Il credito globale è in salute ma non mancano aree di stress potenziale nei mercati privati, meno liquidi. Parla la specialista non-US credit dell’affiliata Legg Mason
Annabel Rudebeck, portfolio manager e head of non-US credit di Western Asset
Buone notizie per il credito globale. Il ‘new normal’ dei tassi a zero sta spingendo gli investitori retail e istituzionali da una asset class difensiva e sostanzialmente priva di default quale l’obbligazionario governativo dei Paesi sviluppati a più alto rating, verso titoli liquidi ma dal rendimento anche solo leggermente positivo.
“Oggi, la direzione naturale per gli investitori che cercano di allontanarsi dai rendimenti negativi è data dai mercati del credito europei e americani e in, una certa misura, da alcuni titoli di stato europei” osserva Annabel Rudebeck, portfolio manager e head of non-US credit di Western Asset, società affiliata Legg Mason.
“Assistiamo a grandi flussi globali verso questi titoli”, prosegue Rudebeck. “Ciò è importante perché, se i rendimenti dovessero sperimentare un serio sell-off e tornare in territorio positivo, si potrebbe pensare che ciò sia il riflesso di un’economia più forte, e quindi dedurre che gli spread del credito dovrebbero restringersi. In realtà, potrebbe accadere il contrario, perché i flussi potrebbero ritornare verso i mercati delle obbligazioni governative”.
Al contrario, prosegue la specialista, “se rimaniamo in territorio negativo e in uno scenario di preoccupazioni per la crescita e di robusto supporto monetario, la domanda per il credito dovrebbe restare abbondante, con spread più stretti o rendimenti più bassi, nonostante il contesto macro”.
Non c’è un problema di liquidità sui mercati obbligazionari globali?
No, il livello di liquidità è tutto sommato accettabile in tutti i mercati del credito. Non serve però fare un particolare sforzo di memoria per tornare alla fine dell’anno scorso, quando era molto scarsa. Siamo dunque molto consapevoli del fatto che si tratta di una situazione transitoria. In generale, i mercati del credito si sono rivelati in salute per gran parte di quest’anno. Ma ovviamente, in caso di un aumento della volatilità, si registrano in genere meno emissioni e anche meno scambi – a meno che gli investitori non siano bloccati in posizioni da cui vogliono uscire.
Ci sono sacche di rischio nel segmento del credito globale, e quali?
Alcune delle potenziali aree di rischio sono nei segmenti meno liquidi. Il debito privato ad esempio è cresciuto in maniera considerevole negli ultimi 10 anni. Questo fenomeno è dovuto al fatto che le banche si stavano seriamente ritirando dai prestiti, così sono entrate in gioco fonti di credito alternative. Si noti come ci sia stato un enorme aumento in termini di numero di fondi e di quantità di capitale. Quello del private debt è dunque un segmento in cui potremmo assistere a maggior stress.
Ciò detto, il settore del credito sembra essere in salute. Negli Stati Uniti, i CCC sono un’area in cui abbiamo cercato di contenere i rischi quest’anno. È piuttosto strano che in un mercato del credito solido le triple C abbiano performance al di sotto delle attese, e questo si può verificare per diversi motivi. In parte ciò è dovuto ad alcuni settori più sotto stress: pensiamo all’energia, al retail, alle automobili. Ma potrebbe anche essere dovuto ad altre società, poco adatte ai mercati obbligazionari, che hanno cercato di ottenere credito nello spazio BBB.
Nell’ambito dell’investment grade quali sono i settori che state evitando?
Tendiamo ad evitare titoli specifici, non intere aree di mercato. Siamo comunque cauti nel settore automobilistico, nonostante un grande rivalutazione degli spread nel settore. In particolare ci preoccupa Ford, che probabilmente non riuscirà a evitare il rating “spazzatura”.
Il 2020 sarà l’anno della recessione globale?
Non la vediamo all’orizzonte. Di certo ci sono alcune pressioni, specialmente sul manifatturiero. Ma al momento non prevediamo una recessione nel 2020 – certamente non negli Stati Uniti – e questo è un aspetto fondamentale, al momento, per tutte le nostre valutazioni. Potremmo vedere alcuni mercati in Europa performare in modo leggermente diverso, e ovviamente c’è meno potenziale di crescita nel continente e in particolare in Italia, dove le nostre previsioni indicano una crescita di appena lo 0,6% nel 2020.
Ovviamente, riteniamo che le banche centrali saranno molto accomodanti, ma ciò è già prezzato nel mercato. La domanda che veramente tutti si fanno – specialmente in Germania – è se c’è il margine per uno stimolo fiscale e di spesa. Non l’abbiamo ancora visto, ma è possibile che ne vedremo di più in futuro.
Questo ci porta al quadro macroeconomico e di mercato che gli investitori conoscono bene: i rendimenti di larga parte delle emissioni obbligazionarie governative sono a zero o negativi.
Ho lavorato molto analizzando i flussi e osservando cosa sta succedendo nel mercato del credito dato l’ambiente di tassi negativi. Per capire cosa succede quando i tassi sono praticamente negativi possiamo prendere l’esempio del Giappone. I tassi sono diminuiti di 80 punti base tra giugno 2015 e giugno 2016 andando sotto lo zero. In quell’occasione si è assistito ad una forte ondata di acquisti di Treasury e di credito statunitense da parte di investitori giapponesi, tra cui il fondo pensione statale GPIF (Government Pension Investment Fund). Questo fenomeno ha continuato a crescere e, ovviamente, i tassi sono rimasti bassi.
Quindi ciò che sembra accadere è che, quando i tassi diventano negativi, gli investitori obbligazionari che sono vincolati dai loro mandati – siano essi assicuratori o fondi pensione – si sveglino e dicano: “Così non va”. Questo è il motivo che porta i flussi a spostarsi sul credito e all’estero. Nel 2019 ciò è accaduto nei mercati europei del credito, che hanno attratto flussi importanti, e nel credito Usa – un enorme mercato con sette trilioni di debiti in essere. È giusto affermare che i tassi negativi provocano una corsa strutturale verso il credito investment grade e verso le obbligazioni denominate in dollari, compresi i titoli investment grade dei mercati emergenti.
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