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Il 52% ha già adottato politiche Sri, per ragioni etiche e finanziarie. Esclusioni in testa, seguono i tematici. E sulla spinta del regolatore, si cercano advisor Esg. La survey di Itinerari Previdenziali
Più di un investitore istituzionale italiano su due investe sostenibile. L’80% chi non lo fa ancora ne ha comunque discusso in cda in ottica futura, mentre una parte consistente di coloro che non hanno ancora aderito ‘formalmente’ alla finanza Sri ha ugualmente in portafoglio prodotti Esg. È quanto emerge dalla quinta edizione dell’indagine curata dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, in collaborazione con ASviS e FeBAF, da cui risulta evidente una svolta ‘virtuosa’ attuata non per moda ma per necessità e convinzione.
Il Quaderno di Approfondimento 2023 ha coinvolto 123 enti, dai 106 dello scorso anno, per un totale patrimoniale al netto delle compagnie di assicurazione di oltre 246 miliardi di euro, pari a circa l’86,5% dei patrimoni finanziari totali degli investitori previdenziali e fondazionali del nostro Paese. Nel dettaglio, hanno partecipato tutte le 19 casse di previdenza privatizzate (con esclusione di Onaosi), 36 fondazioni di origine bancaria sulle 86 totali, 19 fondi pensione preesistenti e 28 negoziali e 21 compagnie di assicurazione.
Nel numero di maggio-giugno di Focus Risparmio Magazine, dedicato al Salone del Risparmio e intitolato “Speciale Salone”, la ricerca sarà oggetto di un lungo approfondimento che verrà curato direttamente da Gianmaria Fragassi, coordinatore del progetto per il Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali. Nell’articolo Fragassi snocciolerà i numeri del settore e approfondirà la svolta sostenibile che sta interessando il sistema previdenziale italiano mettendo in luce sfide e opportunità che attendo l’industria. Dalle finalità alle strategie che i vari enti metto in campo per raggiungerle, la sua analisti toccherà tutte le dimensioni del fenomeno restituendo una fotografia attuale e prospettica del comparto.
L’ente adotta una politica di investimento SRI?
Fonte: Quaderno di approfondimento 2023 – “ESG e SRI, le politiche di investimento sostenibile degli investitori istituzionali italiani”
Etica, rischi e rendimenti i maggiori driver
Nonostante la percentuale di chi risponde “sì” (il 52%) all’adozione di politiche Sri risulti leggermente inferiore allo scorso anno, lo studio conferma una generalizzata crescita degli investimenti sostenibili. “A fronte dell’allargamento del campione, si abbassa la percentuale aggregata ma si alza il numero di enti virtuosi, 64 sui 123 intervistati”, sottolinea infatti Fragassi. Lo prova anche il fatto che la quota di chi, dopo averne discusso in cda, sceglie comunque di non approcciare la finanza Sri è scesa in tre anni dal 15% a zero. Non solo: la maggioranza del campione (38%) applica politiche Esg all’intero patrimonio così come crescono le percentuali intermedie, con il 24% che si colloca tra il 50% e il 75% del patrimonio (erano il 21% lo scorso anno) e il 17% posizionato tra il 25% e il 50% (erano il 13%).
Tra le motivazioni, si conferma in testa (86%) quella etica, cioè la volontà di contribuire allo sviluppo sostenibile. Ma pesano anche ragioni finanziarie come una più efficace gestione del rischio (69%), il miglioramento della reputazione (44%) e le performance e i rendimenti (22%). A dare spinta al green, anche la pandemia, che per il 76% ha favorito un maggior ricorso agli investimenti Esg, e il conflitto russo-ucraino (56%). “Percentuali interessanti soprattutto se messe in relazione con la convinzione, manifestata da un ente su 4, che la componente sostenibile aiuti a contrastare le turbolenze dei mercati in termini di mitigazione del rischio complessivo”, fa notare Fragassi. Pesa, infine, la pressione del regolatore, che passa dal 15% al 20%.
“Limitare l’integrazione dei criteri Esg alla sola, seppur rilevante, questione climatica e ambientale significherebbe però non inquadrare correttamente la complessità delle scelte di portafoglio degli investitori italiani”, evidenzia Fragassi, puntualizzando che se l’ambiente raccoglie il 35,3% delle preferenze, la governance tocca quota 32,8% e la componente sociale il 31,8%. Ulteriore dimostrazione arriva dai dati relativi agli investimenti tematici: anche in questo caso, è evidente la predilezione per i temi ambientali (dalla mobilità alle infrastrutture) ma sono comunque significativi gli investimenti in Silver Economy (29%) e Rsa (26%).
Esclusioni e tematici in testa alle strategie. Conferma per le asset class
Per quanto riguarda le strategie utilizzate, al primo posto si posizionano per il quinto anno consecutivo le esclusioni (60%), in crescita dal 2022. Seguono investimenti tematici (34%) e convenzioni internazionali (33%), che scalzano dal podio l’impact investing (30%). Dopo l’impennata del 2020, quando toccava addirittura il 50% delle preferenze, cala nuovamente la strategia best in class (28%), così come l’engagement (dal 50% del 2020 al 24%). +
Tra le asset class oggetto di maggiori deflussi, le armi (93%), il gioco d’azzardo (64%) e la pornografia (62%). Ancora in coda la parità di genere, scesa dal 17% del 2022 all’8%. Se sul versante delle convenzioni internazionali si conferma al primo posto con il 66% il riferimento a Unpri, seguito però molto da vicino dal Global Compact dell’Onu (62%). Per quanto concerne la strategia best in class, l’attenzione verso la tutela dell’ambiente raccoglie la prima posizione grazie a riduzione delle emissioni (al 66%, ma in forte calo); salgono al secondo posto i diritti umani (51%), mentre diventa terzo l’efficientamento energetico (49%).
Tornando alle principali strategie Sri, mentre il social housing (84% delle risposte contro il 76% dello scorso anno) e i green bond (62%) sono costantemente tra gli ambiti preferiti nell’alveo dell’impact investing, tra gli investitori che ricorrono all’engagement si mantiene stabile al 56% l’approccio di tipo soft. Interessante, poi, l’elevata percentuale registrata a questa domanda dalla risposta “altro” (24%): sono infatti diversi gli enti che specificano come l’attività di engagement non sia svolta direttamente ma per il tramite dei rispettivi gestori. In più casi, entrambe le modalità coesistono all’interno della stessa strategia.
Quali sono le strategie SRI adottate?
Fonte: Quaderno di approfondimento 2023 – “ESG e SRI, le politiche di investimento sostenibile degli investitori istituzionali italiani”
Asset allocation: i bond tornano in vetta
Lo studio ha anche indagato le scelte di investimento e in particolare le tipologie di strumenti finanziari attualmente utilizzati per investire nelle differenti asset class. Pur trattandosi di risposte multiple, quindi di espressioni di tendenza sulle preferenze, per la prima volta negli ultimi tre anni di rilevazioni c’è stato un cambio al vertice, dovuto alla costante ascesa nell’utilizzo dello strumento delle obbligazioni, 73%. Il rialzo dei tassi di interesse apportato da Bce e Fed ha certamente contribuito al ritorno dei bond quali strumento dove trovare yield a ‘basso’ rischio. L’utilizzo di FIA (private equity, debt, venture capital…) si attesta al secondo posto con il 72% di preferenze, confermando un trend calante negli ultimi anni. Al contrario, lo strumento delle azioni si conferma il terzo canale di investimento dimostrando, con il 66%, una tendenza in crescita dal 2020. A seguire i fondi comuni tradizionali al 64%, i mandati di gestione stabili attorno al 54%, e i FIA immobiliari in discesa al 45%. In ultima posizione, Etf con il 41% di risposte, gestioni separate, fondi hedge e Eltif. Continua poi la progressiva riduzione del ricorso ai mandati di gestione rispetto all’acquisto diretto di fondi. La metà del 14% degli investitori che indicano ‘altro’ riportano come strumento di investimento prescelto fondi o comparti o veicoli dedicati, trend sempre più in voga soprattutto nel mondo delle fondazioni di origine bancaria.
In quali strumenti investe attualmente l’ente?
Istituzionali a caccia di advisor Esg
Guardando al futuro, questo appare sempre più Esg. Il 51% degli investitori istituzionali intervistati afferma infatti di voler incrementare l’investimento in strumenti sostenibili. Un valore più basso di quello registrato lo scorso anno (68%) ma che si spiega con la prudenza dovuta dalla attuale congiuntura economico-finanziaria. Ad attirare l’attenzione sono ancora soprattutto le esclusioni (51%) e gli investimenti tematici, che raccolgono il 49% delle preferenze, seguiti da best in class (47%) e impact investing (42%). Per quanto riguarda i settori di maggiore interesse, spiccano le energie rinnovabili (56%), le infrastrutture sanitarie (36%) e l’healthcare (29%). Più staccati tecnologia e Silver Economy.
Avete individuato specifici settori dove indirizzare maggiormente i futuri investimenti in chiave ESG?
Fonte: Quaderno di approfondimento 2023 – “ESG e SRI, le politiche di investimento sostenibile degli investitori istituzionali italiani”
A incidere sulle prospettive future della finanza Sri è però soprattutto la normativa di settore, cui la survey di Itinerari Previdenziali dedica una serie di domande specifiche, con particolare riferimento al regolamento Sfdr e successive implementazioni. “In verità, almeno per il momento, buona parte dei rispondenti (il 63%) ne valuta come limitati gli effetti, pur riconoscendo che, in prospettiva, potrebbe accentuare la propensione verso l’acquisto diretto di fondi Esg”, spiega Fragassi. Che ricordando come molti enti siano ancora in una fase di studio e analisi del quadro legislativo, disponendo solo di un track record limitato a fronte di novità piuttosto recenti. Al momento, il 24% degli investitori istituzionali ha in portafoglio fondi che non rispondono né all’Articolo 8 né al 9 (erano però il 39% nel 2022), mentre solo il 4% detiene fondi diritto italiano per entrambi i tipi (era l’1% lo scorso anno). Un trend positivo in chiave prospettica.
Non solo. Proprio per la rapida evoluzione normativa, ammonta addirittura al 14% (era il 7% lo scorso anno) la percentuale di enti che giudica insufficiente la propria conoscenza della regolamentazione sulla sostenibilità. Solo il 33% dei rispondenti la valuta buona o ottima. Ragione per la quale ben nove enti su dieci palesano la volontà di avviare percorsi di formazione interna. D’altra parte, solo nel 22% dei casi fondi pensione, casse di previdenza, compagnie di assicurazione e fondazioni di origine bancaria dispongono di una figura o di un team interno dedicato agli investimenti Esg. Tanto che cresce la consapevolezza di doversi dotare di competenze, ricorrendo anche a risorse esterne. In particolare, con la premessa che ormai anche molti consulenti finanziari si sono specializzati sugli aspetti di sostenibilità, il 42% dei rispondenti dichiara di avvalersi di un advisor Esg (+7% sul 2022): tra i più citati, Nummus.info (24%), Prometeia (19%) e Moody’s Esg Solutions (9%).
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