GSS bond, il 2024 chiude a quota mille miliardi. E il 2025 promette il bis
Si conferma il dominio delle obbligazioni green e degli emittenti europei. Ma sul nuovo anno pesano diverse incognite. Le analisi di S&P e MainStreet Partners
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Tra le varie aree dei Paesi emergenti questo è il momento dell’Asia. Non a caso Nomura ha intitolato la sua Global Markets Research, rilasciata lo scorso 5 giugno, “Asia’s time to shine”: per l’Asia è tempo di splendere. Sono diverse le variabili che, secondo gli esperti, aiutano l’interesse degli investitori.
“La prospettiva di una crescita globale contenuta e l’imminente fine dei rialzi dei tassi di policy spingeranno probabilmente gli operatori a cercare nuove opportunità” si legge nel report, e queste opportunità potrebbero arrivare proprio dall’area Asia-Pacifico.
A guidare la crescita del continente asiatico è la spesa importante in infrastrutture pubbliche e nella digitalizzazione. La Cina, nonostante le sfide, si legge nel report, domina l’area con la sua produzione di energia rinnovabile, veicoli a nuova energia (EV) e batterie al litio. L’Indonesia ha compiuto il downstreaming (raffinazione e deposito) per i minerali metallici, Taiwan continua a crescere sul fronte tecnologico. “Non mancano i rischi, come la frammentazione geopolitica, il cambiamento climatico e la stabilità politica”, fanno sapere da Nomura.
Sulla crescita dell’area Asia-Pacifico gli esperti sono concordi ma resta ancora scivolosa la questione della sostenibilità, specialmente in relazione agli obiettivi che l’investitore si vuole porre nella costruzione del proprio portafoglio green. Cioè: per investire in modo sostenibile bisogna investire solamente in aziende e Paesi già allineati agli standard di sostenibilità? Quanto è importante puntare sulle possibilità di allineamento sostenibile di una società o di uno Stato a lungo termine, sia in ottica di allargamento del processo di transizione, sia come ricerca di nuove opportunità?
Secondo gli studi interattivi del World Resource Institute, convogliati nella piattaforma ClimateWatchData, le prime dieci nazioni a marzo 2023 per carbon footprint sono: Cina (12.705,1 MtC02e), Stati Uniti (6001,2 MtC02e), India (3394,9 MtC02e), Europa, compresi tutti e 27 gli Stati membri (3383,4 MtCO2e), Russia (2476,8 MtCO2e), Giappone (1166,5 MtCO2e), Brasile (1057,3 MtCO2e), Indonesia (1002,3 MtCO2e), Iran (893,7 MtCO2e) e Canada (736,9 MtCO2e). A seguire Arabia Saudita e Sud Corea, rispettivamente con 723,1 MtCO2e e 698,2 MtCO2e.
Nella top ten dei Paesi inquinanti, quindi, la metà appartiene al continente asiatico. Diventano sette, se si contano Sud Corea e Arabia all’undicesimo e al dodicesimo posto. L’Asia è al momento la parte di pianeta con la carbon footprint maggiore. A livello di comparto, da quando è iniziata la rendicontazione nel 1990, nella zona “il settore energetico, compresa la generazione di elettricità e calore, è rimasto il maggior contributore alle emissioni di gas serra” fa sapere l’analisi di Wri.
L’area però, secondo il report di Nomura, sarà soggetta a un’importante crescita economica trainata soprattutto da investimenti in ambito di transizione e infrastrutture energetiche. Di conseguenza, affermano gli esperti della società, “ci aspettiamo che …
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