Secondo Deloitte-Aifi, i primi sei mesi si sono chiusi con operazioni in lieve calo a 217. Ma il 90% degli operatori vede rosa per il resto dell’anno. ESG e AI i temi chiave. E fra i settori vince il manifatturiero
Nonostante le incertezze geopolitiche, il sentiment per il secondo semestre degli operatori italiani di private equity e venture capital è di chiaro ottimismo. Dopo aver archiviato i primi sei mesi dell’anno con 217 operazioni e circa 8 miliardi di valore complessivo, le politiche monetarie destano infatti minore preoccupazione e permettono di focalizzarsi su investimenti e strategie di crescita per le società in portafoglio. È quanto emerge dalla 44esima Private Equity Survey di Deloitte Private, realizzato con il supporto di Aifi, secondo cui i deal di gennaio-giugno sono in leggero calo dai 239 del periodo precedente ma restano comunque a livelli soddisfacenti e in linea con il contesto post-Covid.
A certificare il fatto che per gli addetti vedano rosa per il futuro è il Deloitte PE Confidence Index, costruito a partire da un’analisi dei dati storici sul sentiment degli intervistati, che continua a crescere e ha raggiunto il valore più alto dal 2022: si è infatti attestato a quota 112 punti, cui corrisponde un numero di deal atteso pari a 210. Merito di un sempre più concreto ottimismo, che vede oltre nove operatori su dieci attendersi un miglioramento o una stabilizzazione del panorama economico italiano nei prossimi sei mesi contro circa il 70% della passata edizione.
I principali trend di investimento: ESG, AI e Pnrr
Quanto ai trend, spicca poi una sempre crescente attenzione nei confronti di strategie ESG, l’adozione dell’intelligenza artificiale e il ricorso a iniziative Next Generation EU e Pnrr. Inoltre, emerge il consolidamento dei fondi di private credit come importante fonte di finanziamento alternativa. Questi strumenti stanno infatti acquisendo un ruolo sempre più centrale nel mercato italiano, rappresentando non solo una forma di acquisition financing rapida e flessibile per gli investitori ma anche un partner strategico per le imprese.
Per quanto riguarda in particolare le politiche di sostenibilità, oltre il95% degli operatori adotta attivamente pratiche a supporto sia durante la fase d’investimento che nel corso della gestione. Il 23,7% dichiara infatti di implementare pratiche di controllo degli standard minimi ambientali sociali e di governancedurante la fase di due diligence, il 22,4% si dedica all’implementazione di politiche ESG nelle società in portafoglio mentre il 19,9% valuta le opportunità di creazione di valore in questi ambiti durante la due diligence. La restante parte dei rispondenti preferisce invece altre pratiche, come favorire l’ESG business value creation nelle società acquisite e valutare opportunità di investimento limitatamente ai settori/industrie ESG-friendly.
Per l’AI, quasi il 70% conferma di considerare l’adozione di questa tecnologia da parte di potenziali target durante il processo di selezione, con il 21,1% che dichiara di valutarla come fattore principale o al pari di altri quali il business model e la qualità del management. Una quota pari al 45,5% ne tiene attivamente conto ma in maniera secondaria rispetto ai criteri di investimento più tradizionali. Infine, le iniziative Next Generation EU e Pnrr vengono pianificate dal 42,1% degli operatori per una porzione compresa tra l’1% e il 25% delle partecipate nei prossimi sei mesi; l’8,8% prevede di utilizzarle nel 26%-50% delle società mentre il 5,3% intende sfruttare i fondi in una porzione superiore al 51%. Il 43,9% non ha in programma invece di utilizzare le risorse nelle proprie aziende, in linea con i dati della passata edizione della survey.
A livello di settori, il manifatturiero attira il 23,7% delle preferenze (+2,4%) e risulta così il più interessante. Seguono food &beverage e consumer goods, entrambi con l’11,8% delle risposte, sebbene in diminuzione rispetto alle preferenze registrate durante la passata edizione (-2,5% e -0,7%). Subito fuori dal podio ICT, sostanzialmente stabile all’11,2% ci sono health care and social services (da 12,5% a 9,2%) e il farmaceutico al (dal 6,3% al 7,9%). Per quanto riguarda le aree geografiche delle operazioni portate a termine negli ultimi sei mesi, il Nord si conferma l’opzione più scelta: pari all’87,7% le preferenze espresse in questo senso, con 49,1% per il Nord Ovest ed il 38,6% per il Nord Est. In aumento però i deal nel Centro Italia, con l’8,8% delle risposte (+3,6%) mentre il Meridione non desta alcun interesse. Infine, risultano in calo le operazioni all’estero (3,5%).
Le principali caratteristiche di investimento
Il report mostra poi come gli investitori siano decisamente più interessati alle operazioni di LBO/Replacement nei prossimi sei mesi, che costituiscono il 52,6% delle preferenze (+9,5%), con una redditività attesa più alta. L’appeal delle iniziative di Expansion Capitalcresce leggermente al 26,3% (+3,9%) mentre diminuisce l’attenzione verso le operazioni di supporto a MBO/MBI (15,8%, -8,3%) e Start-up Financing (1,8%, -3,4%). Si osserva poi anche un cambiamento nelle preferenze verso i fornitori di capitale di debito. Nell’ultimo semestre, la quota di chi ha utilizzato banche commerciali per l’acquisition financing è diminuita al 73,7% (-7,4%). La percentuale di chi è ricorso a fondi di private credit si è invece attestata al 10,5%, con una previsione di aumento al 15,8% per il prossimo semestre, indicando un ruolo crescente di questi lender. Per quanto riguarda il valore delle operazioni, si riscontra una tendenza verso deal di maggiore entità. Gli investimenti con valore superiore ai 51 milioni di euro sono ora preferiti dal 31,5% degli operatori, in aumento del 5,7% rispetto al periodo precedente. Al contrario, quelli compresi tra 16 e 50 milioni sono in diminuzione al 43,9% (-2,7%) e quelli sotto i 15 milioni scendono al 24,6% (-3%).
Per Claudio Scardovi, private equity leader di Deloitte, il forte interesse nei confronti delle operazioni di LBO/Replacement indica non solo una minore sensibilità all’aumento del costo del debito ma anche una notevole fiducia nelle aziende italiane e nella loro capacità di generare significativi ritorni. “L’evoluzione e la maturità del settore in nel nostro Paese sono ulteriormente sottolineate dall’aumento dell’interesse verso i fondi di private credit”, precisando come essi assumano un ruolo sempre più strategico negli investimenti perchè capaci di offrire rapidità e competenza agli operatori alla ricerca di fonti d’acquisition financing in un contesto altamente competitivo e ricco di potenzialità.
Strategie di disinvestimento e rendimenti attesi
In linea con le prospettive di un aumento o stabilizzazione del numero d’investimenti (il 47,4% degli operatori stima un aumento di deal, il 42,1% non si aspetta variazioni e il 10,5% vede un calo), anche le previsioni di disinvestimento per i prossimi sei mesi indicano più attività rispetto al semestre passato. Il 43,9% scommette infatti su una crescita (+23,2%) mentre il 47,4% prevede che rimarranno stabili (-11,2%) e l’8,8% si aspetta una contrazione (-11,9%). A supporto di questo, le stime sul valore dei portafogli sono ottimistiche: il 59,6% si attende un aumento dei valori (+14,8%) mentre il 40,4% prospetta valori invariati (-9,6%). Infine, per le strategie di Way-Out principali non si osservano cambiamenti sostanziali rispetto al semestre passato. Il Trade Sale è l’opzione preferita dal 59,6% (+2,7%) mentre si riscontra un leggero calo nell’interesse per Secondary Buy Out (19,3%, -1,4%) e MBO/Buy Back (12,3%, -1,5%). Le preferenze per Write-off (7,0%) e Ipo (1,8%) rimangono su livelli poco significativi e pressoché invariate.
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