I fund selector tornano a puntare sul reddito fisso
Survey PGIM: il 37% aumenterà le allocazioni in bond pubblici, il 22% nel credito privato. Più cautela sull’azionario, mentre sale la domanda di liquidità e di soluzioni alternative
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Ha appena superato i 10 miliardi di asset gestiti in Italia e non sembra voler rinunciare alla sua filosofia di efficientamento degli investimenti. Proprio la logica della minimizzazione dei costi continuerà anzi a costituire la principale leva d’azione per Vanguard, decisa a rafforzare la presenza nel nostro Paese nonostante un framework distributivo che definisce “ancora poco orientato all’economicità”. Ad affermarlo è stato direttamente il responsabile della casa di gestione per la Penisola, Simone Rosti, secondo cui i tempi sono maturi per una consulenza fee-based. Il country head ha infatti presentato uno studio a cura della società in cui si evidenziano i potenziali effetti di un sistema senza commissioni sul mercato tricolore.
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La survey, svolta alla fine del 2022 su un campione di oltre mille consulenti finanziari tra Regno Unito, Germania e Italia, è realizzata per “confrontare le caratteristiche dell’advisory in tre grandi mercati europei”. E il primo dato ad emergere è stata una chiara conseguenza della Retail Distribution Review introdotta nel 2013 proprio in UK: se la struttura predominante dell’industria britannica è infatti quella fee-based, applicata dal 60% degli intervistati, solo l’11% dei professionisti tedeschi e il 13% di quelli italiani dice di preferire la consulenza a parcella. Risultato che, asserisce il country head, si riflette sulle dinamiche di distribuzione: “Mentre l’industria d’Oltre Manica alloca il 70% degli AuM in fondi comuni ed Etf, sul Continente gli stessi prodotti raccolgono una quota di masse di poco superiore al 50% e le polizze assicurative arrivano al 21% del patrimonio nel nostro Paese”.
“Tutti gli intervistati in Germania, Italia e Regno Unito hanno indicato la consulenza sugli investimenti come la dimensione principale del loro servizio ai clienti”, spiega Rosti. “I dati della nostra indagine mostrano però che gli advisor UK sono molto più concentrati sulla consulenza previdenziale, con il 75% che la definisce ‘funzione chiave’ contro il 15% e il 17% degli altri due Paesi”.
Lo studio commissionato da Vanguard non ha mancato di concentrarsi sui costi dei prodotti, nella misura in cui essi possano rappresentare un riflesso delle due architetture. E il risultato, secondo Rosti, è stato piuttosto sorprendente. “La Germania si rivela il mercato più caro su base media ponderata mentre, se parliamo di mediana, è l’Italia a conquistare il primato”, ha spiegato il top manager. “In tutte le industrie, i principali blocchi di costi riguardano le spese correnti (commissioni di gestione dei fondi e commissioni di vendita) e i costi di negoziazione/transazione”, affermano inoltre da Vanguard.
Adottando come riferimento campioni di oltre 350 consulenti per ciascun gruppo nei tre Stati, un secondo sondaggio della casa di gestione ha mostrato che il costo totale degli investimenti è inferiore con il modello fee-based. “Le commissioni si associano a un valore medio annuo di 225 base contro quasi la metà riscontrabile in loro assenza”, ha commento Rosti. Un esito simile a quello del quesito, posto a 3mila risparmiatori, su quante spese sostengano per i loro portafogli: gli inglesi hanno infatti risposto 178 punti base quando invece ne scontano 164, i tedeschi 161 contro 235 reali e gli italiani 160 a fronte di effettivi 191.
Rosti ha concluso sostenendo che, con queste premesse e considerando i possibili sviluppi normativi, ci sono i presupposti perché il modello senza commissioni possa attecchire anche in Italia. “Meno del 10% dei consulenti tricolore interpellati di dice disposto ad abbandonare il mercato se passasse a questo schema”, ha detto.
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“Abbiamo siglato nove accordi di collaborazione con reti di consulenza e banche private nell’ottica di dare al cliente degli intermediari un prodotto assicurativo o gestionale ben gestito ma senza che la banca debba rinunciare alla propria redditività”, ha dichiarato Rosti. Che ha spiegato come i piani della società prevedano di lavorare su molteplici fronti: “L’anno scorso non solo abbiamo raccolto oltre metà del mercato totale degli Exchange trade funds in Italia ma abbiamo anche consolidato il percorso di offerta dei fondi indicizzati, qualcosa di nuovo per la Penisola”. Così come innovativa, ci ha tenuto a sottolineare il manager, è stata anche la scelta di rendere disponibile al pubblico retail un Exchange trade fund multiasset.
Oltre a queste direttrici, il futuro delineato da Rosti seguirà però anche altri due driver: quello dei Etf attivi e quello dei piani di risparmio in Etf tramite piattaforma. I primi, ha detto il manager, rappresentano un trend destinato a imporsi come già sta accadendo negli Usa” mentre i secondi sono arrivati a valere già 200 miliardi di euro in Germania. “Succederà anche in Italia ma pensiamo che gli intermediari debbano riflettere su come sfruttare il trend a livello di consulenza”.
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