Pil mondiale 2022 da 3,2% a 2,6%, l’Italia frena al +2,3%. Pesano guerra e lockdown cinese. La recessione però non è all’orizzonte. Anche per i gestori la ripresa si piega ma non si spezza
Guerra Russia-Ucraina e lockdown cinese stanno per presentare il conto. Ne sono convinti gli esperti dell’agenzia Usa Moody’s, che hanno tagliato ufficialmente le stime di crescita globale per il 2022 e per il 2023 per via degli shock sul lato dell’offerta e dell’aumento dell’inflazione.
Il Pil delle economie avanzate, stando alle nuove previsioni, crescerà solo del 2,6%, a fronte del 3,2% stimato a marzo, mentre le stime sui Paesi emergenti vengono ridotte dal +4,2% al +3,8%. E potrebbe non esser tutto: rischi di ulteriori riduzioni, avvertono da Moody’s, potrebbero arrivare da “un’escalation del conflitto militare tra Russia e Ucraina e da rallentamento oltre le attese della crescita cinese”.
È ancora presto, però, per parlare di recessione, secondo gli esperti Usa. Fatta eccezione per la Russia, infatti, al momento non ci si attende una recessione per nessuno dei Paesi del G-20 nel 2022 e nel 202. “Tuttavia – ha messo in guardia Madhavi Bokil, senior vice president/Csr di Moody’s – ci sono rischi multipli che possono mettere ulteriormente a rischio l’outlook economico, tra cui ulteriori pressioni al rialzo sui prezzi delle commodity, interruzioni di lunga durata alla supply chain o rallentamenti della Cina maggiori delle attese. Una stretta monetaria aggressiva, per le preoccupazioni che le aspettative di lungo termine sull’inflazione si disancorino, potrebbe a sua volta diventare un elemento catalizzatore di una recessione”.
Insomma, per Moody’s i prossimi mesi saranno decisivi: se l’economia globale rimarrà resiliente durante questo periodo il cammino di crescita potrebbe diventare più sostenibile il prossimo anno.
Le nuove stime: Pil Italia 2022 da +3,2% a +2,3%
Nel dettaglio, l’agenzia Usa ha tagliato le stime di crescita 2022 dell’Italia al +2,3%, dal +3,2% previsto a marzo, e quelle per il 2023 dal +2,1% al +1,7%. L’Eurozona, si legge nel nuovo Macro Global Outlook, crescerà nel 2022 del 2,3%, a fronte del 2,5% previsto due mesi fa, mentre nel 2023 è atteso un piccolo miglioramento (da +2,2 a +2,3%). In frenata anche gli Usa, da +3,7 al +2,8% nel 2022 e dal +2,5% al +2,3% nel 2023, e limitatamente al 2022 anche la Cina, da + 5,1% a +4,5%, mentre nel 2023 il Pil di Pechino viene rivisto al rialzo da +5,2 a +5,3%.
La view dei gestori
Mentre quindi sui mercati si fanno sempre più frequenti parole come stagflazione, deflazione e recessione, gli esperti Moody’s si pongono in linea con quanto affermato ancora due giorni fa dalla Bce (“una recessione non è nello scenario di base”) e anche da molti gestori. “Guardando ai prossimi 12 mesi, la crescita sarà più lenta, ma sarà comunque positiva”, afferma Colin Graham, head of multi asset strategies e co-head of sustainable multi asset solutions di Robeco, secondo cui il sostegno fiscale permarrà in Europa e in Cina. “Gli utili societari continuano a crescere, mentre la politica monetaria rimane accomodante. Inoltre, non dobbiamo dimenticare che le banche centrali hanno a disposizione diversi strumenti per controllare l’inflazione. Questo è uno degli elementi chiave”, sottolinea.
Per Graham, se riusciremo a intravedere un picco dell’inflazione, allora significa che avremo un mercato molto più calmo. “Le altre economie si stanno ancora aprendo. Riteniamo che i bilanci dei consumatori e delle imprese statunitensi siano in ottima forma e che gli indicatori di recessione saranno ancora piuttosto bassi per i prossimi 12 mesi. Per tali motivi pensiamo che la situazione sia ancora positiva”, assicura.
Roberto Rossignoli, portfolio manager di Moneyfarm, pone l’attenzione soprattutto sull’Eurozona, la cui situazione è a suo parere più critica. “Secondo la Bce, l’inflazione complessiva prevista sarà ancora molto elevata nei prossimi mesi, per poi intraprendere una lenta discesa verso l’obiettivo, 5,1% nel 2022, al 2,1% nel 2023, fino all’1,9% nel 2024”, fa notare.
Secondo Rossignoli, i dati di Pil e inflazione, seppure peggiori delle attese, hanno offerto qualche spunto positivo e i fondamentali societari sono rimasti sorprendentemente solidi. E la stagione degli utili è stata sì meno brillante del solito, ma la profittabilità delle aziende è rimasta elevata e il mercato del lavoro continua a essere solido. “A nostro avviso – suggerisce -, è preferibile mantenere un approccio cauto, in attesa di ricevere segnali più univoci sulla normalizzazione dell’inflazione, la resilienza della crescita economica e il miglioramento della situazione geopolitica. Quando il focus degli investitori si sposta dall’inflazione a una possibile recessione, consigliamo di allungare leggermente la scadenza media delle obbligazioni in portafoglio e di mantenere un approccio cauto nell’esposizione azionaria. Inoltre continuiamo a suggerire una diversificazione su tre dimensioni: azionario, obbligazionario e materie prime”.
Anche per Clément Inbona, gestore di La Financiere de l’Echiquier, la crescita si piega ma non si spezza. “Il costante deterioramento registrato da inizio anno in relazione alle prospettive del quadro economico e monetario, ha provocato cali significativi nelle principali asset class, compresi i titoli di Stato considerati privi di rischio di default. Sebbene le prospettive rimangano fosche per i prossimi mesi, nel 2022 la crescita globale dovrebbe essere vicina al suo potenziale di lungo periodo”, sostiene.
Quali potrebbero allora essere i catalizzatori di una ripresa economica e borsistica, oltre alla risoluzione del conflitto ucraino? “La politica monetaria, considerata oggi molto restrittiva, rimane un fattore determinante per la valutazione degli asset finanziari – afferma quindi Inbona -. I mercati prevedono 11 rialzi dei tassi dello 0,25% quest’anno per la Fed e 4 per la Bce. Un’inversione di tendenza, o anche solo la speranza di un’inversione di tendenza, potrebbe provocare un rimbalzo del mercato azionario e dell’economia, con un allentamento delle condizioni finanziarie. Allo scopo, l’inflazione dovrebbe stabilizzarsi prima di iniziare a diminuire. Per l’inflazione statunitense, seppur elevata, potrebbe iniziare a profilarsi questa prospettiva”.
Infine, per l’esperto Lfde, con l’aumento del rischio di recessione, stimato al 30% negli Stati Uniti per il prossimo anno, rispetto al 15% di inizio anno, la pressione sui prezzi attraverso la domanda potrebbe diminuire e liberare margini di bilancio per le autorità pubbliche. Senza correre il rischio di alimentare una spirale inflazionistica. “Così, come ‘dopo la pioggia torna il sereno’, oggi ci si chiede ‘quando?’ La risposta non è ovvia ma può rivelarsi fruttuosa nel medio termine per un investitore accorto. In borsa, i migliori affari non si fanno quando l’orizzonte è sgombro da nubi ma, al contrario, quando il cielo è particolarmente carico”, conclude.
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