Eurozona, nuovi segnali di rallentamento: l’industria zavorra la ripresa
Pmi manifatturiero in calo oltre le attese a 44,6 punti. Male la Germania. Resistono i servizi. Ocse: crescita meglio del previsto nel primo trimestre. I gestori: serve cautela
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Ci siamo: la recessione è alle porte. Toccherà prima, entro fine anno, ad Eurozona e Regno Unito, e poi agli Stati Uniti, che dovrebbero subire una lieve contrazione della crescita a metà del 2023. La previsione arriva dagli analisti di Fitch, che nel loro Global Economic Outlook 2022 prevedono per l’Italia, tra i Paesi più esposti alla crisi del gas, un Pil in calo dello 0,7% il prossimo anno.
“La crisi del gas in Europa, l’inflazione elevata e una forte accelerazione dell’inasprimento della politica monetaria globale sta dando un pesante tributo alle prospettive economiche”, spiegano gli analisti, che tagliano quindi nettamente le previsioni globali. Per Fitch infatti il Pil mondiale crescerà del 2,4% nel 2022, con una revisione al ribasso di 0,5 punti percentuali rispetto alla stima precedente, e di appena l’1,7% nel 2023, un punto percentuale meno.
In Italia, in particolare, dopo il +6,6% del 2021, il Pil dovrebbe crescere del 3% quest’anno, per poi contrarsi dello 0,7% nel 2023 e risalire al 2,6% nel 2024. “lo slancio nell’economia sta rallentando – si legge -. Abbiamo abbassato le nostre aspettative di crescita per il 2022 e adesso prevediamo che l’economia si contrarrà nel 2023 a causa dello shock energia (-0,7%)”. Questo perché, come si diceva, il nostro Paese “è una delle economie Ue più dipendenti dal gas in termini di mix energetico, con una produzione di elettricità per il 50% proveniente dal gas contro una media europea del 20%”.
I calcoli di Fitch mostrano un aumento maggiore della spesa dal lato dell’economia sul gas come quota del Pil in Italia che in altre economie europee. Sull’ipotesi di un prezzo medio annuo del gas di 55 dollari nel 2023, la spesa per il gas dell’intera economia potrebbe aumentare a oltre il 5% del prodotto interno lordo nel 2023, fino a 2 punti percentuali in più rispetto alla Germania.
Inevitabilmente tutto ciò lascerà meno risorse e potrebbe rendere antieconomiche certe produzioni, costringendo a chiusure. “Il governo spenderà 33 miliardi di euro (1,9% del Pil) nel 2022, principalmente attraverso riduzioni di bollette luce e gas, crediti d’imposta per imprese, e riduzioni delle accise, per ammorbidire l’economia colpo alle famiglie”, sottolineano da Fitch.
A tranquillizzare sulla situazione del nostro Pese sono però in molti. Per Andrea Sironi, presidente di Generali, non esiste alcun rischio Italia, neppure in vista dell’appuntamento elettorale del 25 settembre. Secondo Sironi un aumento dello spread dopo il voto “non è un rischio” per il Paese, dal momento che qualunque sia l’esito delle urne, “l’Italia è ben inserita nel contesto europeo”.
“Esiste anche un meccanismo di protezione delle Bce”, sottolinea, ricordando che il Leone di Trieste è tra i principali investitori in titoli di Stato tricolori. “Siamo convinti di questo investimento che darà frutto nel futuro”, afferma infine Sironi, che però precisa: “La nostra esposizione ammonta a fine giugno a circa 52 miliardi di euro e non abbiamo intenzione di incrementarla”.
Tornando all’economia globale, Ken Orchard, portfolio manager fixed income division di T. Rowe Price, fa notare che la crescita ha rallentato molto più rapidamente di quanto sia tipico prima di una recessione, il che fa pensare che la contrazione arriverà presto. E sul fatto che possa essere poco profonda ha molti dubbi: “ Sebbene i bilanci delle famiglie e delle imprese siano in buona salute, il che significa che ci sono pochi squilibri nell’economia – precisa -, il numero di venti contrari che l’economia globale deve ancora affrontare mi sembra molto preoccupante. Sono previsti ulteriori rialzi dei tassi, la guerra in Ucraina continua, la politica cinese di zero-Covid è ancora in vigore e la crisi energetica non è stata risolta. Quindi, se da un lato ritengo che la prossima recessione possa essere di breve durata, dall’altro penso che possa essere più profonda del previsto”.
Alla luce di questo, per il portfolio manager il bear market obbligazionario è probabilmente finito per il momento. “Il mercato ha scontato il picco del tasso dei Fed fund a giugno e le aspettative di inflazione sembrano aver raggiunto il massimo per il momento – spiega -. È molto improbabile che la Fed sia costretta a rialzare i tassi in modo più aggressivo di quanto attualmente previsto, anzi, sospettiamo che possa sospendere gli aumenti dei tassi prima del previsto per verificare se i rialzi già effettuati abbiano l’impatto desiderato”.
“Per questi motivi, attualmente manteniamo nei nostri portafogli la posizione di duration più lunga di sempre – conclude Orchard -. Finora ci siamo concentrati soprattutto sulle posizioni long duration statunitensi, poiché gli Stati Uniti sono più avanti nel ciclo di rialzi rispetto all’Europa e quindi probabilmente finiranno prima. Abbiamo anche iniziato a scendere lungo la curva, dato che la parte lunga è diventata più ancorata in seguito ai rialzi delle banche centrali: dopo aver iniziato ad aggiungere duration al livello dei 10 anni, ora stiamo guardando ai Treasury a due anni”.
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