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Il mercato della termovalorizzazione è in forte espansione. Ma le criticità non mancano, a partire dalla sostenibilità. Per MainStreet Partner ci sono diverse ragioni per guardare a questo settore
La guerra in Ucraina, con la drastica riduzione delle consegne di gas russo all’Europa, ha solo acuito il problema energetico, chiamato non a caso problema dei problemi, che affligge tutto il mondo. Tra le soluzioni allo studio c’è anche il waste-to-energy, il cui mercato secondo un recente studio di Global Market Insights dovrebbe superare i 70 miliardi di dollari entro il 2030, grazie alla riduzione della produzione di metano decisa dai governi durante la COP26. Non tutti però vedono di buon occhio il Wte, dal momento che molti ritengono non realmente sostenibile la tecnologia che permette di produrre energia elettrica, calore o carburanti utilizzando i rifiuti.
“La termovalorizzazione è un processo che genera elettricità e/o calore dall’incenerimento dei rifiuti. È considerata una forma di energia rinnovabile ed è un modo efficace per trasformare i rifiuti ed evitare che la maggior parte di essi finisca nelle discariche. Non si tratta certamente solo di rifiuti urbani. Negli ultimi anni infatti le aziende hanno prestato maggiore attenzione all’impronta ecologica e hanno sfruttato vari metodi di riciclaggio, raccolta e riuso per ridurre l’impatto sull’ambiente”, spiegano gli analisti del team di ricerca Esg di MainStreet Partners.
Negli Stati Uniti esistono attualmente 75 impianti che recuperano energia dalla combustione dei rifiuti solidi urbani e sono presenti in 25 Stati, soprattutto nel Nord-Est. In Europa l’incenerimento viene promosso come alternativa alla messa in discarica e, stando all’ultima statistica Eurostat, nel periodo 2006-2016 la quantità di rifiuti sottoposti a trattamento termico è aumentata del 30%.
“Per raggiungere gli attuali obiettivi dell’Ue – chiariscono gli esperti MainStreet Partners – entro il 2035 sarà necessaria una capacità di trattamento di 142 milioni di tonnellate di rifiuti residui. Attualmente la capacità di termovalorizzazione dell’Ue si attesta a 90 milioni di tonnellate, lasciando altri 50 milioni di tonnellate di rifiuti non riciclabili da trattare ogni anno. Attualmente solo il 20% dei rifiuti globali viene riciclato e si prevede che la produzione di rifiuti aumenterà del 70% entro il 2050. Questo ha spinto a concentrarsi su modi alternativi per utilizzare i nostri rifiuti ed allo stesso tempo soddisfare il continuo aumento del bisogno energetico”.
Per gli esperti la valorizzazione dei rifiuti ha pro e contro, e soprattutto ha importanti implicazioni per gli investitori, sia in maniera diretta che indiretta.
I punti a favore della termovalorizzazione
Glia analisti di MainStreet Partners vedono sostanzialmente quattro vantaggi principali, a partire dalla la riduzione delle discariche che, oltre a occupare spazio e distruggere habitat e paesaggi, producono metano, un gas più dannoso per l’ambiente della CO2. Secondo punto a favore è poi la possibilità di ricavare un’enorme quantità di energia. “Gli impianti di termovalorizzazione offrono una soluzione alternativa a basse emissioni di carbonio alla nostra attuale dipendenza dai combustibili fossili. Ad esempio, una tonnellata di rifiuti può generare fino a 700 kilowattora di energia. Questo è sufficiente per alimentare una casa per quasi un mese”, sottolineano nel report.
Il processo è inoltre sostenibile: se il filtraggio di ciò che viene bruciato è eseguito in maniera idonea e la biomassa è l’unica materia prima, il processo è infatti completamente naturale. “Ciò significa – chiariscono – che non è necessario utilizzare combustibili fossili o fonti non rinnovabili. Poiché gli impianti di termovalorizzazione si autoalimentano, è possibile risparmiare l’equivalente di 200.000 barili di petrolio all’anno per impianto”.
Quarto punto a favore è infine la solidità finanziaria. A fronte di costi di investimento importanti per la costruzione e il mantenimento degli impianti, i rifiuti utilizzati in questo modo non devono più essere trasportati in discarica e l’energia generata può essere venduta. Di conseguenza, è possibile sia risparmiare che trarre profitto.
I contro
Non mancano ovviamente le criticità. La prima riguarda i prodotti di scarico: la quantità di ceneri generate varia dal 15% al 25% (in peso) dei rifiuti solidi urbani trattati e va portata in discarica. È poi dimostrato che più della metà dei rifiuti attualmente inceneriti avrebbe potuto essere riciclata o compostata, con un impatto ambientale migliore. Quanto all’infrastruttura per la conversione dei rifiuti in energia, questa ha una vita media di 20-30 anni. “Ciò implica – si legge – che il continuo ricorso all’incenerimento porterebbe a ritardare la necessaria transizione verso infrastrutture di produzione di energia a minore intensità di carbonio, come l’energia rinnovabile eolica e solare. Inoltre, questo sistema compromette il passaggio a opzioni con più basso impatto ambientale, tra cui la riprogettazione dei prodotti per aumentarne la riciclabilità e la longevità”.
Infine, gli analisti sottolineano che il processo è ancora inquinante: “Nel 2017 oltre 40 milioni di tonnellate di CO2 sono state rilasciate dalla termovalorizzazione dei rifiuti nei 28 Paesi dell’Ue. L’intensità di carbonio degli inceneritori europei è circa il doppio della concentrazione di emissioni di CO2 derivate dalla rete elettrica media dell’Ue e significativamente superiore all’energia prodotta da fonti convenzionali di combustibili fossili come il gas”.
Implicazioni per gli investitori
Gli esperti MainStreet Partners non hanno dubbi sul fatto che esistano diversi ragioni per cui gli investitori dovrebbero interessarsi al futuro della tecnologia Wte. A partire dalla questione russa.
Attualmente l’Ue importa il 40% del gas dalla Russia, ma l’invasione dell’Ucraina ha costretto la regione a creare una strategia per ridurre questa percentuale di due terzi entro un anno. “Per aumentare l’indipendenza energetica dell’Ue, dobbiamo continuare a investire nelle fonti di energia rinnovabili, ma anche ridurre la nostra dipendenza dai combustibili fossili. La termovalorizzazione offre un’ulteriore opzione in questo senso”, sostengono.
Inoltre la digestione anaerobica figura nella tassonomia europea per le attività sostenibili, che mira a indirizzare gli investimenti verso attività che contribuiranno a rendere l’Ue neutrale dal punto di vista climatico entro il 2050. Infine, la normativa Ue sui servizi finanziari relativa alle informazioni sulla sostenibilità, la Sfdr, richiederà alle società di investimento di considerare numerosi indicatori nelle potenziali società partecipate, tra cui i rifiuti, le emissioni e il consumo/produzione di energia.
“Ciò significa che sarà necessaria una crescente consapevolezza delle pratiche Wte e dei pro e contro associati a questa attività per prendere decisioni informate sulla sostenibilità delle imprese e delle loro operazioni”, concludono gli analisti.
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