Per Giorgio Solcia, country managing director della società, il gap tra i prodotti di diritto estero e quelli italiani è destinato a crescere. E il ruolo di Soggetto Incaricato dei Pagamenti ne trarrà beneficio. Dalla tecnologia alle fund platform, ecco i trend che plasmeranno il settore. Ma il gruppo guarda anche a nuove acquisizioni
Giorgio Solcia, country managing director di Caceis
Nel 2023 il controvalore delle quote di fondi esteri distribuiti in Italia ha toccato i 247 miliardi di euro. Un dato, emerso dall’Osservatorio sottoscrittori di Assogestioni, che conferma l’importante peso raggiunto da questo segmento per l’industria del risparmio gestito tricolore. Eppure, sono diversi i cambiamenti che promettono nei prossimi anni di trasformare il settore. Tra gli operatori pronti a intercettarli c’è anche Caceis. Il country managing director Giorgio Solcia ha raccontato a FocusRisparmio in che direzione si muove questo mercato e come dovranno cavalcarlo i player che più di tutti lo rappresentano: i Soggetti Incaricati dei Pagamenti.
Rispetto alla fotografia scattata l’anno scorso, quando il patrimonio dei fondi esteri distribuiti in Italia valeva 220 miliardi di euro, cosa ci racconta questo dato?
Testimonia sicuramente un allargamento del gap tra i fondi comuni esteri e quelli italiani, il cui patrimonio si è invece fermato a circa 198 miliardi di euro nel 2023. Tuttavia, per capire la reale dimensione del trend può essere utile operare altri tipi di raffronti. L’investimento medio sui fondi di diritto locale calcolato da Esma, ad esempio, è pari a 30mila euro mentre quello sui corrispettivi stranieri si attesta a 50mila euro. Questo indica che i veicoli tricolore non solo cubano meno sul totale del mercato ma faticano anche a intercettare le esigenze dei segmenti di clientela più profittevoli: i private e gli affluent. Si tratta di un problema figlio sia della maggiore diversificazione che i prodotti delle case internazionali riescono a offrire, perché un portafoglio orientato a più asset class si addice meglio al grado di sofisticazione degli Hnwi, sia dei limiti di distribuzione cui è ancora soggetta la nostra industria: primo tra tutti, la tendenza a vendere prodotti retail tramite banca anziché appoggiarsi su reti di banker o promotori finanziari. C’è poi un ultimo fattore alla base della divario segnalato da Assogestioni, che riguarda in particolare la capacità competitiva dei player oltre confine: i grandi asset manager possono infatti contare strutture altamente specializzate e piattaforme di fondi divise per comparti, circostanza che le aiuta a fronteggiare con successo la spinta alla concentrazione.
E questa prima parte di anno? Quali risultati porta in dote e quali prospettive offre sui mesi restanti?
Il primo semestre 2024 non si è certo contraddistinto per flussi brillanti, ma anzi ha visto il patrimonio in gestione a fondi esteri crescere quasi solo in conseguenza di un effetto mercato positivo. E se è vero che gli ultimi due mesi hanno registrato un’inversione di tendenza, complice soprattutto la buona performance delle reti, va segnalato come soprattutto la raccolta delle banche stia ancora facendo fatica ad ingranare. Una spinta in tal senso potrà sicuramente arrivare dai prodotti obbligazionari, che i recenti tagli dei tassi da parte di Fed e BCE dovrebbero aiutare a diventare ancora più attrattivi anche per il bacino affluent e private. Siamo quindi complessivamente positivi sulla chiusura dell’anno, anche perché crediamo che un ulteriore fattore giocherà a favore dei prodotti di diritto non italiano: la ripartenza delle gestioni patrimoniali, che torneranno in auge e li porranno nel mirino.
Mi aspetto che il gap tra i fondi esteri e quelli italiani aumenti ancora di più, anche perché diventerà sempre meno efficace una delle poche leve su cui i player domestici avevano potuto contare per restare competitivi: il taglio delle commissioni e l’efficientamento della struttura di costo in esito ad acquisizioni o fusioni. Secondo i calcoli dell’Esma, infatti, il 70% delle spese che un risparmiatore sostiene per sottoscrivere le quote di un Oicr è oggi imputabile alla sola catena di distribuzione. L’unico ossigeno che potrà arrivare alla categoria sarà quello offerto dal boom dei fondi a cedola, tendenza destinata a consolidarsi anche dopo il calo dei tassi. Nonostante questi strumenti abbiano raccolto cifre importanti e si siano moltiplicati negli ultimi due anni, andiamo verso un periodo caratterizzato da meno emissioni di BTP e bond bancari, il che potrà quindi fornire ulteriore margine ai distributori. D’altro canto, non si può omettere di sottolineare come sempre più entità bancarie stipulino accordi con fondi di diritto estero, promossi dal loro stesso gruppo: altro fattore che gioca a favore di quest’ultima categoria.
Quanto i fondi esteri potranno conquistare gli investitori al dettaglio? Peserà in negativo, invece, il fatto di avere una minore componente obbligazionaria proprio nella stagione della grande corsa al reddito fisso?
Se è vero che gli investitori internazionali vantano team di gestione grandi e diversificati nelle professionalità, caratteristica che permette loro di essere posizionati su tante asset class e attrarre un’utenza sofisticata, soffrono anche una mancanza di personalizzazione sui temi percepiti come tipicamente locali. Uno di questi è proprio l’interesse per i target funds mentre l’altro consiste nel sostegno alle imprese italiane, esigenza che il dibattito sulla Capital Markets Union e misure come il fondo di fondi al vaglio del governo hanno fatto divenire incalzante anche per molti clienti affluent o private. Senza dimenticare le tante eccellenze di gestione che popolano il nostro Paese, attive in nicchie molto piccole ma con posizioni di mercato difficili da scalfire.
Come evolverà il modello di servizio SIP e in che modo state agendo per interpretare tali cambiamenti?
Solo la tecnologia può garantire l’omnicanalità richiesta dal mercato e ridurre tanto i costi operativi quanto i rischi. Ecco perché l’innovazione rappresenta l’investimento prioritario per Caceis. Ed essendo gli ultimi arrivati in Italia, abbiamo potuto dotarci di un’infrastruttura più efficiente e flessibile della media. Anche il ruolo di SIP come accentratore di esigenze del distributore è però sempre più indispensabile. Stiamo quindi cercando di promuovere flussi standardizzati in modo che, a fronte di un investimento iniziale del cliente, si crei una sola struttura tecnologica interamente a carico nostro ma capace di favorire economie di scala e risparmi di costo. Sempre in chiave efficienza, molto importante sarà infine la relazione con i transfer agent. E anche su questo fronte abbiamo un vantaggio, perché uniamo tale funzione, con una posizione di leader europeo, a quella tradizionale di Soggetto Incaricato dei Pagamenti: si tratta di un’espansione nella catena del valore che è fondamentale in un mercato dove sono coinvolti numerosi attori. Altri due obiettivi che ci poniamo con riferimento all’Italia sono attrarre quei distributori che spesso restano incastrati in strutture obsolete e migliorare la comunicazione tra SIP in termini puramente informatici per l’efficientamento dei trasferimenti: resta infatti cruciale uno sforzo coordinato per creare un mercato alternativo come accade, ad esempio, nel mondo della custodia dei titoli.
Dai dati che avete presentato al Salone l’anno scorso, emergeva come le piattaforme di distribuzione siano arrivate a rappresentare il 26% degli Ucits 2021 grazie a una crescita del 31%. Qual è il dato al 2023?
Nel 2023 le piattaforme B2B sono aumentate del 9,3%, raggiungendo poco meno di 4 miliardi di euro, e la loro quota sul totale degli assets dei fondi Ucits è salita al 32%, a conferma dei trend identificati durante il Salone del Risparmio 2023. Il principio di tutti questi sistemi di distribuzione è un accesso libero ai fondi per gli investitori: l’obiettivo è di mantenere i cliente vincolato offrendo dei servizi a valore aggiunto e un’open architecture. La piattaforma è remunerata richiedendo delle commissioni di servizio alle management companies. C’è un doppio fenomeno di concentrazione. Da un lato, l’affiliazione dell’investitore con le piattaforme: di solito ne scelgono una sola. Più distributori affiliati ha la piattaforma, maggiormente essa può richiedere alti livelli di commissioni di servizio. L’ammontare di fees di servizio rappresenta oggi una voce di spesa sempre maggiore per le management companies, mentre le management fees stanno diminuendo progressivamente. È così che le management companies di piccole e medie dimensioni spesso uniscono le forze fondendosi.
D’altro canto, le piattaforme impongono degli standard tecnici ai distributori che i più piccoli faticano a permettersi. Caceis, attraverso l’offerta locale di SIP, ha scelto invece grande flessibilità adattandosi ai vincoli tecnici dei distributori e permettendogli in questo modo di accedere facilmente a qualsiasi fondo europeo distribuito in Italia. Infine, tramite Fund Channel, combina main distribution ed execution attraverso una soluzione one-stop-shop che si integra facilmente con i sistemi dei clienti.
Uno degli strumenti che vi ha permesso di raggiungere i vostri obiettivi sono state le acquisizioni, ultima in ordine di tempo quella delle attività europee di RBC. Resterete vigili per cogliere nuove opportunità?
Posto che continuiamo a muoverci sulla base della joint venture con Fund Channel, di cui siamo proprietari al 33,33%, non smettiamo di recepire esigenze dei tanti operatori dell’asset service interessati a trovare partner più grandi per crescere dimensionalmente. La nostra struttura è infatti in grado di incorporare nuove realtà e saremo pronti a farlo quando si presenterà l’occasione adatta in termini sia di condizioni economiche sia di sinergie. Fra le aree geografiche cui guardiamo con maggior interesse in questo senso c’è soprattutto l’Europa, dove vogliamo consolidare la nostra posizione al di fuori di Paesi core come Francia e Lussemburgo dove abbiamo già quote di mercato di leadership. Sullo sfondo resta poi il tema dell’Asia, che rappresenta però un obiettivo a più lungo termine.
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