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I future petroliferi e gli indici MSCI World Energy e S&P North American Natural Resources sono risaliti sui massimi da giugno-luglio dopo gli attacchi agli impianti di Abqaiq e Khurais in Arabia Saudita
Il mercato del petrolio rischia di affrontare uno shock dei prezzi dopo l’attacco di ieri agli impianti di produzione di Abqaiq e Khurais in Arabia Saudita con cui è stata dimezzata la produzione giornaliera del primo esportatore mondiale di greggio.
L’offerta dei sauditi ora – stimano gli analisti – dovrebbe scendere da 10 a 5 milioni di barili giornalieri, cifre che hanno fatto letteralmente volare le quotazioni del petrolio e degli strumenti finanziari a esso collegati, dai future fino alle azioni delle grandi compagnie petrolifere mondiali.
“La perdita di produzione è superiore a quella dell’invasione del Kuwait (1990) e della rivoluzione islamica in Iran (1979)”, ragiona Equita Sim in un report.
Secondo le prime ricostruzioni di Riyad ci vorranno settimane, se non mesi, per ripristinare i precedenti livelli di produzione. Nel frattempo, i sauditi attingeranno alle enormi riserve stoccate nei magazzini del Paese e nei giacimenti di riserva per provare a frenare l’improvviso calo di offerta.
Per ora però l’aumento dei prezzi del petrolio ha avuto ripercussioni senza precedenti sul mercato dei future, che ieri hanno aperto in rialzo di oltre il 20% per poi assestarsi attorno ai 70 dollari al barile in chiusura di seduta. Ne hanno tratto beneficio le società del settore, anche in Italia (prezzi più alti significano maggiori margini, ndr), e con esse le performance di diversi fondi ed Etf posizionati sul comparto.
Le stime di Equita, ad esempio, parlano di un effetto dei prezzi del petrolio sulla sola ENI quantificabile in 170 milioni di utile netto per ogni dollaro in più pagato sul singolo barile, il 4% di tutto l’esercizio 2019.
Bene i petroliferi, ma non solo
I maggiori beneficiari in tal senso ieri sono stati i comparti più esposti verso il settore delle commodity o dell’oil&gas puro. I principali titoli che ieri hanno chiuso in territorio positivo le big del settore quotate al Nyse, da Exxon Mobil a Chevron, ma anche in Europa (Bp e Royal Dutch Shell) e in Italia dove Eni e Tenaris hanno chiuso tra le migliori di Piazza Affari.
In questo contesto gli indici MSCI World Energy e l’S&P North American Natural Resources, i due principali benchmark presi a riferimento dai fondi tematici su petrolio ed energia, sono risaliti sui massimi da giugno-luglio.
Movimenti rialzisti importanti anche fra gli Etf: i più movimenti ieri e oggi su Euronext, Xetra e Piazza Affari sono quelli che replicano lo STOXX Europe Oil&Gas ma non mancano acquisti verso gli obbligazionari. Lo shock provocato dall’impennata dal petrolio ha infatti spinto gli investitori verso le obbligazioni, asset visto come protezione nel caso in cui il rialzo dei prezzi dell’energia dovesse risvegliare l’inflazione.
Il rischio più concreto di questa impennata dei prezzi riguarda infatti un surriscaldamento eccessivo dell’inflazione, con ricadute pesanti sui consumatori finali: “Oltre all’aumento del rischio politico in Medio Oriente, questo attacco non è di buon auspicio per la fiducia globale dei consumatori e il loro potere d’acquisto”, ha spiegato Didier Saint-Georges, managing director e membro del comitato investimenti di Carmignac.
Dove andrà il prezzo del petrolio?
Per ora le pressioni rialziste sul prezzo del petrolio rimangono sostenute. “Prima di questo attacco, il premio di rischio per il petrolio scambiava a livelli depressi sulla base dell’ipotesi che la capacità di riserva fosse vicina a 3,3 mbpd (milioni di barili al giorno, ndr) – 2,5 mbpd.
Dopo questo fine settimana, il premio di rischio nei mercati petroliferi ha dovuto prendere in considerazione una realtà diversa e ora sta negoziando sulla base di una capacità inutilizzata rivista: +0,3 mbpd in Russia, +0,2 mbpd in Kuwait e +0,1 mbpd negli Emirati Arabi Uniti”, ha spiegato Michel Salden, senior portfolio manager di Vontobel Asset Management.
In termini di prezzi quindi non dovremmo essere sorpresi se entro la fine dell’anno le quotazioni del greggio dovessero toccare quota 80 dollari: “È un target possibile. Solo se i sauditi saranno in grado di riportare la piena produzione entro pochi giorni, l’attuale rally dei prezzi scomparirà e sarà visto solo come una prova di stress sulla volatilità dei mercati energetici”, ha aggiunto Salden.
Le mosse dei gestori
Il portfolio manager di Vontobel è in accordo con una visione che vede vantaggi nell’investimento obbligazionario: “Prima di questo evento, l’allocazione tradizionale del 60%-40% in obbligazioni e titoli di stato correva su valutazioni scarse, mostrando mancanza di diversificazione e un rischio aumentato che l’allocazione delle obbligazioni al 60% fosse vulnerabile a un aumento dell’inflazione. In un mondo in cui 16 trilioni di dollari di obbligazioni sono sul mercato con rendimenti negativi, le materie prime come asset in grado di fornire un rendimento convincente di oltre il 12% oltre ai necessari benefici di diversificazione derivanti dall’inflazione e dalle coperture geopolitiche probabilmente riacquisteranno un ruolo più importante nell’allocazione delle decisioni dei comitati di investimento”.