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Supererà i 1oomila miliardi di dollari. E nel 2030 arriverà al 100%. Necessario un aggiustamento del 3-4,5% del PIL all’anno. “Ritardare imporrà interventi più ampi”
Oltre centomila miliardi di dollari, pari al 93% del PIL globale. A tale soglia monstre arriverà quest’anno il debito pubblico mondiale. Lo sostiene il Fondo monetario internazionale, che lancia l’allarme nel suo Fiscal Monitor. Nonostante a livello percentuale non si registri un incremento rispetto al 2023, in termini di valore il debito sta infatti crescendo. E soprattutto non v’è traccia dell’auspicata inversione di tendenza: entro il 2030 è visto avvicinarsi al 100%, in aumento di dieci punti percentuali rispetto al 2019, prima che la pandemia portasse all’esplosione della spesa pubblica. Per questo la prescrizione che arriva da Washington è inappellabile: “Ricostruire le riserve di bilancio in modo favorevole alla crescita e contenere il debito è essenziale per garantire finanze pubbliche sostenibili e stabilità finanziaria”.
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Debito in ascesa
Nel report si sottolinea che, sebbene le proiezioni indichino una stabilizzazione o un declino del debito in circa due terzi dei Paesi, le cifre resteranno ben al di sopra dei livelli visti prima del Covid. Inoltre, secondo gli economisti del Fondo, ci sono buone ragioni per ritenere che i futuri livelli siano superiori a quanto stimato attualmente. Tra queste spicca il fatto che negli ultimi decenni il dibattito politico sui temi fiscali si sia sempre più orientato verso una maggiore spesa pubblica. In particolare, preoccupa il desiderio di spendere di più negli Stati Uniti e in Cina, le due maggiori economie del mondo. Per gli esperti, anche il sentiment di politica monetaria favorisce l’aumento della spesa, così come la crescita lenta amplifica il fabbisogno e il costo dei prestiti. A pesare ci sono la transizione green, l’invecchiamento della popolazione, le preoccupazioni sulla sicurezza e le sfide di sviluppo di lunga data che stanno aumentando. Inoltre, viene sottolineato, il rapporto debito/PIL che si materializza a tre anni è in media superiore a quello previsto di sei punti percentuali di prodotto interno lordo.
Agire subito o sarà troppo costoso
L’invito ai governi è quindi a intervenire subito. Nei Paesi in cui si prevede un ulteriore aumento del debito (come Brasile, Francia, Italia, Sud Africa, Regno Unito e Stati Uniti)”, mette in guardia l’FMI, “un ritardo renderà l’aggiustamento richiesto ancora più ampio”. Secondo l’istituto aspettare è dunque “rischioso”. “Le esperienze passate ci dimostrano che un debito elevato può innescare reazioni avverse del mercato e limitare lo spazio di manovra di fronte a shock negativi”, viene infatti sottolineato. E questo è il momento opportuno per correggere la tendenza: “Con le principali banche centrali che quest’anno hanno adottato un approccio meno restrittivo e le economie meglio posizionate per assorbire l’effetto economico di una stretta fiscale, per molti Paesi è giustificata una spinta decisiva verso la ricostruzione dei buffer fiscali”.
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Tagliare il giusto
Il Fondo offre quindi la sua ricetta per rimediare, che include un rafforzamento delle governance di bilancio ma anche un aumento della credibilità e soprattutto una giusta regolazione della velocità e dell’ammontare dell’intervento. Per vedere una concreta riduzione del debito pubblico sarebbe necessario un aggiustamento del 3%-4,5% del PIL ogni anno entro la fine del decennio rispetto all’1% previsto finora. Un intervento “superiore a quello attualmente previsto e quasi il doppio di quelli passati”, si legge, “soprattutto in quei Paesi in cui non si prevede che il debito si stabilizzerà“. Di contro, una riduzione troppo elevata della spesa pubblica potrebbe avere impatti negativi sulla crescita. L’aggiustamento fiscale indicato dal Fondo rappresenta circa il 20% delle entrate totali negli Stati in via di sviluppo a basso reddito e circa il 13% nelle altre economie. Un intervento graduale ma duraturo “può trovare un equilibrio tra i rischi per la sostenibilità del debito e la forza della domanda privata, limitando l’effetto a breve termine dell’aggiustamento sulla produzione e sulla disuguaglianza”. Le modalità di intervento variano ovviamente a seconda del Paese. Gli economisti di Washington suggeriscono quindi alle economie avanzate, come l’Italia, di adeguare le priorità di spesa nell’ambito di un taglio complessivo, prestando particolare attenzione a riforme dei sussidi che riguardino una quota, ampia e rigida, del bilancio.
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