A un anno dal suo rapporto, l’ex premier avverte che non c’è più tempo. E che l’inazione dell’Unione minaccia la sua stessa sovranità. “Intesa su dazi in gran parte alle condizioni Usa. Cina ancora più forte”
Mario Draghi, ex presidente della BCE
Non c’è più tempo: l’Unione Europea sta perdendo la sfida della competitività e l’inoperosità ne mette a rischio la sovranità stessa. Per questo bisogna agire in fretta, seguendo un nuovo modello di crescita e ricorrendo al debito comune per finanziare gli enormi investimenti necessari. È questo, in estrema sintesi, il messaggio che Mario Draghi ha rivolto nel corso della conferenza organizzata dalla Commissione Europea per fare il punto a un anno dalla presentazione del suo report sulla competitività. I l bilancio degli ultimi 12 mesi è infatti tutt’altro che roseo: qualcosa è stato fatto ma, come ammesso dalla stessa presidente Ursula von der Leyen, “la missione non è compiuta”.
“La lentezza dell’UE mette a rischio la sua autonomia”
“A un anno di distanza, l’Europa si trova in una situazione più difficile. Il nostro modello di crescita sta svanendo. Le vulnerabilità stanno aumentando. E non esiste un percorso chiaro per finanziare gli investimenti di cui abbiamo bisogno”, ha incalzato Draghi. L’ex leader della BCE ha sottolineato come ci sia stato “dolorosamente ricordato che l’inazione minaccia non solo la nostra competitività, ma anche la nostra stessa sovranità”. Ma prendere atto di questo non basta, ha avvertito l’ex presidente del consiglio: occorre una svolta. “I cittadini e le aziende europee apprezzano la diagnosi, le priorità chiare e i piani d’azione. Ma esprimono anche una crescente frustrazione. Sono delusi dalla lentezza dell’UE. Ci vedono incapaci di tenere il passo con la velocità del cambiamento altrove”, ha infatti osservato. Per Draghi, i cittadini sono pronti ad agire, “ma temono che i governi non abbiano compreso la gravità del momento”. L’ex premier ha poi esortato l’Unione a non ignorare le proprie mancanze: “Troppo spesso si trovano scuse per questa lentezza. Questo è compiacimento”. Ora è necessario muoversi a una ‘nuova velocità’ per puntare a risultati “nel giro di mesi, non di anni”. D’altra parte i nostri concorrenti negli Stati Uniti e in Cina “sono molto meno vincolati, anche quando agiscono nel rispetto della legge”. “Continuare come al solito significa rassegnarsi a rimanere indietro”, è l’avvertimento.
“Debito comune per progetti comuni”
Insomma, il nuovo appello è di aumentare “la velocità dell’azione europea per la competitività, la sicurezza economica e l’indipendenza”. E se in alcuni ambiti l’UE può fare di più con i poteri che ha già, “ora deve dimostrare di sapersi adattare a un panorama tecnologico in rapida evoluzione”. In altri ambiti sono infatti necessarie riforme più profonde: delle competenze, del processo decisionale e del finanziamento. Per questo, ha rimarcato Draghi, è necessario “considerare un debito comune per progetti comuni, sia a livello UE sia tra una coalizione di Stati membri, così da amplificare i benefici del coordinamento”. “L’emissione congiunta non amplierebbe magicamente lo spazio fiscale. Ma permetterebbe all’Europa di finanziare progetti più grandi in settori che aumentano la produttività (innovazioni, tecnologie su larga scala, ricerca e sviluppo per la difesa o energia) dove la spesa nazionale non è più sufficiente”, ha aggiunto. Secondo l’ex premier italiano, il debito pubblico dell’Unione è destinato a crescere di 10 punti percentuali nel prossimo decennio, raggiungendo il 93% del Pil, con ipotesi di crescita più ottimistiche della realtà odierna.
“Intesa su dazi in gran parte alle condizioni USA”
Draghi ha poi toccato il tema delle imposte doganali, spiegando che gli Stati Uniti hanno applicato le tariffe “più elevate dall’era Smoot-Hawley”. Questo mentre la Cina è diventata un concorrente ancora più forte. “Abbiamo anche visto come la capacità di risposta dell’Europa sia limitata dalle sue connessioni, anche se il nostro peso economico è considerevole. La dipendenza dagli Stati Uniti per la difesa è stata citata come uno dei motivi per cui abbiamo dovuto accettare un accordo commerciale in gran parte alle condizioni americane”, ha fatto notare.
“Il circolo virtuoso green non si è verificato”
L’ex numero uno della Bce si è anche soffermato sugli obiettivi di decarbonizzazione del settore auto che, ha detto, si basano su presupposti ormai non più validi. “La scadenza del 2035 per le emissioni zero allo scarico era stata concepita per innescare un circolo virtuoso: propositi chiari avrebbero spinto gli investimenti nelle infrastrutture di ricarica, fatto crescere il mercato interno, stimolato l’innovazione e reso i modelli elettrici più economici. Si prevedeva che batterie e microchip si sviluppassero parallelamente. Ma ciò non è avvenuto”, ha chiarito. Scandendo che “la transizione deve essere flessibile e pragmatica”.
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