Silicon Valley Bank e arrivata in Europa continua a tenere alta la tensione sui mercati. Il punto, per gli investitori, è capire se ci sono altri istituti a rischio crack, se e in che modo le banche centrali proseguiranno nella loro lotta all’inflazione e quali saranno gli impatti sulla già fragile crescita economica. Con il settore del credito declassato di fatto in pochi giorni da attrattivo a intoccabile.
“La situazione sembra ora preoccupante e invita alla cautela. La crisi bancaria che stiamo vivendo è un evento creditizio importante, ma in linea di principio non è in grado di modificare le previsioni di inflazione e crescita in misura sufficiente da indurre le banche centrali a interrompere il loro ciclo di rialzi dei tassi”, sostiene François Rimeu, senior strategist di La Française Am. Per l’esperto il problema è però che con il passare del tempo salgono le probabilità di un evento del genere, con un ritorno violento della volatilità. “A questo proposito, è piuttosto raro assistere a un massiccio aumento della volatilità implicita dei mercati del reddito fisso senza che questo abbia un impatto significativo sulla volatilità di altre classi di attività o sui premi di rischio in generale”, mette in guardia.
Secondo Antonio De Negri, ceo di Smart Bank, la situazione di stress probabilmente durerà ancora per un po’. “C’è ancora una buona probabilità che i maggiori clienti degli istituti più piccoli decidano di spostare i propri risparmi e investimenti in istituti di credito più grandi, andando a mettere in ulteriore difficoltà le piccole e medie banche”, osserva. Per De Negri, a livello macroeconomico, questo restringimento del credito dovrebbe tradursi in una diminuzione di 0,25/0,50 punti percentuali sulla crescita del Pil Usa quest’anno, più o meno l’impatto che avrebbe un ulteriore aumento dei tassi di 25 o 50 punti base. Ma questa situazione, a suo dire, non andrà a impattare seriamente la quantità di prestiti rilasciati dai grandi istituti. De Negri si aspetta dalla Fed due ulteriori aumenti di 25 punti base nei mesi maggio e giugno, senza escludere la possibilità di un taglio per diminuire lo stress sul settore bancario in futuro, ma considera la recente agitazione solo un piccolo colpo per la crescita 2023.
Per Mark Nash, gestore dello Strategic Absolute Return Bond di Jupiter Am, sul mercato obbligazionario la crisi del sistema bancario è una chiara prova che le azioni di politica monetaria stanno funzionando. “I tassi fanno poco per spostare il ciclo in un senso o nell’altro. E’ solo quando qualcosa si rompe che il prestito si ferma letteralmente. Ora stiamo assistendo a quel momento. Prevediamo che il risultato di ciò sarà una maggiore volatilità, la crescita ne risentirà e l’inflazione si attenuerà. Per ora, prevediamo che un’avversione al rischio dominerà i mercati almeno fino a quando le banche centrali non inizieranno a tagliare i tassi”, spiega.
Steven Bell, chief economist Emea di Columbia Threadneedle Investments, distingue la situazione americana da quella europea. “Riteniamo che la crisi del credito negli Stati Uniti abbia ora avvicinato la recessione, sebbene l’economia sembrasse più forte prima della crisi. Mentre in Europa, il calo dei prezzi del gas naturale ha portato sollievo a consumatori, aziende e governi”, chiarisce. Alla luce dell’attuale contesto, Bell preferisce dunque gli asset di rischio del Vecchio Continente, sebbene a suo parere l’azionario nel complesso potrebbe presentare delle difficoltà. “L’euro potrebbe invece rafforzarsi rispetto al dollaro. Infine, le obbligazioni rimangono interessanti, nonostante il recente rally”, afferma.
Anche Rimeu consiglia prudenza sull’equity. “In generale manteniamo un’esposizione bassa. Abbiamo incrementato il peso delle utilities a scapito dei titoli energetici e finanziari, nonostante la già bassa esposizione al settore finanziario. Continuiamo a preferire l’Asia/Cina all’Europa/Usa”, precisa. Quanto al credito, raccomanda cautela sul segmento di mercato LT2, in particolare sulle call corte, e si aspetta molte non-call sugli AT1. “Quanto all’investment grade, il debito bancario non è quasi mai stato scontato come la sua controparte non bancaria; siamo positivi nel medio termine sull’Eurozona, più cauti verso gli Stati Uniti. Il resto del mercato è stato leggermente scontato, ma sta beneficiando della sua elevata duration senza questi periodi di stress. Per l’high yield, continueranno ad emergere rischi e tassi di default, con valutazioni che non riflettono ancora pericoli significativi. Sebbene i fondamentali delle società rimangano solidi, stiamo riducendo le nostre allocazioni, soprattutto nel segmento B”, conclude.
Dello stesso parere Alberto Tocchio, head of european equity and thematics di Kairos Partners Sgr, secondo cui al di là dei sempre possibili rimbalzi tecnici, nel medio termine è difficile essere costruttivi sull’azionario. Secondo Tocchio, però, per i portafogli quest’anno si ha l’alternativa dei rendimenti decisamente interessanti su obbligazionario e money markets. “Sui mercati continuerei ad attendermi una specie di caccia alle streghe per individuare i settori e le aree geografiche più deboli ed esposte ai costi e disponibilità di credito, ora si parla del settore immobiliare commerciale ma non sarà probabilmente l’unico a stime al ribasso per la crescita economica”, avverte.
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