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Dopo aver toccato quota 8.628 miliardi di euro di capitalizzazione e un giro d’affari pari al 90% del Pil italiano, nel 2022 la caduta in borsa: -29,2%. Ora valgono il 6,6% dei listini mondiali. Microsoft in testa
Una cosa a perdifiato culminata nel 2021, quando i giganti del web hanno raggiunto un picco di capitalizzazione di 8.628 miliardi di euro. Un corsa finita poi nel 2022, quando quelle stesse compagnie dalle uova d’oro hanno registrato la prima flessione significativa, mettendo a segno un crollo che, al 18 novembre sorso, ha raggiunto il 29,2%. È quanto emerge dalla fotografia scatta dall’Area Studi Mediobanca, secondo cui il risultato straordinario dello scorso anno è “l’ultima fiammata” dei maggiori gruppi mondiali Software & Web.
2021 record: Amazon regina dei ricavi
Stando al report, il 2021 è stato l’ultimo anno d’oro per questi colossi, con un giro d’affari aggregato a quota 1.584 miliardi, pari al 90% del Pil italiano. Il 67% del fatturato delle 25 maggiori compagnie WebSoft mondiali è stato generato dai colossi statunitensi, il 28% da quelli cinesi e solo il 5% dai gruppi di altri Paesi. Diventa quindi sempre più evidente la contrapposizione tra Cina e Stati Uniti. Sono 11 le società a stelle strisce, nove quelle di Pechino, mentre l’Europa appare solo con due società tedesche. E il giro d’affari è sempre più concentrato, con i primi tre player, Amazon, Alphabet e Microsoft, che rappresentano la metà dei ricavi aggregati.
In particolare, Amazon, con 414,8 miliardi (50,9% dal retail) è in prima posizione dal 2014 e concentra da sola oltre un quarto dei ricavi complessivi. Il colosso e-commerce è primo anche per numero di occupati (1,6 milioni). A fine 2021 la forza lavoro delle WebSoft contava complessivamente quasi quattro milioni di persone in tutto il mondo, un milione in più rispetto al 2019 di cui 810mila solo dal gruppo guidato da Jeff Bezos.
La pandemia, secondo gli analisti di Piazzetta Cuccia, ha ulteriormente evidenziato il divario di velocità di crescita tra le WebSoft e le multinazionali manifatturiere. Le prime, con +50% di ricavi tra il 2019-2021 hanno accelerato, mentre le seconde si sono fermate a un +7,6% nel triennio.
Nel 2022 collo degli utili…
Le tensioni intenzionali hanno però pesato anche sui campioni di internet, che nei primi nove mesi del 2022 hanno visto crescere solo i ricavi, non gli utili. Tra gennaio e settembre di quest’anno i maggiori operatori mondiali hanno registrato un incremento del fatturato aggregato del 9,5% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, a fronte di una contrazione della redditività operativa (-5,5% l’Ebit) e un crollo del 42% degli utili netti. In particolare, ogni società ha mediamente prodotto un utile netto giornaliero di 16 milioni rispetto ai 27 milioni del 2021. In calo anche la liquidità (-11,9%), pur rimanendo su buoni livelli, mentre i debiti finanziari continuano a crescere.
Il Nord America (+13,7%) tiene più di Europa e Asia, la cui crescita è limitata a una singola cifra (rispettivamente +8,2% e +6,6%), con l’America Latina in forte accelerazione (+24,9%), pur con valori ancora contenuti (1,5% del fatturato complessivo).
Il ritorno alla normalità si riflette nel rimbalzo dei comparti più penalizzati dalla pandemia: sharing mobility (+111,6% di ricavi anno su anno) e vendite online di viaggi (+55,5%). Si ridimensionano invece i settori che avevano beneficiato dei cambiamenti nelle abitudini dei consumatori: food delivery (+27%), cloud (+21,3%) ed ecommerce (+3,8%). A livello di singoli gruppi, si registra infatti un’impennata dei ricavi delle statunitensi Uber (+99,3%), Booking (+63,5%) ed Expedia (+43,2%), mentre, calano per Activision Blizzard (-21,8%), Qurate (-14,1%), Vipshop (-13,9%) e Wayfair (-12,8%). Per quanto riguarda la redditività industriale, nei primi nove mesi del 2022, Microsoft guida la classifica per ebit margin (41,2%), davanti ad Adobe (35,1%), Oracle (33,4%) e Nintendo (33,0%).
…e crollo in Borsa
Dopo anni caratterizzati da un particolare feeling con i listini, con il picco di capitalizzazione raggiunto come si diceva nel dicembre 2021 a quota 8.628 miliardi di euro, il 2022 registra la prima flessione significativa con un crollo del -29,2% nei 9 mesi. Alla fine dello scorso anno la capitalizzazione delle 25 maggiori WebSoft valeva l’8,3% del valore complessivo delle borse mondiali, mentre attualmente si ferma al 6,6%.
Nel confronto con l’Italia, invece, le WebSoft si confermano dei pesi massimi: valgono dieci volte l’intera Borsa italiana. A novembre 2022 il podio di Borsa è occupato da Microsoft (1.735 miliardi), Alphabet (1.219 miliardi) e Amazon (927 miliardi). Medaglia di legno invece per la cinese Tencent (340 miliardi). Da fine dicembre 2021 a metà novembre 2022 solo cinque gruppi hanno registrato una performance particolarmente positiva: Pinduoduo (+32,1%), Vipshop (+22,3%), Activision Blizzard (+22,2%), Ibm (+21,2%) e Adp (+14,0%).
Oltre 36 miliardi di tasse non pagate in 3 anni
Dal punto di vista della fiscalità, gli analisti di Mediobanca segnalano che nel triennio 2019-2021 i giganti del web hanno ‘risparmiato’ 36,3 miliardi di tasse non pagate grazie ai risultati contabilizzati nei Paesi a fiscalità agevolata.
Nel 2021 circa il 30% dell’utile ante imposte è tassato in Paesi a fiscalità agevolata, con un risparmio fiscale di 12,4 miliardi lo scorso anno. L’aliquota media effettiva risulta pari al 15,4%, inferiore a quella teorica del 21,9% calcolata sui principali Paesi in cui operano. In prima linea, Tencent, Microsoft Alphabet e Meta.
In Italia un fatturato di 8,3 miliardi
Venendo al nostro Paese, lo scorso anno i colossi di internet hanno generato un fatturato aggregato di 8,3 miliardi di euro tramite le filiali situate in Italia, in gran parte al Nord, tra Milano e provincia, occupando circa 23mila lavoratori (+4mila rispetto al 2020).
Amazon è il principale datore di lavoro, con il maggior numero di occupati in Italia (11.911 unità nel 2021) ed è anche al primo posto per fatturato (2,8 miliardi), seguita da Ibm (1,9 miliardi) e Microsoft (975 milioni).
Sul fronte fiscale, lo scorso anno le filiali di questi colossi, da Amazon a Microsoft e Meta, hanno versato al fisco italiano quasi 150 milioni per un tax rate effettivo del 25,1%. Considerando anche l’accantonamento per il pagamento della Digital Service Tax (l’imposta al 3% sui servizi digitali), l’aliquota salirebbe al 33,5%.
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