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Gli Institutional Investor Indicators di State Street confermano il sovrappeso sulle azioni. Usa e Canada preferiti, addio Europa. Continua la fuga dal dollaro a favore delle valute ‘carry’
Caos geopolitico, incertezza economica, preoccupazioni per le valutazioni di molti asset. La complessità che contraddistingue l’attuale fase dei mercati finanziaria non sembra intaccare l’ottimismo degli investitori istituzionali, che continuano decisi ad abbracciare il rischio guardando soprattutto alla Federal Reserve. Lo conferma lo State Street Risk Appetite Index di settembre, che non solo è risultato positivo per il quinto mese consecutivo ma ha anche eguagliato il picco raggiunto lo scorso luglio. Le allocazioni parlano chiaro: il mix azioni-obbligazioni-liquidità è rimasto sostanzialmente invariato, a conferma del fatto che l’irrigidimento delle curve dei rendimenti globali non ha alimentato la tentazione di tornare sugli asset a maggiore duration. Secondo gli indicatori State Street Holdings, l’esposizione al reddito fisso rimane infatti sensibilmente inferiore alle medie di lungo periodo mentre gli USA si confermano la meta prediletta nell’equity nonostante una fuga dal dollaro che continua inarrestabile a favore delle valute ‘carry’.
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Sovrappesati sul rischio (e contenti)
“I mercati azionari continuano a toccare nuovi massimi storici praticamente ogni giorno mentre gli indici di volatilità restano contenuti”, fa notare l’head macro strategy in America della società, Lee Ferridge. Un clima positivo che, spiega, “è stato chiaramente alimentato dalla decisione della Fed di abbassare i tassi e dalla segnalazione di voler procedere con altri due tagli entro la fine del 2025”. In altri termini: gli investitori sono sovrappesati sul rischio e, per ora, sembrano contenti di rimanerci. “La lettura del sentiment derivata dal nostro Behavioral Risk Scorecard multi-asset mostra una media mobile a tre mesi ai livelli più positivi dal gennaio 2021”, evidenzia Ferridge, secondo cui almeno per ora gli istituzionali sembrano “felici di cavalcare l’onda positiva dei prezzi”.
Via dal dollaro: ritorno al carry trade
Andando più in profondità, nel mercato FX le vendite di dollari statunitensi continuano nonostante le posizioni mostrino il sottopeso più marcato da inizio 2021. In termini relativi, l’underweight sul biglietto verde è nettamente il più significativo tra tutte le principali valute. Tuttavia, diversamente da agosto, il messaggio pro-rischio proveniente dal mercato valutario non si limita alla divisa USA ma mostra un movimento deciso verso le valute ‘carry’. “Poiché le posizioni su questi asset ad alto rendimento restano ancora sottopeso, sottolinea Ferridge, “è probabile che il trend possa proseguire”. Si registrano però anche acquisti di monete legate alle materie prime, come il dollaro canadese e quello australiano, mentre i flussi verso l’euro e lo yen si sono indeboliti. Resta solida, infine, la domanda per il franco svizzero.
Azionario: Canada e USA in testa, perde appeal l’Europa
Nel comparto azionario, il Nord America resta la regione nettamente favorita: ulteriori acquisti di titoli a stelle e strisce si aggiungono infatti alla posizione già sovrappesata. Il mese scorso si è però osservato un rafforzamento ancora maggiore sugli acquisti di azioni canadesi, portando il sovrappeso del Paese sopra quello degli Stati Uniti. Altrove, la domanda è più disomogenea: l’interesse verso i mercati emergenti asiatici, molto forte in agosto, ha ad esempio perso slancio. Gli istituzionali stanno inoltre continuando a ridurre parte dei flussi verso i titoli europei accumulati a inizio anno, tanto che le posizioni sull’equity del Vecchio Continente sono tornate sotto la media.
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Sale l’interesse per i bond emergenti
“Per quanto riguarda il reddito fisso”, prosegue Ferridge, “la domanda complessiva rimane tiepida almeno nei mercati sviluppati”. L’esperto precisa però che si comincia a notare un rinnovato interesse per gli asset obbligazionari dei mercati emergenti, in quanto il tema del carry evidenziato nel mercato FX si sta estendendo anche agli strumenti a più lunga duration. “Sette Paesi hanno mostrato una domanda superiore alla media per i titoli di Stato e sei di questi erano EM, conclude l’esperto, precisando che “l’unica eccezione è stata l’Australia”.
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