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Deloitte: il regime fiscale tricolore attrae super ricchi da tutta Europa. E l’industria dovrà presto affrontare un enorme passaggio generazionale, mentre cambiano i canali distributivi e le preferenze di investimento. Quattro le sfide cruciali
L’Italia continua ad essere una meta decisamente attraente per i super ricchi europei. I numeri parlano chiaro: dal 2013 la ricchezza finanziaria privata è cresciuta senza sosta, nonostante pandemia e crisi finanziaria, e l’ha fatto in maniera sempre più polarizzata, spinta cioè dalla clientela Private&Up, quella con un patrimonio superiore ai 500mila euro. E il trend è destinato a durare, dal momento che il nostro Paese continua ad essere considerato una meta fiscalmente benevola per i Res Non Dom, gli individui ad elevata patrimonializzazione che potrebbero scegliere di trasferirvi la loro residenza. È quanto emerge da un’analisi di Monitor Deloitte, condotta in collaborazione con Thoughtlab, che ha comparato il mercato italiano del wealth management con quello delle principali economie internazionali.
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Un regime fiscale che piace ai Paperoni portoghesi e britannici
Stando allo studio, nonostante il recente innalzamento della tassa da centomila a duecentomila euro, l’Italia resta molto conveniente, soprattutto dopo le recenti revisioni attuate da Portogallo (circa 75mila aderenti) e Regno Unito (circa 70mila), che hanno drasticamente ridimensionato i benefici concessi ai Paperoni. Secondo un benchmark condotto a livello europeo, il regime tricolore, che oggi conta circa tremila aderenti, risulta essere uno dei più attrattivi in Europa grazie all’estesa durata dei benefici: 15 anni contro i 13 della media europea.
Wealth management italiano, crescono ricchezza e polarizzazione
Nell’ultimo decennio, la ricchezza degli italiani ha registrato quindi un trend di crescita a doppia cifra, segnata da una polarizzazione sui segmenti ad alto valore. “Se nel 2013 la quota di ricchezza finanziaria investibile in mano a clienti private, wealth e Hnwi ammontava al 34% del totale, nel 2023 la quota ha sfiorato il 40% dei 3,6 trilioni di euro investibili, con una crescita media annua del 3% negli ultimi dieci anni”, spiega Luigi Capitanio, senior partner, North & South Europe strategy consulting leader di Deloitte Italia.
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Il trasferimento alle nuove generazioni
L’analisi sottolinea come tale ricchezza sia soprattutto nelle mani di clienti con un’età media generalmente superiore ai 65-70 anni. Ne deriva che, per gli operatori del wealth management, il tema del passaggio intergenerazionale di patrimoni sia ormai diventato un fattore chiave, soprattutto in chiave prospettica. Secondo Deloitte, le previsioni per il prossimo decennio stimano un aumento di ricchezza del 13% per gli under 25, e del 24% per gli individui con età compresa tra 25 e 40 anni. Tra i clienti della fascia Private&Up, lo studio ha rilevato che oltre la metà ha un’età superiore ai 65 anni, con quasi un terzo di over 74. I trasferimenti di ricchezza sono infatti passati dai 195 miliardi di euro del 2013 a circa 280 miliardi del 2023, con una crescita media annua del 6%. “Si prospetta una crescente focalizzazione degli operatori della gestione patrimoniale verso i segmenti Private&Up e, soprattutto, verso clienti sempre più giovani, sotto i 40 anni”, evidenzia Capitanio.
Più consulenti finanziari, meno banche
Ma i cambiamenti non stanno avvenendo solo sul fronte della clientela. Anche i canali distributivi stanno infatti evolvendosi per soddisfare le sempre più sofisticate esigenze di prodotti e servizi tailor-made. Il mercato del wealth management sta assistendo ad una progressiva riduzione della quota di mercato servita da player bancari tradizionali, passata dal 70% del 2013 a circa il 60% attuale, a favore di una crescita significativa delle reti di consulenti finanziari, i quali ad oggi rappresentano oltre il 20% del mercato. Un’inversione di tendenza, sottolinea il report, che testimonia l’importanza di fornire un’offerta altamente customizzata e specialistica, con un maggior livello di vicinanza e prossimità territoriale. E per i prossimi anni si prevede una crescita costante dei canali digitali di contatto tra clienti e operatori, preferiti rispetto alle filiali fisiche e agli sportelli (-40% rispetto al 2013). Non a caso, lo studio di Deloitte prospetta un incremento del capitale investito verso tool di collaborazione digitale e open platform. La principale categoria di investimento rimarrà l’Artificial Intelligence, con l’obiettivo di efficientare ulteriormente i processi operativi interni, supportare le attività di monitoraggio e migliorare la predisposizione della reportistica interna e la valutazione dei KPI da parte delle banche.
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La crescita dei fondi ESG
Inevitabilmente, l’evoluzione della clientela e dei canali farà nascere nuove esigenze di mercato in termini di value proposition. Se finora il mercato italiano si è dimostrato più propenso verso forme di impiego della liquidità a breve termine e sicure, come conti deposito e gestioni separate, le prospettive future evidenziano che sono i prodotti innovativi e customizzati quelli destinati ad avere successo da ora in avani. Aumenta, infatti, la consapevolezza degli investitori verso tematiche ESG: il numero di fondi sostenibili è passato dai 1.700 del 2021 agli oltre 2.500 del 2023, con i volumi in termini di asset gestiti pari al +13% dal 2013. E per il futuro si prevede un consolidamento di questo trend.
Quattro sfide per i prossimi dieci anni
Insomma, le sfide per il settore del wealth management italiano non mancano, e lo studio Deloitte ne ha individuate quattro, da affrontare nel prossimo decennio. La prima consiste nell’individuazione di un modello di servizio e coverage capace di gestire il passaggio generazionale. Segue quella che prevede la definizione del ruolo della banca nell’ambito della value chain, valutando possibili integrazioni con fabbriche prodotto e/o business e segmenti ancillari. Terza difficoltà consisterà nell’identificare delle modalità di adozione e dei programmi d’implementazione delle nuove tecnologie. Infine, dirimente sarà anche la scelta del corretto dimensionamento e coverage geografico (nazionale vs. internazionale). “Affrontare con successo queste sfide sarà cruciale per i player del wealth management che vogliono crescere e consolidare la propria posizione in un mercato in rapida evoluzione”, conclude Capitanio.
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