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I tempi terribili attraversati dai mercati non fermano l’M&A. Consolidamento e integrazione sono le parole chiave per guardare al futuro. Lo sanno anche i player italiani da Anima a Mediobanca fino a Generali
Le dimensioni contano. Soprattutto nel gestito. “Riteniamo che l’M&A continuerà a rappresentare un componente fondamentale di molte strategie societarie per risultare vincenti in uno scenario sempre più competitivo e in un’industria che sta rallentando il tasso di crescita”, commentano da Casey Quirk, società di Deloitte dedicata al settore, che vede nell’integrazione la via principale per reagire alla pressione sui ricavi su cui gravano scontistiche e commissioni ridotte legate alle strategie passive, affrontare tassi di espansione più rallentati, beneficiare dei vantaggi di scala e rispondere alle mutate esigenze dei clienti oggi sempre più attenti a nicchie di mercato specialistiche come i private market e gli asset alternativi. “Oggi, con un’industria più matura, l’M&A è guidato non solo dalla necessità di acquisire nuove capacità o diverse competenze, ma anche dalla necessità di implementare un modello operativo più efficiente e raggiungere economie di scala”, ribadiscono.
Non è un caso che Amundi (gruppo Crédit Agricole) nell’ultimo piano industriale abbia spinto l’accelerazione sull’M&A a cui potrebbe destinare, in tutto o in parte, il capitale in eccesso atteso entro il 2025 e pari a 2 miliardi. “La nostra ambizione è rafforzare la leadership nell’asset management. Coglieremo opportunità di acquisizione per sfruttare il nostro solido track record in materia di consolidamento e accelerare il nostro sviluppo”, ha dichiarato in merito Valérie Baudson, ad della società che nel recente passato ha completato l’acquisizione di Lyxor da Société Générale dando vita a un colosso negli Etf con oltre 300 prodotti e una quota di mercato europeo vicina al 15 percento.
E le mosse del colosso europeo del gestito sono guardate con attenzione anche sul mercato italiano dove la scorsa estate è emerso che Amundi detenesse il 5,1% del capitale, attraverso i fondi, in Anima considerata una delle magnifiche prede del mercato italiano e il cui azionista di riferimento (con il 20,6% del capitale) e partner nella distribuzione dei fondi è Banco Bpm, a sua volta partecipato con il 9,2% del capitale da Crédit Agricole. Abbastanza per scatenare le speculazioni.
Eldorado Italia
In effetti in questo scenario l’Italia rimane un piccolo Eldorado per chiunque voglia espandersi o rafforzare la propria presenza in un Paese con risparmiatori in grado di mettere nel cassetto 5.256 miliardi di euro, un a ricchezza finanziaria cresciuta di quasi 1.700 nell’ultimo decennio secondo i dati della Fabi. Ecco, quindi, che con l’ultima parte del 2022, archiviate le elezioni politiche, Piazza Affari è tornata a occuparsi di risiko del gestito tra banche d’affari tricolori con grandi aspirazioni e colossi internazionali in cerca di opportunità. Le parole d’ordine sono due: diversificare sempre più l’offerta in un mercato complesso come quello attuale e creare modelli di efficienza operativa grazie alle economie di scala attraverso business coerenti in grado di raggiungere sinergie e tagli dei costi. E in effetti a settembre, chiuse anche le battaglie di potere che hanno imperversato sul mercato, il mercato è poi tornato a concentrarsi su due interlocutori, legati a doppio filo: Generali, che ha recentemente costruito la piattaforma multi-boutique concentrandosi sull’asset management come leva per aumentare la redditività del gruppo e Mediobanca che invece punta più specificamente al wealth management.
Per quanto riguarda il Leone di Trieste si ipotizza un’espansione negli Usa con Guggenheim Partners, società di asset management valutata tra i 3 e i 4 miliardi di dollari circa con oltre 228 miliardi di dollari di asset in gestione (di cui 198 nel reddito fisso) e fornisce servizi di gestione, investment banking e broker dealer, o, come alternativa possibile, con BrightSphere che ha masse in gestione per 91 miliardi circa.
Per Piazzetta Cuccia invece, dopo le iniziali avance di qualche tempo fa verso Banca Mediolanum poi non andate a buon fine, torna a ipotizzarsi l’acquisizione di Banca Generali, big del wealth management tricolore controllato con il 50,2% del capitale dal Leone di Trieste e da sempre nel cuore di Mediobanca. La doppia operazione sarebbe agevolata dalla ipotizzata contestualità delle mosse: Generali pagherebbe l’espansione Oltre Oceano con la cessione della quota di controllo in Banca Generali e, a sua volta, Mediobanca salderebbe il conto cedendo parte della sua partecipazione storica detenuta nel Leone di Trieste e, ciclicamente, nel mirino di azionisti o broker.
“Noi continuiamo a fare il nostro lavoro. Poi i rumor ci sono sempre stati, ci saranno sempre e non li abbiamo mai commentati”, ha dichiarato recentemente Gian Maria Mossa, ad di Banca Generali, a chi gli chiedeva un commento sulle voci relative a una possibile acquisizione della società da parte di Mediobanca.
Per Equita Sim l’acquisizione di Banca Generali permetterebbe a Mediobanca di rafforzarsi sulle attività a minor assorbimento di capitale e su un modello di business fondato su entrate ricorrenti. Quanto a Generali “l’acquisizione di Guggenheim permetterebbe al Leone di rafforzare in modo significativo il proprio posizionamento nell’asset management con masse che salirebbero di oltre il 40% a 750 miliardi di dollari”. Senza considerare che una simile operazione consentirebbe a Generali di acquisire competenze, capacità di ricerca, analisi e di fabbricazione prodotti. Anche per questo motivo, qualora il percorso ipotizzato dovesse tramontare, non manca chi ipotizza che Generali possa anche porsi obiettivi più grandi grazie alla solidità del gruppo.
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