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A novembre i prezzi sono saliti del 7,1%, meno delle attese. È l’aumento minore dalla fine del 2021. E ora i mercati prevedono un aumento dei tassi di 100 pb fra dicembre e marzo
E due. Dopo la frenata di ottobre, anche a novembre l’inflazione americana segna un deciso rallentamento. I prezzi sono infatti saliti ‘solo’ del 7,1%, rispetto al +7,7% del mese precedente e al +8,2% di settembre. Un dato migliore delle attese degli analisti, che scommettevano su +7,3%, e che rappresenta il minore aumento dalla fine del 2021.
Su base mensile i prezzi sono saliti dello 0,1% contro il +0,2% previsto dal mercato, mentre l’indice core, quello al netto di energia e alimentari, ha segnato un incremento dello 0,2% su ottobre, contro il +0,3% atteso, e del 6% sullo stesso periodo dell’anno scorso, contro il +6,1% stimato.
Scontata la razione dei mercati che, nel giorno di inizio del meeting della Fed, ritengono sempre più probabile un ammorbidimento della stretta monetaria. I future di Wall Street si sono immediatamente impennati e gli indici europei hanno migliorato la performance. L’euro è invece salito ai massimi da sei mesi sul dollaro e si sono registrati forti acquisti su tutti i titoli di Stato dell’Eurozona, mentre il rendimento del T-bond decennale è sceso sotto il 3,5%.
Mercoledì sera, sono ormai concordi gli investitori, Powell dovrebbe annunciare un aumento dei tassi di 50 punti base, non più di 75 come nelle ultime quattro riunioni. Un’inflazione in frenata allenta infatti la pressione sulla banca centrale che, anche se dovrà continuare ad aumentare il costo del denaro, potrà farlo a una velocità ridotta. Gli analisti prevedono ora che il Fomc alzerà i tassi di 100 punti base fra dicembre e marzo, meno dei 110 punti attesi prima del dato di novembre sull’inflazione.
“Questa settimana ci si attende un aumento dei tassi di 50 punti base. E dato il percorso annunciato della Fed verso un tasso del 5%, è improbabile che si verifichino grandi sorprese in occasioni delle prime riunioni del 2023, soprattutto considerando lo spostamento del focus di Powell dall’inflazione spot all’obiettivo più a lungo termine di un’inflazione al 2%”, afferma Kevin Thozet, membro dell’Investment Committee di Carmignac, secondo cui, per ora, la politica monetaria è stata quindi in qualche modo ridimensionata per la prima parte del 2023. “Ci sono voluti sette mesi per passare dallo 0,5% al 4%; ce ne vorranno tre per portare i tassi al 5%”, afferma.
La domanda clou per gli investitori è dunque se e quando la Fed cambierà rotta, soprattutto alla luce del tono sempre più dovish di Powell. Per Thozet ci sono tre potenziali scenari: “La materializzazione di un hard landing per l’economia statunitense, che porterebbe a una rapida svolta verso l’allentamento. Un soft landing, che posticiperebbe i tagli dei tassi d’interesse rispetto alle attese di molti. E u n’inflazione persistente, che significherà invece che i tassi rimarranno più a lungo al livello terminale prima di spostarsi ulteriormente in territorio restrittivo”.
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