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Ad aprile confermata la sorpresa al rialzo dei prezzi. Pesano i servizi e gli aumenti salariali, che pongono all’Eurotower un nuovo dilemma. Ma per i gestori la crescita dell’Eurozona non è a rischio
Come preannunciato, ad aprile l’inflazione dell’Eurozona è tornata a salire. Secondo l’Ufficio statistico europeo, i prezzi al consumo hanno infatti segnato una crescita del 7% su base tendenziale, in linea con le attese degli analisti e in leggera accelerazione rispetto al 6,9% di marzo. Su base mensile sono aumentati dello 0,6%, poco sotto il consensus e meno dello 0,9% di marzo. Il dato core, quello depurato dalle componenti più volatili come cibo ed energia, ha invece messo a segno una crescita del 5,6% su base annua, in lieve calo dal precedente 5,7%, e dell’1% su marzo.
In particolare, sebbene la crescita dei prezzi di fondo, l’obiettivo principale delle politiche della Banca centrale europea, abbia un po’ rallentato, la componente cruciale dei servizi ha continuato a correre, evidenziando crescenti pressioni salariali che potrebbero far rimanere l’indice al di sopra dell’obiettivo di Francoforte del 2%. L’ennesimo dilemma, insomma, per il board l’Eurotower già spaccato tra la posizione dei falchi, che nei giorni scorsi sono tornati a ventilare ulteriori aumenti dopo l’estate, e quella delle colombe, che invece vede vicina la fine della stretta. L’ultimo, in ordine di tempo, a intervenire è stato il numero uno della banca centrale spagnola, Pablo Hernandez de Cos. “Ci stiamo avvicinando alla fine in termini di inasprimento monetario”, ha affermato, chiarendo come comunque la conclusione della stretta resti sempre “subordinata al fatto che l’inflazione della Zona euro torni all’obiettivo ufficiale del 2%”.
La view dei gestori
Per Richard Flax, chief investment officer di Moneyfarm, ora la preoccupazione principale di Christine Lagarde è che l’impennata iniziale dei prezzi si sia ormai radicata nell’economia e abbia portato a un aumento delle richieste salariali. “Uno scenario in cui si sono già trovati Paesi come il Regno Unito”, fa notare. Nonostante questo, per l’esperto le aspettative per l’economia europea rimangono relativamente positive: “La crescita del Pil è ora prevista all’1,1% nel 2023 e all’1,6% nel 2024, riviste al rialzo soprattutto grazie al calo dei prezzi. L’inflazione complessiva, pur avendo dimostrato di non essere temporanea, è considerata ancora gestibile e la disoccupazione rimane ai minimi storici, non suggerendo una recessione imminente”. Secondo Flax il punto critico rimarrà appunto l’inflazione core, che continua ad aumentare la pressione sulle famiglie, e contro la quale la Bce ha confermato la guerra in corso. I mercati, infatti, al momento prezzano ancora circa due rialzi prima della fine dell’anno.
Non teme per l’economia dell’Eurozona neppure Steven Bell, chief economist Emea di Columbia Threadneedle Investments, secondo cui il Vecchio Continente è in grado di resistere anche agli effetti di una probabile recessione Usa. “I dati economici continueranno a migliorare in Europa e nel Regno Unito nel corso del 2023. In entrambi i Paesi la fiducia dei consumatori sta migliorando, grazie al calo dei prezzi dell’energia, e questo potrebbe portare a un aumento della spesa. Probabilmente vedremo queste tendenze replicarsi anche nelle imprese”, spiega.
Quanto ai mercati, secondo Bell un’eventuale recessione negli Usa comporterà probabilmente un calo delle azioni a stelle e strisce, ma dato l’umore ribassista prevalente tra gli analisti e gli investitori qualsiasi ribasso dovrebbe rivelarsi modesto. “Tuttavia, è probabile che le azioni degli Stati Uniti sottoperformino rispetto a quelle dell’Europa e del Regno Unito”, sottolinea. Poi, l’esperto fa notare come i tassi d’interesse statunitensi dovrebbero scendere entro la fine dell’anno, anche se prima saliranno ulteriormente. “Ciò significa che il rimbalzo del dollaro della scorsa settimana dovrebbe rivelarsi temporaneo. Pertanto, dopo qualche oscillazione, le obbligazioni statunitensi dovrebbero recuperare”, conclude.
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