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Il rapporto sulla governance: aumenta la concentrazione proprietaria, controllo soprattutto a famiglie e Stato. In calo gli investitori istituzionali. Assonime: in 10 anni Borsa depauperata di 100 miliardi
Più donne al vertice ma ancora poche quelle davvero al comando. Meno investitori stranieri e istituzionali e una forte concentrazione proprietaria, spesso di tipo familiare. Ancora insufficiente l’incorporazione del temi Esg. È questa la fotografia che emerge dal rapporto annuale Consob sulla corporate governance delle quotate a Piazza Affari. Un mercato, secondo l’indagine di Assonime presentata contestualmente, che in un decennio ha subito un ‘depauperamento’ di 100 miliardi tra delisting e trasferimenti all’estero.
Pochi i vertici in rosa
Continuano ad aumentare le donne nei cda delle società italiane, che raggiungono un nuovo record alla fine del 2022. Ma sono ancora poche quelle ai vertici, nel 2% dei casi amministratrice delegata e nel 4% presidente. Il rapporto Consob segnala “la crescente diversità di genere, che a fine 2022 vede attestarsi al 43% la percentuale degli incarichi di ceo delle società quotate esercitata da una donna, per effetto dell’applicazione della quota di genere dei due quinti dell’organo prevista dalla legge”. A fine 2022, le donne ricoprono il ruolo di ad in 17 società di piccole dimensioni (rappresentative del 2,1% della capitalizzazione di mercato) e presiedono l’organo amministrativo di 32 emittenti di più elevate dimensioni (rappresentativi del 27,4% della capitalizzazione complessiva).
In generale gli amministratori hanno un’età media di 57 anni e sono raramente stranieri, in media il 5,6% del board, che sale all’11% per le imprese del Ftse Mib e al 26% per le società controllate da istituzioni finanziarie. Gli amministratori family rappresentano invece il 15,5% degli incarichi, che raggiunge quota 26% nelle società a controllo familiare.
Aumenta la concentrazione proprietaria
Quanto alla struttura azionaria, aumenta la concentrazione proprietaria delle società di Piazza Affari e si rafforza la presenza dello Stato, mentre cala quella degli investitori istituzionali. La quota del primo azionista risulta infatti in lieve aumento, raggiungendo in media il 49% dal 47,6% nel 2020, circa tre punti percentuali in più rispetto al 2011. La quota detenuta dal mercato è pari al 39% del capitale, contro il 40% del 2020. In linea con gli anni precedenti, le famiglie continuano ad essere i principali soci di riferimento, controllando il 63,4% delle imprese, in prevalenza quelle di minori dimensioni e operanti nel settore industriale. Lo Stato e gli altri enti locali, invece, rappresentano il primo azionista nell’11,6% delle società, in prevalenza di maggiori dimensioni e appartenenti al settore dei servizi.
Investitori esteri ai minimi dal 2013
La presenza di investitori esteri nelle quotate di Piazza Affari nel 2021 ha registrato i valori più bassi dal 2013, quanto a numero di società partecipate, e dal 2014, quanto a partecipazioni rilevanti. Non solo. Nell’ambito dell’azionariato rilevante, diminuiscono anche gli istituzionali, presenti in 55 società, rispettivamente dieci e 20 in meno rispetto al 2020 e al 2021, con il maggior calo per i soggetti esteri.
Savona: “Insufficiente l’incorporazione del tema Esg”
Per quanto riguarda la sostenibilità, almeno un socio è intervenuto sui temi Esg nelle assemblee annuali di approvazione dei bilanci tenutesi negli anni 2018 e 2019 in più di 80 quotate. Tali interventi hanno riguardato in prevalenza il profilo sociale e sono stati più numerosi nelle realtà a maggiore capitalizzazione, operanti nei settori energia e utilities, o in quelle che redigono la dichiarazione non finanziaria. Duro il commento del presidente Consob, Paolo Savona, secondo cui nelle società c’è troppa attenzione alla governance tradizionale mentre il tema della sostenibilità Esg “è stato incorporato quasi su base volontaria, ma in modo insufficiente”.
Assonime: in 10 anni la Borsa depauperata di 100 miliardi
Un altro dato importante è arrivato dal rapporto che Assonime, l’associazione per le spa italiane, ha presentato all’Autorità. Secondo lo studio, il mercato tricolore ha perso in dieci anni 100 miliardi di valore. “Se consideriamo l’intero periodo 2013-2022, il saldo tra Ipo e delisting è negativo per circa 45 miliardi e il valore delle aziende che hanno trasferito all’estero la loro sede sociale raggiunge i 50 miliardi. Con un deflusso complessivo della dimensione italiana della Borsa pari a circa 100 miliardi”, ha spiegato il vice direttore generale Marcello Bianchi.
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